2 - La pedagogia dialogica: Socrate e Platone

2. La pedagogia dialogica: Socrate e Platone

2.1 SOCRATE E IL SAPERE DI NON SAPERE

Socrate | ▶ L’AUTORE | rappresenta un grande enigma storico perché non scrisse nulla: egli infatti concepiva la sua filosofia come una ricerca, anziché come una dottrina da divulgare. Ciò che sappiamo di lui proviene quindi solo da testimonianze indirette, tra cui quella di Platone, che fu suo allievo e fece di lui il protagonista di gran parte dei suoi ▶ Dialoghi, e quelle di Senofonte, Aristofane e Aristotele.
Platone racconta che inizialmente Socrate si dedicò allo studio della natura e delle dottrine dei vecchi sapienti ma ne rimase deluso, perché esse non riuscivano a spiegare il senso e la ragione che soggiacciono alle cose.
Egli spostò perciò il suo interesse sui discorsi (lógoi), sull’argomentazione razionale e critica finalizzata alla verifica e alla confutazione delle conoscenze certe dei suoi concittadini. La sua abilità retorica nel confutare ogni certezza gli attirò le aspre critiche dei contemporanei, che lo accusavano di voler rovesciare il sistema dei valori tradizionali della società ateniese e di corrompere gli animi dei giovani con discorsi ingiusti e con il culto di nuove divinità, e proprio con queste accuse lo condannarono a morte.
La ragione di questa condanna risiede negli sviluppi storici successivi alla sconfitta subita da Atene ad opera di Sparta nella guerra del Peloponneso (431-404 a.C.); dopo l’affermazione di un regime oligarchico filospartano (passato alla storia come governo dei Trenta tiranni) che durò quasi un anno, ad Atene venne restaurata una democrazia conservatrice e chiusa che, nel disperato tentativo di sopravvivere al cambiamento inarrestabile che stava portando alla fine delle póleis, reputava pericolose la spregiudicatezza e l’indipendenza del pensiero socratico. Socrate metteva in discussione, infatti, i luoghi comuni, i pregiudizi socialmente accettati, le infondate presunzioni di sapienza. Era instancabile, e anche provocatorio, nel mostrare agli ateniesi, umili o illustri che fossero, che essi agivano sulla base di opinioni recepite e ripetute in modo acritico, di cui non comprendevano né le ragioni né il senso né le conseguenze.
Egli ha in comune con i sofisti l’interesse per l’uomo (e non per la natura come nelle dottrine precedenti) e l’uso della dialettica come strumento di indagine filosofica, ma se ne distanzia per il rifiuto del relativismo assoluto e dell’uso della retorica come esercizio fine a se stesso.
Lo scopo e l’oggetto della filosofia, secondo Socrate, è la conoscenza della virtù. Se infatti non è possibile conoscere i principi del cosmo e della natura, l’unica scienza perseguibile attiene all’attività umana, ovvero alla sfera morale.
Ma mentre i sofisti identificano la virtù con il buon senso, cioè con la scelta di ciò che le circostanze indicano come utile, Socrate identifica la virtù come il bene universale, di cui le diverse virtù, come la saggezza, il coraggio, la temperanza, sono singole manifestazioni. Egli ritiene che la virtù sia qualcosa che l’uomo può giungere a possedere attraverso un cammino di conoscenza, mettendo in discussione il proprio presunto sapere e riconoscendo la propria ignoranza.
Tutta la dottrina socratica si fonda in effetti sulla consapevolezza del sapere di non sapere, che è però il presupposto del desiderio di conoscere e, quindi, del sapere stesso. Ne consegue che la sapienza non è un possesso, ma una continua e incessante ricerca in direzione della virtù.
L’unica via che porta al bene, secondo Socrate, è appunto il sapere: l’uomo non sceglie deliberatamente di fare del male, egli compie il male perché la sua idea del bene è errata e perciò non coincide con il concetto universale di bene. La virtù è quindi essenzialmente un’attività logica, che può essere insegnata. L’insegnamento socratico, tuttavia, non consiste in una trasmissione di verità, cosa impossibile dato che Socrate parte dall’assunto di non conoscere nulla, ma nell’aiutare l’altro a mettere in luce il suo sapere nascosto.
Socrate paragonava il suo metodo all’arte della levatrice, che egli aveva appreso dalla madre, e il metodo socratico prende appunto il nome di maieutica (dal greco maieutiké [téchne] “arte della levatrice”). Come la levatrice aiuta le donne a partorire, così Socrate attraverso una dialettica stringente aiutava gli uomini a partorire, cioè a “trarre alla luce” il loro sapere, dunque a fare emergere un punto di vista non appannato da opinioni ripetute con superficialità. In questo modo, grazie al dialogo filosofico, il raggiungimento di un’opinione su qualcosa diventava una conquista personale. L’interrogazione socratica partiva da una domanda: “Che cosa intendi quando parli di... (per esempio: giustizia, coraggio, religiosità, virtù)?”. L’interlocutore, per controbattere alle obiezioni che Socrate muoveva alla sua risposta, era costretto a riformulare la sua opinione, e da questa riformulazione venivano fuori incoerenze e contraddizioni, oppure parzialità e inadeguatezza. Così facendo, Socrate dimostrava all’interlocutore che i presupposti delle sue tesi erano spesso luoghi comuni oppure nascevano da premesse errate.
Socrate viene raccontato da Platone come l’uomo più giusto e più saggio della città. Nell’Apologia di Socrate e nel Critone (due dialoghi platonici) spiega perché scelse di non fuggire, accettando la condanna a morte: dopo avere, per l’intera sua vita, riflettuto in merito alla giustizia e al rispetto delle leggi, come avrebbe potuto venire meno alle leggi dello Stato con la fuga, smentendo così il compito educativo che si era assunto di fronte alla città? Scelse dunque di non scagionarsi e affermò, orgogliosamente e provocatoriamente, di meritare di essere mantenuto a spese dello Stato per il bene che aveva prestato alla città con il suo impegno.

