3 - Il cognitivismo e le nuove teorie sull’apprendimento

3. Il cognitivismo e le nuove teorie sull’apprendimento

Wertheimer, Kölher e la maggior parte dei gestaltisti si trasferirono negli Stati Uniti in seguito all’avvento del nazismo in Germania all’inizio degli anni Trenta. In quel periodo negli Usa il comportamentismo era la teoria dominante delle ricerche accademiche. L’atteggiamento iniziale dell’ambiente scientifico statunitense fu di contrapposizione critica alle idee della Gestalt, ma con il tempo sempre più studiosi, anche comportamentisti, iniziarono a interessarsene. L’influenza della teoria della forma contribuirà alla nascita del ▶ cognitivismo, che si diffonderà nel secondo dopoguerra, grazie alle ricerche di molti psicologi che iniziarono a modificare la teoria dell’apprendimento, arricchendola con alcune delle intuizioni della scuola tedesca.

3.1 IL COGNITIVISMO E L’APPRENDIMENTO

Il comportamentismo considerava la mente come una black box e partiva dalla sola analisi delle risposte motorie e fisiologiche osservabili per arrivare a ipotesi sul funzionamento della mente di fronte a un compito. A partire dalla fine degli anni Cinquanta il cognitivismo è gradualmente diventato l’orientamento teorico prevalente negli Stati Uniti. L’ottica cognitivista manteneva l’approccio scientifico allo studio della mente e del comportamento umano e l’utilizzo di esperimenti in condizioni controllate di laboratorio. Le novità introdotte furono molte, così come le differenze fra le opinioni dei vari studiosi appartenenti a questa corrente di pensiero. Tuttavia, al momento della sua affermazione nell’ambiente accademico, la prospettiva cognitivista presentava una serie di principi che erano condivisi da tutti i suoi esponenti.
  • Principio delle basi biologiche dei processi psichici: la psicologia studia il sistema nervoso nella sua totalità, del quale fanno parte i processi psichici, che hanno la funzione di regolare l’adattamento dell’organismo all’ambiente.
  • Principio evolutivo: i processi psichici maturano in corrispondenza allo sviluppo del sistema nervoso.
  • Principio costruttivista: l’ambiente esterno è attivamente costruito dal soggetto nel corso della sua crescita in base alle informazioni che seleziona e alle sue azioni.
  • Principio mentalista: la mente non è una scatola nera che non può essere indagata, ma contiene dei modelli che orientano il comportamento in base a rappresentazioni soggettive del mondo esterno.
  • Principio dell’elaborazione dell’informazione: i modelli mentali vengono costruiti a partire dalle informazioni esterne e interne all’organismo, che vengono elaborate da unità specializzate del sistema nervoso.
  • Principio della simulazione: i computer possono simulare l’elaborazione compiuta dalla mente umana se utilizzano processi e regole di funzionamento simili.
Molti di questi principi, in particolare l’ultimo, testimoniano l’evoluzione della società e della tecnologia rispetto ai tempi delle prime ricerche della psicologia sperimentale. Essi comunque non rappresentarono un codice rigido da rispettare e molti studiosi accentuarono alcuni di questi aspetti e ne trascurarono altri. In ogni caso, la teoria generale sulla struttura e sul funzionamento della mente cambiò e questo portò a rivedere le precedenti spiegazioni dei processi psichici, con l’obiettivo di sostituire i risultati delle vecchie ricerche con nuovi esperimenti. L’apprendimento fu una delle grandi aree della psicologia che ricevette nuovi contributi dalle teorie cognitiviste, molti dei quali ancora oggi considerati validi e applicabili.

