2.3 LA CONOSCENZA COME ESSENZA E FINE DELLA VITA: IL PERCORSO DI ORFEO
Orfeo è un poeta mitico, suona la lira e canta. Nasce a Lebetra, una città della Tracia, terra di sciamani. È figlio della musa Calliope e secondo alcune fonti suo padre è Apollo, da cui riceve in regalo la lira, strumento musicale a corde dal suono dolce.
La musica e il canto di Orfeo affascinavano gli esseri umani, gli animali e la natura tutta. Il filosofo latino Seneca racconta gli effetti dei suoi versi musicali sull’impeto dell’acqua dei torrenti che piano piano si placava, sugli uccelli che, nell’ascoltare le sue dolci melodie, si commuovevano, perdendo la forza del loro volo, sulle ninfe dei boschi (le Driadi) che dalle querce gli andavano incontro, insieme alle belve.
La vita di Orfeo è il racconto di un mito. Nel mito, che significa “parola, narrazione, tramandata per lo più oralmente”, c’è un sapere che si rivela nel ricordo e nella memoria, e c’è pensiero: ogni narrazione mitica orienta e indirizza alla conoscenza. Il mito allora è anche metodo, che etimologicamente significa “percorso”, “strada da intraprendere”. Il mito di Orfeo è la metafora di un viaggio. Un percorso rivelatore, perché ogni cammino porta con sé l’idea di scoprire qualcosa, di ricercare una verità. Che viaggio compie Orfeo? Una katábasis, cioè una discesa agli inferi, nel mondo dei morti, il regno di Ade, il dio dell’oscurità, dell’oltretomba. Perché intraprende questa discesa? Per amore della sua sposa, la ninfa Euridice.
Orfeo non era il solo ad amare Euridice; anche Aristeo, un coltivatore di api, violento, era innamorato di lei. Un giorno Euridice, per scappare da Aristeo, viene morsa da un serpente e muore. Orfeo allora decide di scendere nel regno dei morti per andare a riprenderla, per strapparla alla morte. Anche nell’oltretomba la musica di Orfeo incanta: Caronte, il traghettatore infernale, lo aiuta ad attraversare lo Stige, il fiume degli inferi; Cerbero, il cane con tre teste, non gli abbaia; le Erinni, dee abitatrici degli inferi, si commuovono. Così Ade concede a Orfeo di riportare Euridice nel regno dei vivi, ma a un patto: per tutto il percorso oscuro non dovrà mai voltarsi indietro a guardarla. «Io te la rendo, ma con queste leggi: / che lei ti segua per la ceca via / ma che tu mai la sua faccia non veggi / finché tra i vivi pervenuta sia!», scrive Angelo Poliziano, poeta italiano del XV secolo, nella Fabula di Orfeo.
La risalita di Orfeo ed Euridice viene raccontata da diversi autori, tra cui anche il poeta latino Ovidio (Le metamorfosi). Durante l’ascesa verso il mondo dei vivi, Orfeo, per paura di perdere per sempre Euridice, si volta verso di lei, ma la donna viene risucchiata negli abissi e scompare, nonostante l’ultimo tentativo dell’amato di afferrarla.
Alla figura di Orfeo è legato l’orfismo, un fenomeno religioso-▶ misterico, caratterizzato dal tema del destino dell’anima dopo la morte. Secondo gli orfici l’anima, essendo divina e immortale, doveva liberarsi dal corpo, nel quale era imprigionata a causa di una colpa originaria. È famosa infatti la massima orfica secondo cui “il corpo è la tomba dell’anima”. Tale precetto è ripreso anche dai pitagorici. L’anima poteva liberarsi dal corpo soltanto dopo la morte e dopo avere posto fine al ciclo delle reincarnazioni. Gli orfici seguivano infatti la dottrina della metempsicosi, secondo la quale l’anima trasmigra da un corpo all’altro fino al raggiungimento della salvezza.
In vita, tale liberazione poteva essere in parte conseguita attraverso l’ascesi, le penitenze e riti di tipo iniziatico e purificatorio, come le abluzioni (lavaggi a scopo di purificazione), i digiuni, l’astensione dalle carni.