L'AUTORE  Socrate

Figlio di un artigiano e di una levatrice, Socrate nasce ad Atene nel 470 a.C. Si allontana dalla città solo tre volte, per partecipare come soldato ad alcune battaglie.
Dedica tutta la sua vita alla filosofia, intesa come esame incessante di sé e degli altri.
Viene descritto dalle fonti come un uomo dall’aspetto inquietante, somigliante a un Sileno, personaggio mitologico dalle sembianze sgradevoli (naso corto e schiacciato, labbro grosso, sguardo taurino), caratteristica, questa, che contribuì a creare attorno alla sua figura un’aura di fascino particolare, capace al contempo di attrarre e di respingere.
La sua influenza è già molto nota ad Atene, quando alcuni democratici lo denunciano con l’accusa di non riconoscere gli dèi tradizionali della città, di introdurre nuove divinità e di corrompere i giovani. Socrate non tenta né di scagionarsi né di lasciare Atene, e viene condannato a morte nel 399 a.C.

per immagini

Perdurare nella virtù fino alla morte

Nel dialogo intitolato Fedro, Platone racconta l’ultimo giorno di vita di Socrate, trascorso a discorrere dell’immortalità dell’anima insieme con i suoi discepoli. Il Fedro è la fonte d’ispirazione di questo dipinto, anche se David non segue pedissequamente il racconto platonico. Socrate è rappresentato nell’atto di ricevere la coppa contenente l’infuso a base di cicuta che gli procurerà la morte. I discepoli, raccolti intorno al suo letto, mostrano evidenti segni di scoramento e disperazione. Non così Socrate, che trascorre gli ultimi istanti della sua vita esortandoli alla virtù. Tendendo distrattamente la mano destra in direzione della coppa, volgendo lo sguardo nella direzione opposta e additando il cielo con la mano sinistra, egli mostra chiaramente di non tenere in nessun conto la morte.