 >> pagina 214 
Bruner e l’importanza del contesto socioculturale
Jerome Seymour Bruner (1915-2016) è stato uno dei più importanti esponenti del cognitivismo statunitense e internazionale. Egli si occupò inizialmente dello studio della percezione e insieme ad altri psicologi fece parte della corrente del New Look, un movimento teorico interessato a introdurre nuovi concetti utili per spiegare i fenomeni percettivi | ▶ UNITÀ 2, p. 59 |. Secondo questa corrente di ricerca la percezione dipendeva dai bisogni, dalle motivazioni e dalle aspettative di ogni soggetto. Questa idea fu veramente innovativa per il periodo, in quanto poneva l’accento sull’elaborazione degli stimoli esterni da parte dell’individuo, concetto poco familiare al comportamentismo.
Nel 1957 Bruner pubblicò insieme con altri colleghi il saggio intitolato Il pensiero: strategie e categorie, uno dei primi testi cognitivisti che guadagnò grande attenzione nell’ambiente accademico. In questo libro si trovano i resoconti di alcuni esperimenti sulla classificazione degli stimoli: gli autori non analizzano semplicemente le risposte dei soggetti, piuttosto si soffermano sulle strategie che questi mettono in atto per arrivare alla soluzione di vari compiti.
L’approccio cognitivista cerca dunque di indagare il modo in cui avviene l’apprendimento: l’individuo riceve una grande moltitudine di input dall’ambiente e, per poter capire e muoversi nella realtà, compie alcune semplificazioni e selezioni di questi stimoli; si potrebbe dire che li organizza e categorizza per conferire loro un senso. Il legame che viene costruito fra gli stimoli deve essere utile ed efficace, in modo che sia più semplice rapportarsi con la realtà e poterla così modificare con le proprie azioni. In altre parole, non apprendiamo la realtà per come essa è oggettivamente, ma la “costruiamo” mediante modelli sempre più complessi. Queste strutture, grazie alle quali diamo senso ai molteplici input sensoriali che riceviamo dall’ambiente, sarebbero presenti nella nostra cultura di appartenenza; infatti, secondo Bruner, il contesto sociale e culturale condiziona direttamente la crescita intellettuale e l’apprendimento.
Riassumendo, si può dire che il modo in cui un individuo vede il mondo esterno influenza sia il suo comportamento sia l’apprendimento di nuove informazioni, che vanno a organizzarsi nella sua struttura mentale complessiva. I concetti appresi sono quelli che si sono rivelati più efficaci per poter
agire nella realtà.

 >> pagina 215 
La facilitazione dell’apprendimento
Dopo aver analizzato la struttura mentale sottostante ai processi di apprendimento e aver sottolineato l’influenza della cultura di appartenenza, Bruner si dedicò all’individuazione di alcune possibili strategie che facilitassero tali processi. Introdusse così il concetto di scaffolding (dall’inglese scaffold, “impalcatura” o “ponteggio”): si tratta di una forma di sostegno, di aiuto, fornita da una persona a un’altra, che ha la funzione di anticipare una prestazione che chi deve apprendere non sarebbe ancora in grado di raggiungere autonomamente per il suo livello di sviluppo. A pensarci bene è quanto accade in ogni relazione docente-alunno: il professore fornisce uno scaffolding allo studente presentando e spiegando la materia di studio, rendendo così possibile per l’alunno un apprendimento funzionale e duraturo.
Bruner sosteneva infatti che l’apprendimento è un’attività situata e distribuita fra diverse relazioni possibili, in un determinato ambiente di sviluppo, entro una cultura di appartenenza. Ogni conoscenza complessa e significativa viene perciò co-costruita e acquisita nella comunicazione fra studenti e insegnanti, fra principianti ed esperti e fra pari (compagni di classe, colleghi di lavoro). In tutti questi scambi, un contenuto non viene semplicemente trasmesso da un individuo all’altro ma viene rielaborato, integrato e arricchito; l’apprendimento non è una semplice acquisizione di contenuti, poiché ogni individuo assimila le informazioni in base al suo percorso di crescita per creare una conoscenza soggettiva della realtà.

