1 - Famiglia e scuola nell’educazione a Roma

1. Famiglia e scuola nell’educazione a Roma

1.1 LA PLURALITÀ DEL MONDO ROMANO

La storia di Roma generalmente viene suddivisa in tre grandi periodi: età regia (753-509 a.C.), età repubblicana (509-27 a.C.) ed età imperiale (27 a.C.-476 d.C.).
La tradizione indica nel 753 a.C. la data della nascita di Roma. Da allora fino al 509 a.C. si sarebbero susseguiti sette re: Romolo, il fondatore della città e delle più antiche istituzioni politiche; Numa Pompilio, creatore dei primi istituti religiosi; Tullo Ostilio, promotore di vittoriose campagne militari nel Lazio; Anco Marzio, fondatore della colonia di Ostia; Tarquinio Prisco, primo re etrusco di Roma e promotore di importanti opere pubbliche; Servio Tullio, istitutore dei comizi centuriati, la più importante assemblea cittadina; e Tarquinio il Superbo, che la tradizione descrive come un re crudele.
La leggenda vuole che a causare il crollo della monarchia e l’instaurazione della repubblica fu la rivolta di un gruppo di aristocratici guidati dal marito e dal padre di Lucrezia, una nobildonna romana che si era tolta la vita dopo essere stata violentata da Sesto Tarquinio, figlio di Tarquinio il Superbo.
La storiografia moderna, che pure ha confermato alcuni aspetti di questa narrazione leggendaria, ha messo fortemente in discussione l’ipotesi della fondazione della città per effetto della scelta di un solo uomo. Si deve supporre, invece, un graduale processo che ha spinto le comunità che vivevano sparse sui vari colli ad aggregarsi. Allo stesso modo, al di là della storia della violenza subita da Lucrezia, all’origine della repubblica bisogna collocare la rivolta del patriziato romano contro un regime che aveva accentuato i suoi caratteri autoritari. Dopo la caduta della monarchia, Roma fu dominata per circa due secoli dalle lotte tra ▶ patrizi (il ceto dominante della società per prestigio sociale e potere economico) e plebei (un ceto più composito per natura, prestigio e attività esercitate). Questi conflitti portarono a importanti innovazioni giuridiche e determinarono l’assetto istituzionale repubblicanofondato su tre pilastri:
  • le magistrature. La massima magistratura (ossia carica pubblica) dell'ordinamento repubblicano era il consolato, una carica elettiva che godeva di ampi poteri, quali: il comando supremo dell’esercito, il diritto di stipulare accordi internazionali e di avanzare proposte di legge, la facoltà di convocare e presiedere il senato e le assemblee popolari. In considerazione di così grandi responsabilità, la carica veniva esercitata collegialmente da due consoli che godevano della stessa autorità ed era circoscritta a un anno. I principi della collegialità e del limite temporale regolavano anche le altre magistrature ordinarie (la pretura, l’edilità e così via);
  • il senato. Era il supremo organo politico dello Stato, composto da membri scelti tra gli ex-magistrati. Il ruolo centrale del senato nello Stato repubblicano risiedeva nel carattere vitalizio della carica, oltre che nei suoi vasti poteri in politica interna ed estera, tra cui la facoltà di ratificare le deliberazioni delle assemblee e di esprimere il suo parere su ogni legge che un magistrato intendeva sottoporre al voto delle assemblee;
  • le assemblee popolari. Erano composte dai cittadini romani, ovvero i maschi adulti liberi, che avevano ricevuto la cittadinanza perché figli di un cittadino romano, oppure perché l’avevano acquisita attraverso altri canali. Le assemblee popolari eleggevano i magistrati e svolgevano attività legislativa, ma la loro autonomia era fortemente limitata: non potevano autoconvocarsi né modificare le leggi che venivano loro sottoposte, ma solo accettarle o respingerle.
Le pressioni della plebe ebbero come primo esito, nella metà del V secolo a.C., la promulgazione delle leggi delle Dodici tavole, un codice di leggi scritte volte a dare una regolamentazione complessiva alla vita di Roma, che furono per lungo tempo il testo fondamentale non solo del diritto ma anche dell’educazione romana. Le successive conquiste della plebe, inoltre, sottrassero le cariche dello Stato al controllo esclusivo del patriziato e portarono progressivamente alla formazione di una nuova nobiltà, costituita dalle famiglie plebee più influenti e dalle famiglie patrizie che meglio avevano saputo adattarsi alla nuova situazione.
