1. Il concetto di cultura

1. Il concetto di cultura

1.1 L’ANTROPOLOGIA CULTURALE

L’antropologia è una disciplina che fa parte delle scienze umane assieme alla sociologia, alla psicologia e alla pedagogia. Letteralmente il suo significato è “studio del genere umano” (dal greco ánthropos, “genere umano”, e lógos, “discorso”, “studio”), ma questa definizione è troppo generica e non ci spiega esattamente in quale ambito del genere umano l’antropologia conduca il proprio studio, differenziandosi dalle altre discipline umanistiche. Anche la demografia e la genetica per esempio sono studi che riguardano il genere umano, ma la prima si occupa di tassi di crescita, di natalità o mortalità di una società, mentre la seconda di distribuzione e variazione dei geni fra le varie popolazioni. L’antropologia invece intende studiare il genere umano concentrandosi sulle diverse culture che lo caratterizzano: è questo il motivo per cui invece di parlare semplicemente di “antropologia” si preferisce usare l’espressione più appropriata “antropologia culturale” ▶ APPROFONDIAMO |.

Nel suo significato più ampio l’antropologia culturale si occupa della variabilità e diversità culturale, dei modi di vita, di espressione e di pensiero che storicamente hanno caratterizzato i gruppi umani in ogni angolo di mondo, dalle epoche preistoriche alla contemporaneità, dalle comunità più isolate dell’Amazzonia alle grandi metropoli occidentali.

Come vedremo nel corso delle prossime unità, l’antropologia studia con  metodo comparativo non solo le differenze e i conflitti fra i vari gruppi umani, ma anche le profonde connessioni storiche, economiche, sociali fra comportamenti, idee, credenze e istituzioni di società diverse. Dunque, per comprendere quali siano gli scopi e i metodi dell’antropologia culturale, è indispensabile partire dall’analisi del concetto di cultura.

approfondiamo  QUANTE ANTROPOLOGIE?

L’antropologia si è chiamata storicamente in molti modi. Oltre alla denominazione di “antropologia culturale”, troviamo spesso anche quelle di “antropologia sociale”, “etnologia”, “etnografia”. Ciò è dipeso soprattutto dal fatto che, al momento della sua sistematizzazione accademica, l’antropologia ha ricevuto nomi diversi a seconda del paese di riferimento (Francia, Gran Bretagna, Stati Uniti…).

Le diverse denominazioni derivano o dall’impostazione teorica più incline a focalizzare la ricerca sulla dimensione sociale o culturale dei gruppi umani, oppure dalla storia culturale delle comunità (etnologia). Va specificata, però, la netta distinzione dall’antropologia fisica, la scienza dell’uomo come specie zoologica, che studia in particolare le interazioni fra gli aspetti biologici e gli aspetti culturali, in relazione all’adattamento dei vari gruppi umani all’ambiente.

Con il termine “etnografia” si intende la parte più strettamente pratica, operativa e descrittiva della ricerca antropologica, quella cioè che a partire dal 1922 con Bronisław Malinowski (1884-1942) si usa chiamare “ricerca sul campo”.

Sin dai primi del Novecento, negli Stati Uniti prevalse la denominazione di “antropologia culturale” in quanto si ritenne che la sfera culturale comprendesse quella sociale. Oggi l’espressione “antropologia culturale” è quella più generale e più diffusa e non si riferisce più strettamente alla originaria tradizione antropologica statunitense, che ha subìto nel corso degli anni molti mutamenti e raffinamenti teorici. In Italia l’etichetta “antropologia culturale” si è diffusa dopo quella di etnologia, e oggi è spesso affiancata a “etnoantropologia”. Nel nostro paese fa parte dell’ambito degli studi antropologici anche la storia delle tradizioni popolari o demologia.