 >> pagina 216 
  esperienze attive

Anziani e nuove tecnologie Insieme ai tuoi compagni di classe provate a immaginare un progetto di formazione per anziani sull'uso dei social e delle nuove tecnologie.

Lo strutturalismo didattico
Bruner sostenne un approccio all’insegnamento chiamato strutturalismo didattico che si opponeva sia a un insegnamento meccanico e pragmatico, sia al nozionismo e alla trasmissione di contenuti fine a se stessa. Egli sosteneva che l’obiettivo finale dell’istruzione fosse fornire allo studente dei modelli mentali che gli permettessero di comprendere e dare senso a quanto avrebbe incontrato nel suo percorso. In altre parole, dotarlo di strumenti di base che aiutassero i suoi processi di apprendimento. Pertanto, l’insegnamento delle discipline tradizionali ha senso solo se permette di individuare delle competenze con le quali organizzare e dare senso ai particolari della realtà. Inoltre, l’insegnamento dovrebbe ricorrere a esperienze concrete, in modo da creare i presupposti dell’apprendimento per scoperta, grazie al quale il soggetto comprende la realtà mobilitando attivamente le proprie risorse e abilità.
Le idee di Bruner sono entrate a far parte del mondo della scuola e della didattica; alcune di esse si sono rivelate efficaci, altre meno. Il principio dell’apprendimento per scoperta, per esempio, è stato largamente applicato aggiungendo agli insegnamenti tradizionali molte esperienze di laboratoriosoprattutto per le materie scientifiche. Più fonti sono d’accordo nel sostenere che la lezione frontale tradizionale sia molto più difficoltosa da seguire e stimoli meno la partecipazione attiva degli studenti, ma darebbe risultati più duraturi in termini di quantità e qualità dei contenuti appresi. Inoltre, è stato verificato che l’apprendimento per scoperta non porta automaticamente all’astrazione di concetti e griglie di lettura applicabili in altre esperienze; sembrerebbe piuttosto una capacità variabile da persona a persona.
Nonostante alcuni aspetti siano stati superati, la concezione dell’apprendimento di Bruner è considerata valida ancora oggi e si è diffusa oltre i confini disciplinari della psicologia in ambito pedagogico, educativo e didattico. Studiosi come Bruner hanno infatti cambiato completamente la ricerca sull’apprendimento riportando al centro dell’attenzione ciò che il comportamentismo classico trascurava: la soggettività.

 >> pagina 217 

3.2 BANDURA E L’APPRENDIMENTO SOCIALE

Albert Bandura (1925) è uno psicologo canadese che ha dato un grande contributo alla ricerca e all’insegnamento della psicologia negli Stati Uniti.
Bandura si è interessato agli effetti dell’imitazione del comportamento altrui, e in particolar modo alle condotte aggressive. Negli anni Cinquanta e Sessanta, con l’arrivo della televisione nelle case di tutti gli americani, questa tematica divenne di grande interesse, soprattutto per la messa in onda di alcuni contenuti che potevano influenzare adulti e bambini.
L’individuo, secondo Bandura, inserito in un ambiente sociale, osserva altri suoi simili compiere una serie di azioni, prima di produrne a sua volta. Alcuni di questi comportamenti sono riprodotti esattamente, come guidare un’automobile, usare un attrezzo, tirare a canestro; altri invece non sono imitati in maniera puntuale, ma servono da modello per adottare un comportamento adeguato al contesto.
Queste osservazioni potrebbero sembrare ovvie, ma la teoria comportamentista classica prevedeva che l’apprendimento avvenisse tramite l’esposizione diretta a un compito con il rinforzo della risposta adeguata e non prendeva in considerazione i comportamenti imitativi.
L’esperimento di Bobo
L’ipotesi che l’imitazione portasse all’apprendimento di nuovi comportamenti venne dimostrata con uno studio molto celebre.
In un esperimento condotto nel 1961, Bandura mostrò a un primo gruppo di bambini un filmato in cui alcuni adulti si accanivano con calci, pugni ed esortazioni aggressive su un pupazzo di gomma di nome Bobo. A un secondo gruppo di bambini veniva mostrato lo stesso video, ma subito dopo si presentava un altro filmato dove un adulto spiegava che quanto avevano visto era sbagliato, quindi si comportava in modo gentile con il pupazzo e si intratteneva con delle costruzioni. Infine, a un terzo gruppo di bambini non fu fatto vedere alcun video.
I bambini del primo gruppo, dopo la visione del filmato, furono introdotti uno alla volta in una stanza dove erano presenti vari giocattoli, fra cui Bobo. Essi iniziavano piuttosto rapidamente a comportarsi in modo aggressivo con il povero Bobo, come l’adulto nel video; non solo, trattavano nello stesso modo anche gli altri giocattoli presenti. I bambini del secondo gruppo quando entravano nella stanza avevano un approccio gentile con il pupazzo e gli altri oggetti e si dedicavano principalmente alle costruzioni o alle automobiline. I bambini dell’ultimo gruppo, che avevano la funzione di verificare il comportamento nella situazione specifica in assenza di modelli, manifestarono aggressività solo in alcuni casi.