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2.2 LA FILOSOFIA DI PLATONE: UN SISTEMA APERTO

Platone | ▶ L’AUTORE | comincia a scrivere dopo la morte di Socrate (399 a.C.), alla cui voce affida le sue tesi in molti dei suoi dialoghi. La vasta produzione letteraria, la difficoltà di ricostruire una precisa cronologia per gran parte delle sue opere e l’assenza di un sistema filosofico organico rendono complessa e riduttiva l’operazione di sintesi del suo pensiero. I temi affrontati nei dialoghi intrecciano il piano etico, politico, pedagogico, ▶ gnoseologico e cosmologicoLa loro stretta interdipendenza fa sì che non sia possibile accostarsi alla concezione pedagogica di Platone senza inquadrarla nell’ampia riflessione filosofica di cui fa parte.

L’AUTORE  Platone

Platone nasce ad Atene nel 427 a.C. da una famiglia aristocratica che per parte di padre faceva risalire le sue origini al mitico Codro, ultimo re di Atene, e per parte di madre contava tra i suoi antenati il legislatore Solone. Suo zio materno è Crizia, protagonista del colpo di Stato che nel 404 rovescia la democrazia ad Atene e leader dello spietato regime oligarchico dei Trenta tiranni che per un anno tiene in suo potere la città.
Platone riceve dalla famiglia un’educazione di tipo aristocratico, ma l’incontro con Socrate, intorno al 408, segna in modo inesorabile il suo destino e fa virare la sua vita verso la filosofia, nella quale egli trova una strada per migliorare se stessi e la propria città. Le vicende politiche contemporanee, ovvero la disfatta di Atene conseguente alla guerra del Peloponneso, il colpo di Stato dei Trenta tiranni e poi la restaurazione, nel 403, di una democrazia così ingiusta da condannare a morte Socrate, l’uomo più giusto, sono il motore delle riflessioni che lo impegneranno per tutta la vita.
Platone si reca tre volte a Siracusa, presso la corte del tiranno Dionigi I (nel 388) e poi del successore di questi Dionigi II (nel 367 e nel 361), per impartire i suoi insegnamenti ai governanti siracusani e tentare di mettere in pratica il suo progetto del "filosofo al potere" teorizzato nella Repubblica, ma tutti e tre i viaggi si concludono con una profonda delusione.
Al rientro dal primo di questi viaggi, intorno al 387, fonda l’Accademia. Muore ad Atene nel 347.
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Il dialogo pedagogico
Platone scrive moltissimo e sceglie il dialogo come strumento di comunicazione filosofica. Dunque, anziché esporre la verità in forma di trattato, immagina o riporta conversazioni che riproducono una comunicazione diretta tra uomo e uomo. La forma dialogica gli permette di “salvare” le parole del maestro Socrate, altrimenti destinate all’oblio, ma anche di mettere in pratica la sua idea di filosofia come azione, come spazio problematico in cui convivono tesi contrapposte, in linea con la concezione socratica della filosofia come sapere aperto, ricerca inesauribile della verità in un continuo interrogarsi. L’insegnamento di Platone all’Accademia (la scuola da lui fondata) | ▶ APPROFONDIAMO, p. 451 |, ispirato al modello di formazione descritto nella Repubblica, era appunto incentrato sul dialogo, sul susseguirsi di dubbi e domande rispetto a temi di ricerca condivisi (all’esistenza di insegnamenti di Platone non scritti fa esplicito riferimento Aristotele, che fu suo allievo).
Platone si avvale spesso del mito per esprimere in modo accessibile e intuitivo concetti e dottrine altrimenti incomprensibili ai più. Il racconto fantastico e simbolico gli offre inoltre la possibilità di accedere a terreni scivolosi e impervi, nei quali la mente razionale non si muove con agio.
Tutti i dialoghi, in diversa misura e modalità, si interrogano sul tema della giustizia, ovvero su come costruire una società in cui prevalga il bene collettivo.

