L’UNITÀ IN BREVE

L’unità in breve

L’ambiente

1. L’adattamento all’ambiente

L’antropologia si interessa agli aspetti umani dell’ecologia, cioè alle forme con cui le culture modificano l’ambiente per adattarlo alle proprie esigenze. La cultura infatti, supplendo all’incompletezza biologica dell’uomo, gli ha dato la capacità di adattarsi a quasi tutti gli ambienti e di colonizzare l’intero globo.

Sulla relazione tra uomo e ambiente ci sono diverse scuole di pensiero: quella “determinista”, secondo cui è l’ambiente a determinare il modo di vita delle società; quella “possibilista”, che, al contrario, ritiene sia l’uomo a modificare l’ambiente a suo favore; e quella inaugurata da Marshall Sahlins, che sostiene invece l’idea di una reciproca influenza tra le comunità umane e i loro ambienti. Gli esseri umani operano infatti una continua plasmazione simbolica sull’ambiente, rendendolo protagonista di miti, racconti e credenze magico-religiose; i luoghi, viceversa, esercitano un potere sui loro abitanti.

Così come esiste una grande varietà di ecosistemi (biodiversità), esiste grande variabilità adattiva dell’uomo (etnodiversità), che sviluppa saperi ecologici nativi differenti da cultura a cultura, che vengono trasmessi di generazione in generazione, costituendo i patrimoni culturali locali.

Storicamente le varie forme di adattamento dell’uomo si sono configurate in diversi modelli di sussistenza: la caccia-raccolta e la pesca, che caratterizzano le società acquisitive, cioè quelle che si procurano il sostentamento prelevando risorse spontanee dall’ambiente; l’orticoltura, che consiste nella coltivazione di piante domestiche tramite il sistema della rotazione dei campi; la pastorizia, basata sull’allevamento del bestiame e il consumo dei prodotti derivati; l’agricoltura, cioè la coltivazione di prodotti su appezzamenti di terreno permanenti con sistemi artificiali di irrigazione; e l’industrializzazione, basata sulla fabbrica di beni secondari.

2. Il rischio ambientale

Il profondo nesso vitale che c’è tra comunità e ambiente viene spezzato o profondamente alterato dai disastri ambientali: eventi naturali estremi come terremoti, frane, alluvioni. I danni prodotti da tali disastri non dipendono solo dalle condizioni fisiche dell’evento, ma anche dalle reazioni sociali a esso, indotte dal tipo di cultura proprio del sistema sociale su cui l’evento impatta. I fattori culturali (la parentela, il modello di sussistenza e così via) influiscono sulla percezione del rischio, che è dato dal rapporto fra la gravità del danno prodotto da un evento e la probabilità che questo si verifichi. I comportamenti che le persone attuano in seguito a tale percezione determinano una maggiore o minore vulnerabilità all’evento dannoso.

Un disastro non è un evento improvviso e puntuale, prodotto di un’assoluta casualità, come vorrebbe il paradigma dell’ineluttabilità, ma ha sempre delle precondizioni ecologiche, socioeconomiche e culturali che portano all’evento o che rendono più o meno grave il suo impatto. Nell’era dell’Antropocene, infatti, l’antropizzazione è divenuta una forza di portata geologica: per questo non esistono “calamità” esclusivamente naturali.

Dialoghi nelle Scienze umane - volume 2
Dialoghi nelle Scienze umane - volume 2
Antropologia, Sociologia, Psicologia – Secondo biennio del liceo delle Scienze umane