1 Il linguaggio umano

1. Il linguaggio umano

1.1 CHE COS’È IL LINGUAGGIO

Ogni fenomeno culturale avviene grazie alla capacità degli esseri umani di trasmettere dei messaggi, cioè di comunicare. La cultura non esisterebbe se non vi fosse questa capacità espressiva.

Inoltre, il comportamento umano è sempre mediato dall’uso di  simboli, in particolar modo dall’uso di determinati simboli linguistici. È possibile infatti parlare del linguaggio come di un sistema di simboli vocali arbitrari usato dagli esseri umani per codificare e comunicare l’esperienza di sé e del mondo.

Il linguaggio è un fenomeno bioculturale, cioè si fonda su:

  • una componente biologica, costituita dagli elementi dell’apparato di fonazione (labbra, lingua, palato, faringe e così via) che lo rendono fisicamente possibile;
  • una componente culturale, in quanto i simboli di cui si serve per funzionare devono essere condivisi: sono sempre, cioè, il prodotto di accordi e convenzioni comuni, spesso inconsapevoli, nel gruppo dei parlanti.

Sono dunque le interazioni sociali che determinano il linguaggio di una comunità e, contemporaneamente, lo stesso linguaggio è ciò che rende possibili le interazioni sociali.

Ma che differenza c’è fra lingua e linguaggio?

Se il linguaggio è la facoltà tipica degli esseri umani di comunicare pensieri, esprimere sentimenti ed esperienze, la lingua è il complesso di parole e locuzioni usato da un popolo come essenziale mezzo espressivo, consentito grazie alla facoltà del linguaggio. Ogni lingua possiede inoltre dei caratteri specifici, storicamente determinati da leggi fonetiche, grammaticali, sintattiche, che la caratterizzano e la distinguono dalle altre (la lingua inglese, coreana, bantu e così via).

Le lingue sono la manifestazione più evidente della componente culturale del linguaggio in quanto ogni lingua è:

  • condivisa da un gruppo di parlanti (la comunità linguistica);
  • codificata in simboli;
  • trasmessa per inculturazione.

Già negli studi di Edward B. Tylor | ▶ unità 1, p. 18 | la lingua è uno dei più importanti aspetti che caratterizzano in senso antropologico la cultura dell’essere umano «in quanto membro di una società». Il linguaggio è quindi un comportamento sociale.

Per gli antropologi imparare una lingua non è soltanto un mezzo per comprendere meglio i processi culturali (i riti, i costumi, le credenze e così via): ogni lingua è un processo culturale e apprendere una lingua vuol dire capire il funzionamento di un’intera cultura. Lingue e culture sono strettamente interconnesse.

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1.2 IL GESTO E LA PAROLA

Come è nato il linguaggio umano?

Grazie alle fondamentali ricerche dell’archeologo ed etnologo francese André Leroi-Gourhan ▶ L’AUTORE |, oggi sappiamo che il linguaggio umano si è sviluppato nell’arco di milioni di anni, a partire dal periodo in cui gli antenati dell’Homo sapiens cominciarono a utilizzare le mani. La costruzione di utensili e il loro raffinamento si sono evoluti di pari passo con la capacità simbolica del linguaggio; se la postura eretta ha liberato completamente la mano dalla funzione locomotoria, la mano a sua volta ha liberato la bocca dall’attività di prensione, rendendola disponibile per la formazione e l’uso della parola. Leroi-Gourhan, nella sua opera Il gesto e la parola (1964-1965), cita a questo proposito il vescovo greco Gregorio di Nissa (335-394 d.C): «Se il corpo non avesse le mani, in che modo si formerebbe in lui la voce articolata?».

Ma non vi è soltanto un nesso meccanico; esiste una connessione neurologica tra l’attività manuale e quella verbale. Anche in un cervello di dimensioni inferiori a quelle attuali «si può benissimo supporre la presenza delle aree di associazione verbale e gestuale».

Leroi-Gourhan afferma inoltre l’importanza del ritmo. Lo spazio e il tempo, infatti, non sono vissuti se non in quanto materializzati in ritmi: basti pensare, per esempio, al variare ciclico delle stagioni, del giorno e della notte, ai movimenti ripetuti delle tecniche manuali di fabbricazione che si collocano «in ambienti ritmici, a un tempo muscolari, uditivi, visivi, derivati dalla ripetizione di gesti d’urto» dall’utensile scheggiato al martello.

La fabbricazione di utensili e la fabbricazione di simboli si possono quindi concepire come operazioni originate nello stesso periodo: «Esiste la possibilità di un linguaggio a partire dal momento in cui la preistoria ci tramanda degli utensili, perché utensile e linguaggio sono collegati neurologicamente e perché l’uno non è dissociabile dall’altro nella struttura sociale dell’umanità».