Il problema della conoscenza stabile e il mondo delle idee
Platone sviluppa il suo pensiero filosofico poco tempo dopo quello dei sofisti, secondo i quali la verità è inconoscibile all’uomo e il giudizio è relativo e dipende dalla convenienza. Egli avverte la pericolosità del relativismo sofistico, che non lascia spazio a una conoscenza stabilmente vera su cui fondare uno Stato giusto.
L’ignoranza della giustizia genera mostruosità. Il giovane Platone lo sa bene, colpito com’è dal dolore per la morte di Socrate e dall’impotenza e dalla disperazione per l’ingiustizia che vige nella città nonostante la restaurazione della democrazia. Egli, tuttavia, non si rassegna né al relativismo e al soggettivismo, che non offrono niente di certo a cui affidarsi, né all’idea che l’ingiustizia sia l’unica condizione possibile per l’umanità. Platone orienta anzi la sua riflessione proprio alla dimostrazione dell’esistenza del Bene e della Giustizia, ossia di valori universali nei quali tutti gli uomini possano riconoscersi e ai quali debbano ispirare il proprio operato.
Fondamento e presupposto di tale dimostrazione è la cosiddetta “teoria delle idee”, ossia l’ipotesi che esista una realtà superiore a quella del ▶ mondo sensibile, nella quale risiedono i concetti ideali delle cose del mondo.
Come i concetti della geometria si basano su figure ideali (il triangolo, il quadrato e così via) che rendono oggettivi i teoremi, così è plausibile che esistano anche concetti ideali di tutte le cose del mondo. Questi concetti ideali sono le idee, entità immutabili, universali e perfette, che esistono per proprio conto in un luogo diverso dalla terra, l’iperuranio, e delle quali le cose reali sarebbero riproduzioni o copie imperfette e instabili. Nell’iperuranio le idee si dispongono in un ordine gerarchico piramidale, con l’idea del Bene al vertice.
Se le idee non esistono in questo mondo, in che modo sono conoscibili all’uomo? E in che modo possono garantire l’esistenza di qualcosa di vero e certo nel mondo sensibile, così mutevole?
Platone mette in collegamento il mondo delle idee e il mondo sensibile attraverso la teoria della reminiscenza: le idee non sono conoscibili attraverso i sensi, ma solo grazie al pensiero, o più precisamente, attraverso un ricordo o “anamnesi”: l’anima, che Platone considera immortale, prima di incarnarsi nel corpo è vissuta nel mondo delle idee e, una volta incarnata, conserva memoria di ciò che ha visto. Conoscere, dunque, non è altro che ricordare, richiamare alla memoria ciò che si sa già.
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La risposta politica: l’educazione come strada verso il bene
Se in cima a tutte le idee c’è quella di Bene, dalla quale dipende l’idea di Giustizia, quali azioni bisogna intraprendere affinché la giustizia regni nel mondo reale? Se la città esistente è malata, qual è la cura per guarirla?
Platone considera l’umanità prevalentemente irrazionale e attratta dalle ricchezze, dal potere e dal piacere, ma ritiene che una buona educazione in un’anima ben predisposta possa temperare ed equilibrare gli impulsi.
Egli sostiene che per rendere più giusta la società occorre assegnare proprio alla città il compito di educare se stessa, attraverso un progetto educativo ragionato e coerente. Le democrazie e le oligarchie sperimentate hanno fallito la missione di guarire la città: le democrazie falliscono perché i politici ottengono il potere grazie al consenso del popolo e quindi sono costretti a adularlo invece di educarlo; le oligarchie, invece, perché sono al servizio della propria brama di mantenere e accumulare ricchezza.
Ma allora quale potere è giusto? E, ancora prima: come costruire le premesse per un potere giusto, se l’uomo è avido di potere, di ricchezza e di sopraffazione? Chi sono e dove si trovano i buoni medici per guarire la città?
Nel V libro della Repubblica Platone afferma che gli unici medici capaci di curare la pólis sono i filosofi, perché, non essendo sottomessi alla loro parte irrazionale, riescono a coltivare il bene della collettività secondo giustizia.
Lo Stato, secondo Platone, deve essere composto di tre classi di cittadini, ognuna con il proprio ruolo: governanti-filosofi, guardiani (o guerrieri) e produttori (o lavoratori). Questa tripartizione trova corrispondenza nella tripartizione dell’anima umana, divisa in:
  • anima razionale: ha sede nel cervello e la sua virtù principale è la saggezza (propria dei governanti-filosofi);
  • anima irascibile: ha sede nel cuore e la sua virtù principale è il coraggio (proprio dei guardiani);
  • anima concupiscibile: risiede nel ventre e la sua virtù principale è la temperanza (propria dei produttori).
C’è giustizia quando le tre classi corrispondenti alle tre parti dell’anima sono in armonia. Ciò si realizza quando ciascuno svolge il proprio compito, ossia: governare (governanti-filosofi); difendere lo Stato (guardiani);
provvedere al benessere economico dello Stato (produttori). Tale compito viene assegnato a ciascuno non per nascita ma in base alla sua inclinazione naturale, cioè alla parte dell’anima che in lui prevale.
Il programma politico di Platone attribuisce grande importanza al tema dell’educazione. L’attività educativa ha come fine l’individuazione e la formazione dei futuri governanti e dei guerrieri, pertanto essa sarà completamente gestita dallo Stato. Rimarrà invece esclusa dal progetto educativo la classe dei lavoratori, sia perché la funzione che essi svolgono richiede soltanto un apprendimento di tipo tecnico, sia perché la temperanza, che è la virtù che li contraddistingue, li tiene lontani da ambizioni di potere.
Platone afferma che la condizione necessaria perché un governante sia giusto è che non possegga alcun bene privato che lo distolga dall’attenzione per la gestione del bene comune. Poiché la ricchezza e la povertà sono nocive allo Stato, devono essere bandite entrambe. Le due classi al potere, inoltre, non devono nemmeno avere famiglia; saranno in comune, oltre ai beni, anche i figli e le donne, e queste dovranno godere di una completa uguaglianza.

