1.3 IL MONACHESIMO OCCIDENTALE E LA REGOLA BENEDETTINA
L’esperienza dei padri e delle madri del deserto ebbe una grande risonanza e la loro eredità venne raccolta anche in Occidente, influenzando uno dei documenti più importanti dei primordi del monachesimo occidentale: la Regola benedettina, il prezioso testo in cui, nel 534, Benedetto da Norcia | ▶ L’AUTORE, p. 576 | fissò le norme di vita e l’indirizzo spirituale delle comunità monastiche da lui fondate. La rilevanza della Regola benedettina risiede nell’influenza di lunga durata che ha esercitato. Pur non essendo l’unico documento di questo tipo, infatti, circa tre secoli dopo, Carlo Magno la estenderà a tutti i monasteri del suo vasto regno: da quel momento in poi, per molto tempo, i monasteri in Europa saranno esclusivamente benedettini.
La Regola è composta da un prologo e da 73 capitoli, che affrontano tutti gli aspetti della vita monastica. È utile precisare che, mentre le madri e i padri del deserto erano anacoreti, cioè vivevano la maggior parte del tempo da soli, i monaci a cui Benedetto indirizza la sua Regola sono cenobiti, ovvero vivono in comunità. Per questo molte delle sue indicazioni riguardano i ruoli e i rapporti all’interno della comunità monastica. A capo di essa Benedetto pone l’abate, che è responsabile davanti a Dio di tutte le anime (cioè di tutti gli uomini) che sono nel monastero. Egli è tenuto a consultarsi con l’intera comunità o quantomeno con i più anziani, ma l’ultima parola su ogni questione spetta a lui. Per questo deve agire con giustizia ed evitare qualsiasi sopruso; deve inoltre mirare a essere amato, più che temuto. L’abate è eletto dalla comunità per la sua esemplarità. In questa elezione possono interferire gli abati di altri monasteri, il ▶ vescovo della ▶ diocesi in cui il monastero è situato o i fedeli, ma solo nel caso in cui essa venga giudicata assolutamente sconveniente. L’abate sceglie i decani, ciascuno dei quali è responsabile di un gruppo di dieci fratelli; il frate cellario, addetto alla dispensa; il frate portinaio, addetto all’accoglienza degli ospiti; e i frati responsabili degli oggetti del monastero.
Quando affida questi e altri incarichi, l’abate non deve fare preferenze ingiustificate né regolarsi in base al criterio dell’età, ma deve prediligere i più meritevoli. L’anzianità, d’altronde, non è data dall’età ma dalla data di ingresso nel monastero e questo principio disciplina anche i ruoli e i rapporti tra i monaci, che devono essere comunque improntati al rispetto e alla considerazione reciproca. Nessuno deve rivolgersi a qualcun altro chiamandolo solo con il suo nome, ma dovrà sempre anteporre a questo l’appellativo “fratello”, o “reverendo padre” se ti tratta di una persona più avanti nell’età. L’abate, invece, deve essere chiamato “signore” oppure “abate”.
Benedetto è particolarmente attento a tutti quegli squilibri che potrebbero tradursi in privilegi e quindi alimentare la vanità dei monaci. Per questo
appare restio alle ingerenze esterne, anche da parte di autorità religiose. In origine, infatti, le comunità monastiche erano costituite soprattutto o solamente da laici, persone cioè che non avevano ricevuto l’▶ ordinazione sacerdotale. I sacerdoti che volevano entrare in monastero dovevano accettare di sottomettersi totalmente alla Regola e attendere che la loro richiesta venisse esaminata con calma. Più in generale, gli aspiranti monaci non dovevano essere accolti frettolosamente: venivano sottoposti a un lungo tirocinio, costellato di ogni genere di prove e finalizzato a verificare la loro motivazione e disponibilità all’obbedienza. Dopo la sua promessa solenne di fronte alla comunità, infatti, al novizio non era più permesso di allontanarsi dal monastero e dalla Regola. Diverso era il caso dei bambini affidati al monastero, poiché erano i genitori a promettere al posto loro. Su di essi dovevano vigilare tutti i monaci, durante l’infanzia e l’adolescenza.
La Regola di san Benedetto elenca precise sanzioni per i monaci che commettono errori o mancanze e ammette le punizioni corporali; queste, mentre oggi non possono che apparirci insensate e perfino crudeli, sono giudicate particolarmente utili nei confronti dei bambini e dei ragazzi. La Regola disciplina il giorno e la notte del monaco e li suddivide in tempo di preghiera, lavoro, studio della Parola di Dio e riposo. Da ciò deriva la celebre espressione ora et labora, cioè “prega e lavora”, nella quale è sintetizzato il cuore della Regola. Benedetto stabilisce che i monaci preghino sette volte al giorno e una volta durante la notte, più i momenti liberamente scelti da loro, sia che si trovino in monastero sia che si trovino fuori per qualche commissione.
La Regola indica letture e invocazioni per i vari momenti di preghiera, a
seconda del periodo dell’anno; definisce ore e periodo della giornata dedicati allo studio dei Testi sacri e al lavoro. Similmente a quanto abbiamo visto per il monachesimo del deserto, quindi, il lavoro viene visto come supporto e necessario complemento alla preghiera. Inoltre, esso era tenuto in grande considerazione, poiché serviva a provvedere al sostentamento dei monaci, a fare l’elemosina per i poveri, ad allontanare l’ozio e a rafforzare la concentrazione dei propri pensieri verso Dio. I monaci dormivano tutti insieme oppure, quando erano troppi, in camerate da dieci o venti posti letto. Nel monastero ogni cosa doveva essere in comune e la proprietà privata era ritenuta un vizio: non era possibile neanche ricevere dei regali senza l’approvazione dell’abate, che comunque poteva decidere di destinarli a qualcun altro. Allo stesso tempo, la Regola stabilisce che a ciascuno venga dato secondo il suo bisogno e che l’abate moduli le sue disposizioni in base all’indole dei diversi monaci.Ognuno di essi doveva avere due sopravvesti, due tonache, scarpe, cintura, coltello, ago, fazzoletti e il necessario per scrivere. Il pranzo e la cena comprendevano due o tre pietanze calde, pane e un quarto di vino. Era proibito mangiare carne, eccetto che ai malati. Inoltre erano previsti dei digiuni, specialmente in alcuni momenti dell’anno. La Regola comanda di accogliere con la massima considerazione e benevolenza gli ospiti, soprattutto i pellegrini, gli altri monaci e i poveri, perché in essi si fa presente Cristo. Dunque la Regola benedettina costituisce un testo di pedagogia religiosa molto articolato e preciso. Nondimeno, nella conclusione, Benedetto ne riconosce la modestia, rimandando alle sacre scritture e ai testi dei Padri della Chiesa come fonti di ogni indicazione capace di condurre alla pienezza della vita.