Esistono poi numerose denominazioni dell’antropologia: antropologia dell’arte, antropologia della città, antropologia del rito, antropologia della parentela (ma anche antropologia applicata, antropologia medica, antropologia politica, economica e così via). Queste denominazioni si riferiscono a importanti campi di specializzazioni dell’antropologia culturale; in ogni caso preme sottolineare che non si fa antropologia di qualcosa, ma che si applicano le teorie e i metodi dell’antropologia a qualcosa: il rito, la parentela, la città, l’arte, e molti altri aspetti culturali delle varie comunità. Queste etichette specialistiche indicano uno specifico ambito di studio ma presuppongono sempre una conoscenza di base globale dell’intero contesto culturale in cui quel tema di indagine è inserito.

1.2 IL PRIMO CONCETTO ANTROPOLOGICO DI CULTURA

Un esempio di quella che potremmo definire la concezione classica di cultura, nel senso più comune e intuitivo del termine, si trova nelle Tusculanae Disputationes (“Conversazioni a Tuscolo”) di Cicerone (106-43 a.C.): «la filosofia è la cultura dell’animo» (cultura animi philosophia est).

Questa affermazione si fonda su una “metafora agricola”: in latino infatti la parola cultura deriva dal verbo colere, “abitare”, “coltivare”, e implica l’intervento modificatore di chi si stabilisce in un luogo per abitarvi e perciò lo trasforma, così come lavora e trasforma l’ambiente circostante al fine di coltivarlo. Cicerone dunque afferma che ciò che modifica l’animo, lo forma, lo fa diventare colto è la filosofia. Il termine “cultura” è qui riferito alla formazione dell’individuo sul piano intellettuale, ovvero all’acquisizione di un patrimonio di cognizioni attraverso una specifica preparazione in uno o più campi del sapere, in questo caso principalmente grazie allo studio della filosofia.

Nel volume Primitive culture (“Cultura primitiva”), del 1871, l’antropologo britannico Edward Burnett Tylor ▶ L’AUTORE | delineò la prima concezione antropologica di cultura: «La cultura, o civiltà, intesa nel suo ampio senso etnografico, è quell’insieme complesso che include la conoscenza, le credenze, l’arte, la morale, il diritto, il costume e qualsiasi altra capacità e abitudine acquisita dall’uomo in quanto membro di una società».

Questa definizione si differenzia profondamente dall’idea di cultura diffusa in Inghilterra e in Europa nell’ultimo quarto dell’Ottocento, e ha rappresentato per l’epoca una svolta notevole.

Essa contiene tre grandi rivoluzioni concettuali.

  • Con l’espressione «ampio senso ⇒ etnografico» Tylor intendeva sottolineare che, se la concezione classica di cultura si riferisce allo sviluppo di un singolo individuo, quella antropologica riguarda la condizione di tutte le società. Ogni società è infatti dotata di cultura, in ogni angolo di mondo e in ogni momento del tempo. In senso antropologico non esistono società, e quindi persone, prive di cultura.
    Nella concezione classica di Cicerone, il termine “cultura” implica la netta differenza fra la massa degli “incolti” e i pochi individui colti, membri questi ultimi di una aristocrazia intellettuale tipica di alcune società privilegiate che, per possibilità economiche e per capacità individuali e con uno sforzo assiduo e personale, sono riusciti a coltivarsi, a dirozzarsi, acquisendo una grande quantità di nozioni e di competenze in specifici ambiti del sapere. A partire dall’epoca di Tylor, la concezione antropologica di cultura prende le distanze da questa accezione elitaria prevalente: in senso antropologico la cultura caratterizza qualunque tipo di società, non importa se dotata o meno di scrittura e dunque primitiva.
  • Tylor propone un notevole ampliamento del significato di “cultura”; in senso antropologico la cultura è un «insieme complesso» costituito da una grande quantità di elementi: dall’arte alle credenze, dalla morale al diritto. L’elemento più importante introdotto da Tylor nel concetto di cultura è il  costume. Se la concezione classica concerne l’acquisizione di un sapere intellettuale nettamente distinto dai costumi, la concezione antropologica fa coincidere tutti i contenuti della cultura con i costumi.
  • La cultura in senso antropologico è «acquisita dall’uomo in quanto membro di una società». Tylor intuisce qui la presenza e l’importanza di dispositivi di ▶ inculturazione, sociali e collettivi, di forme di educazione e di apprendimento pratico, quotidiano, esperienziale, presenti in tutte le società e di cui spesso gli individui non sono nemmeno consapevoli. Questa considerazione è molto importante perché segnala che i contenuti specifici di tutte le culture si acquisiscono grazie alle interazioni sociali fra le persone, non dipendono dalla biologia, non si trasmettono con il sangue o per via genetica, e ciò, come vedremo, sarà un punto chiave per comprendere il difficile tema del razzismo unità 4, p. 141 |.