L’epoca repubblicana fu anche un periodo di grande espansione territoriale per Roma. Se alla fine della monarchia il suo territorio si estendeva dal Tevere alla regione pontina nel Lazio, intorno alla prima metà del III secolo a.C. la città dominava tutta l’Italia peninsulare e si apprestava ad ampliare il suo controllo sul Mediterraneo, scontrandosi quindi con Cartagine. Alla fine dell’epoca repubblicana, l’area sotto il dominio di Roma comprendeva a ovest quasi tutta la Spagna, la Sardegna e la Corsica, a nord quasi tutta la Gallia, a sud la Sicilia e gran parte dell’Africa mediterranea (Egitto compreso), a est la Dalmazia e tutto il territorio dalla Macedonia all’Armenia. Vale la pena sottolineare la conquista della Grecia (146 a.C.), per le importanti conseguenze culturali che, come vedremo, avrebbe esercitato sulla storia di Roma. La tarda repubblica fu caratterizzata da una grave crisi sociale e da figure politiche che riuscirono a imporre il loro primato, grazie ai successi riportati nelle guerre espansionistiche.
Il progetto di soppiantare l’ordinamento repubblicano con un regime monarchico, forse alimentato da Gaio Giulio Cesare (100-44 a.C.), fu portato a compimento dal suo figlio adottivo Ottaviano (63 a.C.-14 d.C.), che venne insignito del titolo di Augusto (“venerabile”), in seguito assunto da tutti gli imperatori romani: ebbe così inizio l’età imperiale. Bisogna però sottolineare che Ottaviano impostò il suo ▶ principato (27 a.C.-14 d.C.) in chiave carismatica, rispettando prudentemente le istituzioni e il popolo. Una concezione più autoritaria del potere si sarebbe affermata nei decenni seguenti, in particolare con il regno di Nerone (54-68 d.C.), per poi evolvere verso forme sempre più assolutistiche a partire dalla seconda metà del III secolo. Nella successione imperiale al criterio della consanguineità seguì quello della scelta attraverso adozione. Quest’ultimo si impose nel II secolo, periodo che, in ragione dello sviluppo economico, della fioritura culturale, dell’estensione e del consolidamento dei confini (l’impero raggiunse la sua massima estensione sotto l’imperatore Traiano, 98-117 d.C.), è considerato il più prospero dell’età imperiale. Più in generale, questa fase della storia di Roma è caratterizzata da due aspetti fondamentali:
  • il predominio dell’esercito sulle istituzioni politiche nella definizione delle sorti dell’impero;
  • la perdita di centralità di Roma a favore delle ▶ province.
Proprio da una delle province, la Palestina, cominciò a delinearsi, nel corso del I secolo d.C., un movimento religioso che avrà grande influenza sulla storia futura. In un primo momento, la comunità itinerante fondata da Gesù di Nazareth è solo una delle molteplici espressioni religiose nate in seno all’ebraismo (i sadducei, i farisei, gli esseni, gli zeloti); essa, tuttavia, consolidò progressivamente la sua organizzazione e durante il II secolo si diffuse in tutto l’impero, grazie a un’intensa opera missionaria che, anziché venire scoraggiata dalle persecuzioni, ne traeva nuova forza e motivazione. In particolare, risale al 250 la prima persecuzione sistematica contro i cristiani, che nel frattempo avevano ottenuto un certo consenso tra la popolazione, vessata dalla crisi morale, istituzionale e politica. A lungo andare, un altro elemento di fragilità si rivelò paradossalmente l’estensione territoriale raggiunta dall’impero, che arrivò a comprendere quasi 6 milioni di km2, con evidenti complicazioni sul piano della sua gestione. Con l’avvento di Diocleziano (284-305) e poi di Costantino (306-337) iniziò un’età di rinnovamento, definita tarda antichità. Tra gli importanti cambiamenti che caratterizzarono questa fase, bisogna ricordare la fine delle persecuzioni religiose, dopo quelle violentissime condotte proprio da Diocleziano, e una graduale affermazione del cristianesimo come religione dell’impero | ▶ UNITÀ 7, p. 570 |.
 >> pagina 490

