4.1 ARTE PRIMITIVA E ARTE NATIVA
Con la nascita dei primi musei etnografici, tra la fine dell’Ottocento e i primi decenni del Novecento, molti pittori e scultori d’avanguardia cominciarono a interessarsi ai manufatti provenienti dall’Africa, dall’America e dall’Oceania. La produzione estetica nativa, cioè sculture, pitture e raffigurazioni realizzate con varie tecniche e vari materiali dalle popolazioni indigene nelle colonie europee in molte zone del mondo, venne inglobata nell’arte occidentale dando vita all’“arte primitiva”.Divenne normale parlare di “primitivismo nell’arte” includendo in questa categoria tanto i prodotti dell’arte tribale quanto quelli di pittori e artisti occidentali dei primi del Novecento, come i quadri di Paul Gauguin (1848-1903) su Tahiti, che cercavano di cogliere e riprodurre le forme d’arte nativa. Gli artisti europei, affascinati e ispirati per esempio dalle maschere e dalle sculture africane, come Picasso (1881-1973), Léger (1881-1955), Brancusi (1876-1957), Giacometti (1901-1966), Modigliani (1884-1920), erano critici verso la società borghese dell’epoca, frenetica e alienante, prodotta dalla modernità industriale. Ambivano al recupero di modelli di vita armonici, non competitivi e sereni, secondo quella che era la loro visione dei “primitivi” come nel mito del buon selvaggio nell’opera del filosofo francese Jean-Jacques Rousseau (1712-1778).
L’identificazione della cosiddetta “arte primitiva” degli artisti europei dei primi del Novecento con l’arte nativa delle popolazioni aborigene presupponeva implicitamente che i principi alla base delle due espressioni estetiche fossero identici, riducendo a un minimo comune denominatore di tipo formale quelle che in realtà erano delle differenze sostanziali qualora si considerasse tutto il contesto culturale.