l’autore  Edward Burnett Tylor

Edward B. Tylor (1832-1917) nasce a Londra in una famiglia quacchera. Il suo orientamento religioso gli impedisce, a sedici anni, di proseguire gli studi universitari e inizia quindi a lavorare nella fonderia dei suoi genitori. All’età di ventitré anni, i primi sintomi della tubercolosi lo costringono a partire per curarsi negli Stati Uniti. Durante una sua visita a L’Avana conosce l’archeologo ed etnologo Henry Christy (1810-1865), che lo persuade ad accompagnarlo in uno dei suoi viaggi di ricerca in Messico sui resti dell’antica cultura tolteca. Quest’esperienza farà maturare in lui la convinzione di poter utilizzare lo studio dei selvaggi attuali per capire i resti archeologici delle comunità primitive insediate nel medesimo territorio: principio che diverrà basilare per l’evoluzionismo antropologico. Nel 1875 riceve il titolo di Regius Professor di diritto civile all’università di Oxford; nel 1883 ottiene l’incarico di custode del Museo di Storia Naturale dell’università di Oxford, un’esperienza che lo influenzerà nello sviluppo dell’antropologia museale come disciplina accademica. Nel 1896 ricopre la prima cattedra accademica di antropologia all’università di Oxford. La sua opera più completa e famosa è il volume Primitive Culture (1871), in cui viene formulata la prima definizione del concetto antropologico di cultura. Muore a Wellington nel 1917.

  esperienze attive

Cultura: usi e abusi di una parola Raccogli diversi esempi di come il termine “cultura/e” e/o l’aggettivo “culturale” vengono utilizzati nella tua vita quotidiana. Prendi in considerazione diverse fonti: giornali e riviste, social media, siti web, film, pubblicità, conversazioni quotidiane. Annota, nel modo più dettagliato possibile, gli usi del termine, il contesto, e i possibili significati. Confronta questi esempi con quelli dei tuoi compagni. Noti delle somiglianze tra questi usi del termine e il modo in cui lo intendono gli antropologi? Vi sono ambiguità o discrepanze nell’uso e nel significato del termine? Se sì, quali altri termini useresti per esprimere queste idee? Discutine in classe insieme agli altri.

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1.3 CULTURA E FILOGENESI

Da dove deriva la fondamentale capacità degli esseri umani di acquisire cultura?

Per rispondere a questa domanda è necessario affrontare il problema della comparsa della cultura nel processo di  filogenesi umana, ossia di sviluppo della specie umana.

Noi esseri umani siamo mammiferi appartenenti all’ordine dei primati, e ciò ci accomuna agli scimpanzé, con i quali condividiamo molti aspetti della nostra struttura biofisica, come per esempio le unghie piatte, che ci permettono di afferrare oggetti piccoli in modo molto preciso, e la visione a colori con due occhi frontali, che ci consente di percepire la profondità.

Solo noi, però, a differenza di tutti gli altri animali, siamo costruttori di utensili, utilizziamo un linguaggio articolato e possediamo una notevole capacità simbolica: solo noi siamo dunque capaci di cultura. Perché?