1.2 LA FAMILIA ROMANA

La famiglia è stata un’▶ agenzia educativa fondamentale nell’antica Roma lungo tutta la sua storia, poiché riproduceva in miniatura lo Stato, trasmettendone i valori, gli ideali, le ▶ aspettative socialii ▶ ruoli di genere. La familia romana era un’istituzione molto diversa rispetto a ciò che oggi può essere per noi la famiglia, per due ragioni principali:
  • perché comprendeva numerosi membri: oltre al pater familias (“il capofamiglia”), alla moglie (mater familias) e ai loro discendenti, anche le mogli dei figli maschi, le schiave e gli schiavi;
  • per l’autorità incontrastata che il padre poteva esercitare al suo interno.
Questa autorità veniva chiamata in modo diverso a seconda dei soggetti coinvolti.
La patria potestas riguardava i figli e le figlie. Per la sua straordinaria durata, questo istituto rappresenta un caso unico nell’antichità. I figli romani, infatti, vi erano soggetti da quando venivano alla luce e spesso ben oltre la maggiore età, precisamente fino a quando avevano un ascendente maschio ancora in vita. E difatti la morte del pater familias non comportava la cessazione della patria potestas, bensì il suo trasferimento a un ascendente superstite.
Quando nasceva, il bambino veniva deposto ai piedi del padre, che poteva sollevarlo da terra, e così dargli il benvenuto nella famiglia, oppure destinarlo all’esposizione, cioè abbandonarlo lungo la strada, consegnandolo alla morte (il pater familias aveva infatti diritto di vita e di morte su tutti i membri della familia) o, nel caso in cui fosse stato raccolto da qualcun altro, a una vita di schiavitù. Inoltre, fino all’epoca repubblicana, il padre poteva vendere i suoi figli.
Le bambine erano le principali vittime della pratica dell’esposizione. Un’ulteriore espressione della loro soggezione al padre era la mancanza di un nome che le identificasse in modo esclusivo. Il sistema onomastico in uso a Roma, infatti, prevedeva che gli uomini avessero tre nomi: il nome individuale (praenomen), la scelta del quale era circoscritta a un numero ristretto di possibilità, il nome gentilizio (nomen), che richiamava la stirpe (gens) di appartenenza, e il nome del gruppo familiare (cognomen). Le donne, tuttavia, non avevano il nome individuale e venivano designate solo con il nome del padre o con il nome gentilizio femminilizzati (Aulia, Plautia, Saufeia, Cornelia, Tullia, Cecilia e così via).
A seconda della longevità del pater familias, la patria potestas poteva comportare diversi problemi nella vita di un uomo, innanzitutto perché egli non disponeva di un suo patrimonio e dipendeva economicamente dal padre o da chi esercitava la patria potestas. La condizione di subordinazione vissuta in famiglia, inoltre, poteva confliggere significativamente con l’autonomia che egli acquisiva nella sfera pubblica, quando, con la maggiore età, diventava a tutti gli effetti un cittadino romano.
Era definito manus il potere del pater familias sulla propria moglie e sulle mogli dei discendenti. Con il matrimonio la donna passava dalla sfera di controllo paterna a quella di chi esercitava il ruolo di pater nella famiglia del marito.
In epoca regia e agli inizi della repubblica, i riti di fidanzamento e matrimoniali non erano molto diversi da una compravendita e includevano norme simili a quelle che regolavano la proprietà delle cose. Successivamente, la condizione delle donne migliorò e il matrimonio assunse le sembianze di una relazione basata sull’intenzione reciproca di legarsi. Inoltre, in linea di principio, vennero riconosciuti diritti identici agli uomini e alle donne in materia di divorzio. Questo si realizzava automaticamente quando, in genere su iniziativa del marito, cessava la convivenza per il venir meno della volontà di essere marito e moglie.
Erano previste importanti limitazioni alla possibilità delle donne di ricevere un’eredità. Inoltre, anche se erano considerate titolari di diritti, le donne non potevano disporne liberamente, poiché erano sottoposte a tutela durante tutta la loro vita. In epoca imperiale le norme relative alla tutela si ammorbidirono, prevedendo la possibilità per le donne di scegliere e cambiare il tutore (di solito si trattava di un parente), e tale istituto scomparve definitivamente con l’imperatore Costantino.
La dominica potestas (letteralmente “potestà del padrone”), invece, veniva esercitata dal pater sugli schiavi e sulle persone che si trovavano presso di lui in una condizione simile alla schiavitù (per esempio sui figli che aveva acquistato da altri patres). Gli schiavi erano “oggetti” a tutti gli effetti e, come tali, potevano essere venduti o dati in usufrutto. Le madri in condizione di schiavitù non avevano alcun diritto sui loro figli, che erano proprietà del pater familias. Inoltre, diversamente dalle persone libere, gli schiavi non potevano contrarre matrimonio e le loro unioni, anche quando erano durature, restavano soggette alla volontà del padrone, che poteva interromperle vendendo un membro della coppia.