approfondiamo  L’ACCADEMIA

Intorno al 387 a.C., in un luogo remoto e solitario alla periferia nord di Atene, Platone individua, in un santuario consacrato alle Muse, la sede della sua scuola. La chiama Accademia in onore dell’eroe Academo, cui era dedicato un bosco sacro che sorgeva nelle vicinanze.
Platone teneva le sue lezioni in uno dei ginnasi dell’area religiosa consacrata alle Muse. La scuola era frequentata da giovani provenienti da ogni luogo della Grecia e l’attività era organizzata sul modello comunitario delle scuole pitagoriche.
Essa preparava gli allievi alla vita pubblica attraverso la filosofia, in aperta concorrenza con la scuola di Isocrate, nella quale l’insegnamento era invece incentrato sull’eloquenza e sulla retorica.
La scuola continuò la sua attività anche dopo la morte di Platone e rimase in vita per più di otto secoli, fino a quando, nel 529 d.C., fu chiusa per ordine dell’imperatore Giustiniano, che espulse da Atene gli ultimi filosofi pagani.

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L’educazione: centralità della musica e della ginnastica
Platone è convinto che una buona educazione sia in grado di indirizzare spontaneamente gli esseri umani verso il Bene. Il tema della pedagogia è presente in molti dei suoi dialoghi, soprattutto nella Repubblica e nelle Leggi, dove è descritto nel dettaglio il percorso educativo che le prime due classi di cittadini dovranno seguire.
I futuri filosofi dovranno dapprima cimentarsi nella musica e nella ginnasticaper poi dedicarsi allo studio delle discipline matematiche fondamentali: l’aritmetica, la geometria e l’astronomia. Queste discipline sono preparatorie allo studio della dialettica, che intraprenderanno solo fra i trenta e i trentacinque anni. Fra i trentacinque e i cinquant’anni dovranno affrontare un tirocinio pratico nelle cariche militari e civili, e solo dopo i cinquanta, se tutti gli studi saranno stati portati a termine con buoni risultati, i filosofi potranno diventare governanti.
Pure i guardiani dovranno essere educati bene, perché la loro parte irascibile non si rivolga contro i loro stessi concittadini. La loro formazione avverrà dapprima attraverso l’ascolto delle narrazioni e dei miti più edificanti e che possano costituire un buon esempio, poi attraverso l’educazione musicale – nella quale saranno prediletti i ritmi ordinati e “virili” – e la ginnasticasenza però mai eccedere nella cura della bellezza del corpo. I potenziali guardiani saranno osservati durante tutto il corso degli studi e, se giudicati appropriati al compito, verranno posti a guardia della città.
Questa educazione al servizio della politica ha il compito di indirizzare le anime e i corpi verso alcune norme comportamentali stabilite e ritenute giuste e verso una condizione di equilibrio, che rifugga sia dall’estremo dolore sia dall’estremo piacere. Vivere una vita misurata, lontana dagli eccessi e dalla sfrenatezza, garantisce alla città sicurezza, giustizia e pace. Le discipline fondamentali per la formazione delle classi dei guardiani e dei filosofi sono la ginnastica e la musica proprio perché la loro combinazione è capace di indurre misura ed equilibrio nell’anima e nel corpo. Non ci può essere paidéia, infatti, se lo studio teorico non è bilanciato dall’esercizio del corpo, esattamente come non esiste virtù in un corpo perfettamente allenato ma privo di un’anima misurata.