Fino a circa la prima metà del Novecento, la soluzione condivisa al problema dell’origine della cultura era la cosiddetta teoria del punto critico, proposta dall’antropologo statunitense Alfred Kroeber (1876-1960). Egli sosteneva che la capacità di acquisire cultura si fosse manifestata all’improvviso e in modo già completo provocando una rottura nella storia evolutiva dei primati. La cultura sarebbe infatti comparsa solo al termine dell’evoluzione organica, una volta raggiunte le dimensioni attuali del cervello umano (il punto critico), con l’Homo sapiens sapiens, circa 35 mila anni fa. Si sarebbe allora manifestato uno straordinario insieme di capacità e attività: la parola, il pensiero, le credenze, l’arte e così via.

Nella teoria del punto critico la cultura è l’«elemento superorganico», per utilizzare la celebre espressione di Kroeber, sorto in qualche modo su una base biologica completamente formata al termine dell’evoluzione degli  ominidi.

Questo modo di concepire l’essere umano si chiama modello stratigrafico: su uno strato naturale, organico, si sarebbe aggiunto all’improvviso e tutto insieme uno strato culturale, simbolico, come una sorta di software che si carica su un hardware.

Nel 1959 i coniugi Louis e Mary Leakey, entrambi paleontologi, scoprirono nella gola di Olduvai, in Africa orientale (Tanzania), i resti fossili di un ominide bipede dal cervello esiguo accanto a semplici utensili di pietra e a tracce di caccia in gruppo, incontrovertibili segni di organizzazione culturale. I Leakey riuscirono a stabilire che l’ominide aveva circa un milione e 750 mila anni, apparteneva cioè a un periodo in cui il cervello umano non aveva ancora raggiunto le dimensioni attuali. Apparve quindi chiaro come la capacità culturale fosse emersa gradualmente e in un arco di tempo molto lungo, scandito, secondo gli studiosi, da tre grandi rivoluzioni nella storia evolutiva dei primati:

  • la postura eretta, con la quale gli arti anteriori utilizzati per la locomozione diventano arti superiori;
  • la liberazione della bocca dalla funzione prensile che si sposta sugli arti superiori;
  • il conseguente progressivo sviluppo del linguaggio.

In modo molto significativo, l’antropologo e archeologo francese André Leroi-Gourhan (1911-1986) ha affermato che l’evoluzione umana comincia dai piedi e non dal cervello come sosteneva Kroeber.

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1.4 L’incompletezza dell’essere umano

Sulla base di numerose scoperte successive a quella dei coniugi Leakey, oggi sappiamo che lo sviluppo culturale è iniziato assai prima della fine dello sviluppo organico. L’homo habilis (circa 2 milioni e mezzo di anni fa) costruiva strumenti di pietra e campi base; circa un milione di anni dopo, l’homo erectus, con la scoperta del fuoco per scaldarsi, difendersi e cacciare, cominciò ad assaporare i cibi cotti, a raffinare il senso del gusto e a esprimerlo con forme via via più articolate di linguaggio.

In seguito, circa 300 mila anni fa, con l’homo sapiens comparvero i primi abiti rudimentali e soprattutto iniziò ad affiorare un tratto culturale assai rilevante sul piano antropologico: la sepoltura dei morti. Prendersi cura del corpo dei propri defunti denota un’attività simbolica estremamente complessa, probabilmente legata al sorgere di sistemi di credenze e a forme di affettività e di rispetto.

Grazie al contributo dell’antropologo statunitense Clifford Geertz (1926-2006), fra i maggiori del secondo Novecento, e agli studi di André Leroi-Gourhan, a partire dagli anni Settanta del Novecento, la teoria del punto critico venne sostituita con la teoria interattiva.

È errato rappresentare l’essere umano come una sorta di torta a strati, perché biologia e cultura non sono affatto due livelli meccanicamente sovrapposti l’uno all’altro e nettamente distinguibili e separabili. Al contrario, nel modello interattivo, l’uomo è concepito come un organismo complesso nel quale sfera biologica e sfera simbolica, natura e cultura, interagiscono e si integrano costantemente: per cui non ha senso chiedersi quale delle due sfere sia venuta prima nella storia evolutiva della specie.