Anche gli studi sull’evoluzione del linguaggio confermano la presenza costante di una profonda interazione fra biologia e cultura, due dimensioni dell’essere umano che non si possono porre in semplice successione stratigrafica | ▶ unità 1, p. 22 |.

l’autore  André Leroi-Gourhan

André Leroi-Gourhan (1911-1986) nasce a Parigi e, rimasto orfano, viene cresciuto dai nonni materni i quali lo portano spesso a visitare il Museo di Storia Naturale. Queste visite lo affascinano molto, tanto da farlo diventare un appassionato di preistoria e storia naturale. Abbandona gli studi a quattordici anni e inizia un apprendistato come mercante. Legge Gli uomini fossili del paleontologo Marcellin Boule (1861-1942) e si convince a riprendere gli studi. Diplomatosi alla Sorbona in lingua russa nel 1931 e in lingua cinese nel 1933, prosegue con paleontologia ed etnologia, lavorando all’Istituto francese di Londra e nel Dipartimento di etnografia del British Museum, per poi diventare professore di etnologia e preistoria presso l’università della Sorbona. Nel 1964 crea il concetto scientifico di “catena operativa”, ossia la sequenza di operazioni che caratterizza la produzione di artefatti di pietra. Ai viaggi in Giappone e nel Pacifico settentrionale, dove studia la cultura materiale e l’arte rupestre degli uomini preistorici, si susseguono importanti scavi archeologici in Europa dedicati allo studio della tecnologia e agli aspetti bio-sociali del linguaggio. Muore a Parigi nel 1986.

Tra le sue opere più importanti: L’uomo e la materia (1943), Il gesto e la parola (1964-65), Il filo del tempo (1983).

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1.3 LE FAMIGLIE LINGUISTICHE

| Nella seconda metà del Settecento, il giurista inglese William Jones (1746-1794), che prestava servizio in India presso il tribunale di Calcutta, ebbe modo di constatare una serie di notevoli somiglianze fra il sanscrito (la lingua sacra degli  indù), il latino, il greco, il celtico e il gotico (il tedesco arcaico); queste lingue, per quanto assai diverse tra loro, presentavano affinità molto forti nelle radici dei verbi e nelle forme grammaticali.

Tale constatazione condusse Jones a ipotizzare l’esistenza di famiglie linguistiche; le somiglianze potevano essere spiegate dal fatto che lingue diverse discendevano dal medesimo  idioma, e che si fossero poi modificate gradualmente in modo separato nel corso di migliaia di anni.

Studiandone le ricorrenze comuni, altri studiosi arrivarono a sostenere che tutte le lingue estinte e parlate erano riconducibili a più grandi superfamiglie, derivate a loro volta da una origine comune. La lingua originaria viene definita protolingua: per esempio l’italiano, il francese e lo spagnolo sono lingue figlie del latino, protolingua comune; il tedesco, l’inglese, l’olandese, e le lingue scandinave sono invece lingue figlie del protogermanico. Il latino e il protogermanico appartengono entrambe alla famiglia indoeuropea.

Attualmente si possono individuare superfamiglie di lingue africane, asiatiche, polinesiane e amerindiane, a loro volta distinguibili in tante sottofamiglie.

Il dibattito è aperto e non tutti i linguisti concordano sul fatto che le superfamiglie siano a loro volta derivabili da un ipotetico ceppo originario comune.

L’insieme di questi studi, di fondamentale importanza per l’antropologia, dimostra che ogni lingua è dinamica: si modifica nel corso del tempo, si evolve e si diffonde, si scinde in sottogruppi linguistici diversi. I dialetti di una singola lingua originaria possono a loro volta diventare lingue vere e proprie.

Non è detto però che i gruppi sociali che parlano lingue derivanti dalla stessa protolingua siano più simili fra loro dal punto di vista culturale rispetto a gruppi i cui idiomi derivano da protolingue diverse; può capitare che comunità i cui membri parlano lingue non correlate siano entrate storicamente in contatto fra loro attraverso scambi commerciali, conflitti o matrimoni misti e che si siano così avviati processi di miscelazione linguistica in virtù di quel carattere dinamico, aperto e fluido delle culture, cui abbiamo già fatto cenno | ▶ unità 1, p. 28 |.