 >> pagina 491
  esperienze attive

L'unicità del nome Hai mai pensato che il nome che porti è espressione della tua unicità?

Sapevi che le modalità di attribuzione dei nomi sono cambiate nel tempo e ancora oggi sono diverse a seconda del contesto culturale?
Fai una ricerca sul tuo nome. Chi l’ha scelto e perché? Con quali persone della famiglia o della sfera pubblica ti mette in relazione? Qual è il suo significato?

1.3 IL COMPITO EDUCATIVO DELLA FAMILIA

Oltre a svolgere una funzione educativa in senso morale e pratico, il padre aveva il dovere di assicurare la formazione dei figli maschi, scegliendo accuratamente gli insegnanti e gli indirizzi pedagogici. La formazione aveva l’obiettivo primario di favorire l’inserimento dei ragazzi nella società in modo a loro confacente, perciò variava di molto a seconda dello status sociale della famiglia. Una simile attenzione non era riservata dal padre alle figlie, anche quando sussisteva un sincero affetto nei loro confronti. Era più frequente che le ragazze ricevessero un’istruzione nella casa del futuro marito, anche perché andavano in sposa molto giovani.
Un ragionamento diverso deve essere fatto rispetto alla figura maternadefinita da Rosella Frasca (pedagogista, n. 1950) un’educatrice nel senso più ampio del termine. Responsabile dell’allevamento, del sostegno, della guida etica dei figli, la madre romana indirizzava la vita matrimoniale sia dei maschi sia delle femmine e ne guidava una formazione ritenuta confacente alla loro appartenenza di genere, esercitando una profonda influenza anche in età adulta. Inoltre accompagnava e supportava la carriera dei figli maschi: un aspetto, questo, molto interessante, se si considera che le donne erano emarginate dalla vita sociale e politica romana. L’importanza della figura materna risalta nelle testimonianze del rispetto che i figli le riservavano e appare eccezionale poiché, a differenza di quanto accadeva per il padre, non esisteva una potestas specifica esercitata dalla madre e non erano previste sanzioni per punire eventuali disobbedienze commesse dai figli nei suoi confronti.

per immagini

Istruzione e status sociale

La coppia ritratta nell'immagine indossa abiti di pregio ed esibisce gli strumenti di scrittura: la donna ha in mano uno stilo e una tavoletta cerata (lignea, spalmata di cera e usata per scrivere), mentre l’uomo stringe un rotolo di papiro. È piuttosto dubbio che il panettiere Terenzio e sua moglie – i soggetti dell'affresco, che appartenevano alla piccola borghesia di provincia – sapessero leggere e scrivere. I coniugi, però, si fanno ritrarre come due persone istruite, il che è indicativo del fatto che i romani consideravano il possesso di un’istruzione come espressione di uno status elevato. È infatti evidente che attraverso questa immagine, visibile a chiunque entrasse nella panetteria, la coppia intendesse far mostra di aver raggiunto una condizione socio-economica di tutto rispetto.