Mediante milioni di anni di interazioni continue fra esseri umani, e fra esseri umani e ambiente, secondo Geertz l’uomo è diventato non solo il produttore di cultura, ma in senso specificamente biologico anche il suo prodotto. La cultura non è apparsa solo in seguito allo sviluppo biologico dell’uomo (modello stratigrafico), era già presente, invece, come elemento imprescindibile dell’evoluzione organica, contribuendo alla formazione dell’uomo odierno (modello interattivo).

La filogenesi umana ci consegna quindi un animale del tutto particolare, la cui caratteristica più profonda è l’incompletezza. A differenza degli altri animali, l’uomo dipende molto meno dai geni che dalla cultura.

La cultura non è un fattore aggiunto, per così dire, a un animale ormai completo; si presenta invece come l’ingrediente più importante del processo di produzione di questo animale. Il concetto di incompletezza si riferisce al fatto che il nostro codice genetico ci predispone a compiere operazioni molto più complesse di quelle effettuabili da qualunque altro animale, ma non ci indica esattamente quali.

Esempio: abbiamo l’istinto di ripararci, ma a differenza dei ragni o dei castori non sappiamo come costruire una tana; abbiamo l’istinto di mangiare per sopravvivere, ma se nessuno ce lo insegna non abbiamo modelli istintivi innati per procurarci il cibo.

In altre parole, se immaginiamo una gara sulla cui linea di partenza si trovano l’uomo e altri animali, al momento dello start l’uomo è quello che parte più svantaggiato di tutti proprio a causa della sua incompletezza biologica di base. Egli non ha un corredo istintivo efficace per adattarsi immediatamente a una specifica  nicchia ecologica, ciononostante è lui a raggiungere per primo il traguardo, proprio perché, potendo completarsi con forme specifiche di cultura variabili e storicamente determinate, è l’animale che più di ogni altro è riuscito a colonizzare l’intero pianeta.

Secondo Geertz, siamo animali incompiuti e non finiti che si completano e si perferzionano attraverso la cultura, e non attraverso la cultura in generale, ma attraverso forme di cultura estremamente particolari.

Gli studi sulla filogenesi sono di grande importanza antropologica perché dimostrano che l’essere umano non è affatto una macchina assemblata rigidamente una volta per tutte, ma è un organismo vivente che cresce e si modifica costantemente grazie a una estrema plasticità. Come vedremo nelle prossime unità, l’uomo necessita di continue forme di modellamento culturale, di apprendimento e di relazioni sociali. Per questo, tutti gli aspetti culturali che esamineremo (il genere, i rituali, le credenze, le strutture di parentela, i sistemi politici, le regole sociali, il senso estetico e così via) non sono mai dati una volta per sempre, ma sono costruzioni dinamiche, talvolta contraddittorie, molteplici, imperfette, storicamente fluide e in costante mutamento.

Il modello stratigrafico e il modello interattivo


per lo studio

1. Perché è molto importante che il costume sia stato inserito da Tylor fra gli elementi che costituiscono la cultura in senso antropologico?

2. Che cosa si intende con “modello interattivo”?

3. Che cos’è in antropologia l’incompletezza?


  Per discutere INSIEME 

Victor dell’Aveyron (o il ragazzo selvaggio) è stato un bambino che, a fine Settecento, sopravvisse all’abbandono da piccolo e trascorse la sua infanzia da solo nei boschi del Massiccio centrale, in Francia. Il bambino venne ritrovato a un’età di circa dodici anni, privo di capacità linguistica e comunicativa, incapace di relazionarsi con gli altri esseri umani. Cerca la storia di Victor su Internet e discuti insieme ai tuoi compagni sull’affermazione tyloriana: «la cultura è acquisita dall’uomo in quanto membro di una società».

I colori dell’Antropologia
I colori dell’Antropologia
Secondo biennio e quinto anno del liceo delle Scienze umane