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Lingua e territorio
Studiare le cause della presenza di una lingua in un territorio è un problema antropologico complesso che si può sintetizzare in quattro fattori principali:

  • occupazione iniziale, come nel caso della colonizzazione della Polinesia da parte di gruppi umani provenienti dal Sud-Est asiatico a partire dal I millennio a.C.;
  • divergenza, che riguarda i grandi fenomeni migratori, o la cosiddetta deriva linguistica, ovvero la tendenza comune di tutte le lingue a trasformarsi nel tempo: un esempio potrebbe essere la mutazione della lingua italiana dal Medioevo a oggi;
  • convergenza, per cui, come vedremo più avanti, taluni idiomi sorgono in concomitanza con un rapido e intenso contatto culturale fra due società differenti, fra le quali si avvia un fenomeno di miscelazione linguistica, come per le lingue creole dei Caraibi o i  pidgin della Nuova Guinea;
  • sostituzione, ovvero la situazione in cui, nel contatto culturale fra due società, un gruppo conquistatore egemone si impone con la propria lingua su una  cultura subalterna; a esso la popolazione conquistata finisce spesso per conformarsi anche per motivi di praticità e convenienza: pensiamo alla diffusione del latino al tempo della dominazione romana, o dello spagnolo e dell’inglese imposti massicciamente nel Nuovo Mondo rispettivamente a partire dal Cinquecento e dal Settecento.

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1.4 LE CARATTERISTICHE DEL LINGUAGGIO UMANO

Molti animali posseggono forme di linguaggio sorprendentemente evolute, basate sulla comunicazione sonora, olfattiva o addirittura sul movimento. Tuttavia, il linguaggio umano presenta importanti caratteristiche dal punto di vista antropologico che lo differenziano profondamente da quello degli altri animali. Le più significative sono:

  • l’apertura: i parlanti di una qualsiasi lingua sono capaci non solo di creare sempre nuovi messaggi, ma anche di comprendere nuovi messaggi creati da altri parlanti. Noi siamo in grado cioè di parlare delle stesse esperienze da prospettive diverse e di parafrasare espressioni altrui utilizzando altre parole e altre costruzioni grammaticali;
  • l’arbitrarietà: consiste nell’assenza di qualsiasi nesso obbligatorio fra suono e significato. Per esempio, in inglese la sequenza sonora /boi/ si riferisce a “un giovane essere umano di sesso maschile”, mentre in fulfulde, la lingua dei Fulbé del Camerun, può significare “molti” o anche “più”. Nel linguaggio umano vi è la libera produzione creativa di nessi fra suoni e significati;
  • l’universalità semantica: consiste nel fatto che ogni lingua è in grado di esprimere informazioni su eventi, oggetti e luoghi del presente, del passato e del futuro, vicini e lontani, reali e immaginari; in particolare, ciò che i linguisti definiscono “distanziamento” è la possibilità di parlare di oggetti assenti o inesistenti, o di eventi passati e futuri, con la stessa facilità con cui si parla delle situazioni in atto;
  • la produttività infinita: se per esempio un nostro amico dice: “domani sono libero”, in questa proposizione nulla implica una conseguenza predeterminata; a ciò potrebbe seguire: “allora andiamo al cinema”, oppure “finalmente mi riposo”, oppure “riparerò il rubinetto”. In genere siamo in grado di capire in anticipo, date certe premesse, come proseguiranno i messaggi che ci vengono rivolti, ma non esiste alcun vincolo linguistico prestabilito. I simboli linguistici possono essere combinati secondo sequenze riconoscibili ma innovative, sono capaci cioè di creare costantemente nuovi significati e nuove situazioni comunicative: le culture umane e le lingue, in quanto loro componenti essenziali, sono pratiche estremamente creative.

  esperienze attive

I linguaggi non verbali Osserva un’interazione tra due o più persone in un contesto quotidiano (tra amici, familiari, estranei ecc.). Descrivi tutti i linguaggi non verbali utilizzati (espressioni facciali, gesti, prossemica…). Che cosa comunicano? Qual è il loro rapporto con ciò che viene detto a parole? Quali sono i loro significati sociali e culturali? Discutetene poi fra compagni in classe.

per lo studio

1. Come si può definire il linguaggio umano?

2. Perché il linguaggio è un elemento culturale?

3. Che cos’è la produttività infinita?


  Per discutere INSIEME 

Cerca su Internet l’albero genealogico di alcune famiglie linguistiche creato dalla graphic designer finlandese Minna Sundberg (n. 1990). Osserva con attenzione, per esempio, le ramificazioni dell’indoeuropeo. Poi sul sito www.ethnologue.com clicca sulla voce “Famiglie linguistiche” e guarda quante lingue tuttora esistono e vengono parlate nel mondo. Ti meraviglia? Che cosa significa affermare che ogni lingua è dinamica? Discutine insieme ai tuoi compagni di classe.

Dialoghi nelle Scienze umane - volume 2
Dialoghi nelle Scienze umane - volume 2
Antropologia, Sociologia, Psicologia – Secondo biennio del liceo delle Scienze umane