 >> pagina 493

1.4 LE SCUOLE A ROMA

Nell’antica Roma l’istruzione si poteva compiere all’interno della famiglia oppure in un ambiente specificamente preposto, chiamato ⇒ ludus. Il ludus poteva essere situato nell’abitazione dell’insegnante o in una struttura esterna. Poteva inoltre essere amministrato dall’insegnante stesso, finanziato da un gruppo di genitori oppure – a partire dall’imperatore Vespasiano (69-79 d.C.) – gestito dallo Stato.
I bambini e gli adolescenti che frequentavano la casa di un maestro o la scuola pubblica venivano accompagnati da uno schiavo, in genere di poco più grande, chiamato variamente pedisĕquus, paedagōgus, custos, comes. Questi, oltre a proteggere il padroncino durante il tragitto, lo aiutava nell’esecuzione dei compiti poiché, frequentando la scuola insieme a lui, riceveva la sua stessa formazione. A volte era il padre che accompagnava il figlio e partecipava alle lezioni, per sincerarsi della qualità dell’istruzione. Quando invece il padre non era in grado di occuparsi del percorso educativo dei figli, affidava questa responsabilità a una persona di sua fiducia.
A ogni modo, il confronto costante che ambedue i genitori intrattenevano con l’insegnante costituisce un aspetto originale dell’educazione romana.
Questo confronto non si traduceva sempre in un’▶ alleanza educativa: al contrario, diverse testimonianze mettono in luce una certa conflittualità. Da una parte, infatti, gli insegnanti mal sopportavano le ingerenze dei genitori rispetto ai loro metodi educativi, non di rado improntati alle “maniere forti”. Dall’altra, accadeva che i genitori imputassero agli insegnanti gli scarsi profitti dei propri figli e rifiutassero persino di pagarli per il lavoro svolto. In generale, la figura dell’insegnante non godeva di un grande riconoscimento sociale, soprattutto dal momento in cui cominciò a essere inflazionata per l’arrivo in città di un gran numero di schiavi di origine greca che si dedicavano a questa professione.
L’istruzione si divideva in tre gradi: la scuola primaria iniziava a sei/sette anni; l’istruzione secondaria intorno ai dodici anni e gli studi superiori dopo i quattordici anni. Questi ultimi erano appannaggio delle persone di rango agiato, libere da impegni materiali.
I contenuti dell’educazione cambiarono nel tempo, anche a seconda della sensibilità dell’epoca. A lungo la retorica e i suoi insegnanti, i rhetŏres, furono vittima delle diffidenze che colpivano più in generale tutto ciò che avesse ascendenza greca, ma con il passare del tempo l’arte di comporre discorsi prese sempre più piede e i rhetŏres acquisirono credito, affermandosi sulle altre categorie di insegnanti (per esempio i grammatici, preposti all’insegnamento della lingua e della letteratura latina e greca). La fama delle scuole di retorica, tuttavia, coincise spesso con una perdita del loro valore formativo: cominciarono a essere viste solo in chiave utilitaristica, come luoghi in cui acquisire gli strumenti necessari alla scalata politica. Anche la filosofia veniva osteggiata: infatti, lo spiccato pragmatismo conduceva i romani a preferire decisamente la scienza applicata.
Marco Terenzio Varrone (letterato, 116-27 a.C.), nell’opera intitolata Le discipline, propose una classificazione del sapere sulla base delle arti liberali (le discipline ritenute degne dell’uomo “libero”), che comprendevano: grammatica, dialettica/retorica, geometria, aritmetica, musica, astrologia/astronomia, architettura. Altri autori vi includevano anche la filosofia, la medicina e l’▶ agrimensura.
Gli schiavi appartenenti alle famiglie più facoltose venivano istruiti nel paedagogium, una scuola professionale con vari ordini e indirizzi, riservata sia a donne sia a uomini. Nel paedagogium si imparava a servire elegantemente a tavola, ad assistere i padroni nelle operazioni di toilette, a supervisionare gli schiavi addetti ai lavori materiali. I più dotati venivano formati per diventare segretari e bibliotecari. Altri spazi educativi erano le botteghe e i laboratori artigianali, dove i giovani apprendisti dei ceti sociali mediobassi erano introdotti alla futura professione, soprattutto grazie alla relazione educativa con il maestro e all’osservazione del suo operato.