Il cuore della paidéia, per Platone, è l’allenamento fisico, ma questo non ha il solo scopo di rendere il corpo sano e bello, bensì di sviluppare la forza morale: una buona educazione deve persuadere intimamente a perseguire il bene proprio e quello dello Stato come un solo fine. La ginnastica va praticata insieme alla musica e viceversa: la ginnastica, non bilanciata dalla musica, trasformerebbe il coraggio in durezza e rozzezza; mentre la musica, da sola, renderebbe l’anima troppo molle.
Le composizioni musicali, secondo Platone, devono riflettere il principio del Bello: poiché gli accordi musicali sono una copia degli accordi celesti, essi esercitano un’influenza benefica sull’anima che li accoglie.
Il percorso formativo non è riservato soltanto ai maschi: nel V libro della Repubblica viene sostenuta con forza la necessità che, per il benessere della pólis, partecipino della vita della città anche le donne, le quali, pur essendo più deboli degli uomini, hanno la capacità di adempiere ogni compito.
Poiché l’obiettivo della formazione individuale è quello di comporre una collettività coraggiosa e misurata, escludere le donne dalla formazione significherebbe infatti privare dell’eccellenza metà della collettività.
Uomini e donne devono coltivare allo stesso modo la giustizia e la saggezza e devono esercitarsi nelle stesse discipline. Questo aspetto della proposta educativa di Platone rappresenta un elemento di assoluta novità rispetto all’educazione tradizionale dell’Atene del V e IV secolo, che confinava la donna all’ambiente domestico e consentiva solo all’uomo di partecipare alla vita pubblica.

FINESTRE INTERDISCIPLINARI – Pedagogia & Danza

LA DANZA, PEDAGOGIA DEL MOVIMENTO

L’arte è una prerogativa dell’umanità di ogni luogo e di ogni tempo e la danza, tra le arti, è una delle più antiche e presenti. Studi sulla storia della danza rivelano analogie tra danze lontanissime nello spazio e nel tempo: questo avviene perché la danza ha storicamente, fin dal tempo più remoto, una funzione rituale, essendo essa implicata nei riti che segnano il passaggio da una condizione a un’altra di uno o più individui del tessuto sociale.
La danza nell’antica Grecia
La ricostruzione delle danze dell’antica Grecia non è semplice, perché la danza è arte del movimento e le immagini delle pitture vascolari non possono restituire le qualità dinamiche e ritmiche della performance. Nell’antica Grecia le danze avevano luogo prevalentemente in occasione delle manifestazioni a carattere religioso che si svolgevano durante l’anno. Inoltre, esistevano danze prettamente femminili e danze maschili; quelle miste erano di numero inferiore e in esse il ruolo delle donne e degli uomini era molto marcato.
La danza per Platone

