FINESTRE INTERDISCIPLINARI - Storia delle donne nella magistratura in Italia

FINESTRE INTERDISCIPLINARI – Pedagogia & Diritto

STORIA DELLE DONNE NELLA MAGISTRATURA IN ITALIA

Che cos’è la magistratura?
Mentre nel mondo romano il termine “magistratura” designava genericamente ciascuna delle cariche pubbliche, in genere elettive, collegiali e limitate nel tempo, in cui si articolava l’ordinamento dello Stato, oggi con esso si indicano gli organi dello Stato deputati all’esercizio della giurisdizione in materia civile, penale e amministrativa.
L’ordinamento italiano riconosce alcune garanzie alla magistratura: l’indipendenza dagli altri poteri e l’autonomia.
L’esclusione delle donne
In Italia, solo dal 1963 vi sono state ammesse anche le donne. All’indomani della Seconda guerra mondiale, quando l’Assemblea costituente incaricata di redigere una nuova Costituzione si trovò a dibattere su questo punto, una delle obiezioni più forti all’accesso delle donne alla magistratura riguardava la loro presunta fragilità psicologica: le donne – si sosteneva – sono soggette a periodiche variazioni d’umore, che possono compromettere la costanza e l’obiettività nei giudizi. Si trattava dunque di diffidenza, legata a pregiudizi culturali e all’avversione nei confronti delle donne.
Voci favorevoli all’accesso delle donne
C’era invece chi, come Piero Calamandrei (avvocato e politico, 1889-1956) era favorevole all’ingresso delle donne nella magistratura, ma con alcune limitazioni. Era convinto, infatti, che in materie di diritto familiare o minorile non si potesse prescindere dal loro giudizio per garantire un equilibrio nella valutazione.
Altri ancora sostenevano che non fosse plausibile escludere le donne dalla magistratura, considerato che partecipavano a tutti i pubblici uffici e persino all’Assemblea costituente.
Nel tentativo di mediare tra posizioni così diverse, l’Assemblea costituente scelse di rimandare la decisione a leggi future e nell’articolo 51 stabilì che «tutti i cittadini dell’uno e dell’altro sesso possono accedere agli uffici pubblici e alle cariche elettive in condizioni di eguaglianza, secondo i requisiti stabiliti dalla legge». Tuttavia la normativa allora vigente in materia era la legge 1176 del 17 luglio 1919, che escludeva espressamente le donne dall’esercizio della giurisdizione.
La legge favorevole all’accesso delle donne
Ci sono voluti quindici anni dall’entrata in vigore della Costituzione perché questa legge venisse abrogata e fosse affermato il principio dell’uguaglianza di genere nell’accesso alla magistratura. La legge n. 66 del 9 febbraio 1963, proposta da un gruppo di deputate democristiane guidate da Maria Giulia Cocco (1916-2013), è composta di soli due articoli:

Art. 1. La donna può accedere a tutte le cariche, professioni ed impieghi pubblici, compresa la Magistratura, nei vari ruoli, carriere e categorie, senza limitazione di mansioni e di svolgimento della carriera, salvi i requisiti stabiliti dalla legge.
L’arruolamento della donna nelle forze armate e nei corpi speciali è regolato da leggi particolari.
Art. 2. La legge 17 luglio 1919, n. 1176, il successivo regolamento approvato con regio decreto 4 gennaio 1920, n. 39, ed ogni altra disposizione incompatibile con la presente legge sono abrogati.
Il primo concorso aperto alle donne
Il primo concorso aperto alla partecipazione delle donne fu bandito il 3 maggio 1963 e fu vinto da otto donne, che entrarono in servizio il 5 aprile 1965: Letizia De Martino, Ada Lepore, Maria Gabriella Luccioli, Graziana Calcagno Pini, Raffaella D’Antonio, Annunziata Izzo, Giulia De Marco, Emilia Capelli.
Attualmente, quasi la metà dei magistrati sono donne e, se continuerà il trend che le vede vincitrici di concorso in numero di gran lunga superiore a quello degli uomini, ben presto costituiranno la maggioranza. Allo stesso tempo, però, le donne magistrato in posizioni direttive costituiscono un’esigua minoranza.
Pregiudizi nei confronti dei giudizi delle donne
La loro importante presenza, inoltre, non sempre è garanzia di giudizi liberi da discriminazioni nei confronti delle donne. Lo dimostra un recente episodio: il 10 marzo 2019, tre giudici donna della Corte d’Appello di Ancona hanno assolto due giovani, condannati in primo grado, dall’accusa di violenza sessuale ai danni di una giovane peruviana. Le giudici hanno sostenuto che la vittima non fosse credibile perché troppo mascolina per suscitare un desiderio sessuale e, a riprova del fatto, hanno inserito una sua foto nel fascicolo. La Cassazione ha poi annullato la loro decisione.
Oltre alla presenza numerica delle donne nella magistratura, si pone quindi la sfida di un loro contributo realmente differente e incisivo per una trasformazione effettiva della società.

Dialoghi nelle Scienze umane - volume 1
Dialoghi nelle Scienze umane - volume 1
Psicologia e pedagogia - Primo biennio del liceo delle Scienze umane