3.1 LA TEORIA ECOLOGICA DI GIBSON
James J. Gibson | ▶ L’AUTORE |, uno dei più importanti psicologi del XX secolo nel campo della percezione, sviluppò in un saggio del 1979 la teoria ecologica della percezione, così chiamata perché il processo percettivo è strettamente legato al contesto (cioè all’ambiente, da qui l’aggettivo “ecologica”) in cui esso avviene. Secondo Gibson, infatti, tutte le informazioni che noi percepiamo sono già presenti nello stimolo offerto dall’ambiente circostante e possono essere quindi colte direttamente.
Esempio: davanti a una moka piena di caffè appena pronto percepiremo un oggetto compatto, di metallo rovente con un’estremità laterale sporgente di materiale non riscaldabile e facilmente impugnabile. Il fatto che il manico della moka in qualche modo ci suggerisca di prenderla proprio da quella parte è una sua caratteristica che ci riporta a un uso automatico e intuitivo dell’oggetto percepito.
Tale caratteristica viene chiamata da Gibson affordance, cioè un “invito” all’utilizzo. L’affordance dà quindi forti suggerimenti per il funzionamento delle cose. Quando questi inviti all’uso sono opportunamente sfruttati, basta guardare per sapere che cosa si deve fare, senza bisogno di figure, etichette o istruzioni. È proprio per questo che secondo Gibson il concetto di affordance è diretto, indipendente dalla cultura, dalla conoscenza e dalle aspettative delle persone.
Riassumendo, secondo questa teoria la percezione è dunque un processo:
- passivo, in quanto il soggetto deve solo riuscire a cogliere le informazioni;
- diretto, in quanto le informazioni percettive sono presenti nell’ambiente e non necessitano di ulteriore elaborazione.