 >> pagina 495

1.5 ATTIVITÀ FISICA ED EVENTI LUDICO-SPORTIVI

I romani avevano particolarmente a cuore l’educazione della mente e l’attività fisica non era valorizzata in chiave educativa. Fanno eccezione i collegia iuvenum, associazioni giovanili cui venivano iscritti i ragazzi delle famiglie agiate dagli undici ai diciassette anni. Dotati di una propria sede (con stadio, palestra, bagni, cavalli e altre dotazioni a seconda delle possibilità economiche dei finanziatori), i collegia promuovevano manifestazioni in cui si fondevano preparazione ginnica, riti di passaggio e ▶ feste iniziatiche.
Per il resto, l’attività fisica era finalizzata alla preparazione militare dei giovani, oppure era circoscritta all’ambito dell’intrattenimento e, in questa veste, veniva spesso biasimata dagli intellettuali. Gli atleti che gareggiavano negli eventi ludico-sportivi, pertanto, erano soprattutto schiavi e stranieri;
a volte vi si dedicavano anche i romani appartenenti ai ceti più poveri. In epoca imperiale si tenevano giochi tutto l’anno. Il favore che riscuotevano presso il popolo fece sì che diventassero uno strumento per garantire consenso e sostegno al potere vigente. Lo dimostra una celebre locuzione usata dal poeta satirico Giovenale (I-II secolo d.C.): panem et circenses (letteralmente “pane e giochi”), divenuta paradigmatica di ogni governo che si mantiene soddisfacendo gli istinti del popolo.
I giochi più celebri erano i ▶ munera gladiatori, di cui erano protagonisti gladiatori (così chiamati dal gladius, la piccola spada di cui spesso erano muniti per combattere) e fiere. Inizialmente avevano scopi rituali, ma con il tempo divennero dei veri e propri spettacoli. Erano giochi molto violenti e vennero abbandonati in seguito all’affermazione del cristianesimo, dopo che parecchi cristiani vi persero la vita subendo la disumana condanna ad bestias, consistente nell’affrontare inermi le belve nell’arena. La violenza si esprimeva anche tra la tifoseria, come testimonia lo storico Tacito (I-II secolo d.C.) raccontando gli scontri che, nel 59 d.C., contrapposero i tifosi di Nocera e quelli di Pompei, causando morti e feriti.
per lo studio

1. Descrivi il percorso educativo di un bambino romano appartenente a una famiglia agiata.
2. Quali erano le prerogative e le responsabilità del pater rispetto agli altri componenti della familia?
3. Metti in evidenza le caratteristiche principali delle diverse tipologie di scuola presenti nel mondo romano: a chi erano rivolte? Quali contenuti venivano affrontati? Quali finalità perseguivano?


  Per discutere INSIEME 

Abbiamo visto che a Roma gli insegnanti non godevano di molta considerazione. Come sono cambiate le cose oggi? Fai una ricerca sul riconoscimento economico e sociale degli insegnanti in Italia e poi discutine in classe con i tuoi compagni.

Dialoghi nelle Scienze umane - volume 1
Dialoghi nelle Scienze umane - volume 1
Psicologia e pedagogia - Primo biennio del liceo delle Scienze umane