Il tema della danza non è tra i più noti della filosofia platonica, ma Platone dedica a questa arte un buon numero di pagine, soprattutto nelle Leggi. Egli scrive che la danza comincia nella vita di ogni individuo già a partire dal concepimento, perché il movimento del bambino nel grembo materno somiglia appunto a una danza, che sarebbe bene rimanesse costante in ogni età e per tutta la vita. I bambini dovrebbero vivere come se fossero in mare, cullati dalle onde: lo sanno bene le madri, che quando vogliono indurre il sonno nei bambini li cullano e li agitano canticchiando qualche melodia.

Poco più avanti aggiunge che il movimento, che si concretizza nell’esercizio atletico o nella danza, supporta il coraggio nei giovani, conferisce forza al corpo, resistenza e agilità.
Secondo Platone la danza è una componente della ginnastica; l’altra è la lotta. Esistono poi due tipi di danza: la danza mimetica, che attraverso il movimento imita le parole della poesia o i movimenti della guerra e ha una finalità didascalica, cioè ha lo scopo di insegnare, e la danza della buona salute, dell’agilità e della bellezza, che ha lo scopo di rendere bello e aggraziato il corpo. Le danze posseggono due caratteristiche fondamentali che le rendono educative: il ritmo e l’armonia, che sono doni di Apollo e delle Muse. Naturalmente, affinché la danza sia educativa e formativa per il cittadino, è necessario che le movenze impiegate non siano vistose e quindi nocive.
Le danze, così come i canti, dovranno, secondo Platone, essere selezionate da anziani ritenuti saggi e suddivise tra quelle convenienti ai maschi e quelle convenienti alle femmine.
Tre cori danzanti
Inoltre, dovranno essere istituiti tre cori che cantino e danzino per la città: il primo sarà il coro dei fanciulli consacrato alle Muse, il secondo quello dei giovani entro i trent’anni, il terzo quello degli uomini fra i trentuno e i sessant’anni, consacrato a Dioniso. Suscita stupore (e stupisce anche gli interlocutori del dialogo platonico) che il filosofo si proponga di istituire un coro di anziani dedicato a Dioniso, anche perché nello stesso dialogo si dice che le danze dionisiache devono essere escluse dalla città perché non convenienti ai cittadini e alle cittadine. La spiegazione è che, se Dioniso ha donato il vino agli uomini, fu perché venisse usato come farmaco contro l’inaridimento della vecchiaia, non per aggiungere fuoco al fuoco giovanile; dunque agli uomini maturi, ma a essi soltanto, le danze dionisiache accompagnate dal vino non solo sono consentite ma anche consigliate.
per lo studio

1. In che cosa consiste il metodo maieutico di Socrate?
2. Quali sono i principi dell’educazione platonica?
3. La biografia di Platone è strettamente legata alle vicende politiche di Atene. Prova a spiegare perché.


  Per discutere INSIEME 

Se la danza è una delle prerogative dell’umanità, dovremmo vivere in società danzanti, dove la danza è presente nella vita sotto varie forme (come succede presso alcuni popoli del mondo). In realtà, per la maggior parte delle persone la danza è un'arte da affidare a soli professionisti. Rifletti e discuti con i tuoi compagni su questo tema e racconta qual è il tuo rapporto con la danza.

Dialoghi nelle Scienze umane - volume 1
Dialoghi nelle Scienze umane - volume 1
Psicologia e pedagogia - Primo biennio del liceo delle Scienze umane