 >> pagina 218 

approfondiamo  IL SENSO DI AUTOEFFICACIA

Un altro fondamentale contributo di Albert Bandura è il costrutto di autoefficacia, da lui definita come l’insieme delle “convinzioni che le persone hanno rispetto alla loro capacità di raggiungere determinati livelli di prestazione e di potere influenzare il corso degli eventi della propria vita”. Bandura parte dalla considerazione che spesso il comportamento delle persone è influenzato dalla relazione tra ciò che sanno fare, ciò che conoscono e ciò che pensano di se stesse. Questo agisce sulla probabilità che la persona si impegni o meno per raggiungere un determinato obiettivo. Nello specifico il senso di autoefficacia influisce sui processi cognitivi, motivazionali, affettivi e di selezione.
Le persone che hanno un senso di autoefficacia elevato tendono a percepirsi competenti, a porsi obiettivi e a impegnarsi per raggiungerli. Gli eventuali insuccessi sono attribuiti a un limitato impegno profuso o a deficit di competenze che ritengono, però, di poter acquisire con il giusto impegno (processi motivazionali e cognitivi). Questo atteggiamento favorisce un senso di realizzazione (processi affettivi) e permette di misurarsi con situazioni difficoltose, apprendendo nuove abilità per fronteggiarle (processi di selezione). Le persone che invece hanno una bassa autoefficacia si percepiscono come poco competenti e, di fronte a un ostacolo, si focalizzano sulle future problematiche piuttosto che sulle possibili strategie. Attribuiscono gli insuccessi a una loro incompetenza e faticano a recuperare il senso di autoefficacia (processi cognitivi e motivazionali), esponendosi così al rischio di stress e depressione (processi affettivi). Infine, preferiscono evitare situazioni al di sopra delle loro competenze, precludendosi la possibilità di sviluppare competenze di gestione (processi di selezione).
Le ricerche hanno evidenziato che il senso di autoefficacia e la percezione di sé sono processi che si sviluppano nel corso della traiettoria evolutiva del soggetto. Nei primi anni di vita hanno un ruolo chiave le esperienze dirette del bambino e lo stile genitoriale, mentre crescendo acquisisce sempre più importanza il ruolo dei pari, con cui condividere esperienze. Nell’età adolescenziale e adulta assumono un ruolo preponderante le esperienze difficili affrontate e superate con successo.
Le ricerche evidenziano quattro fonti responsabili della costruzione del senso di autoefficacia: la propria esperienza di successo; le esperienze vicarie, cioè l’osservazione di modelli che si impegnano e ottengono successo; la persuasione sociale, cioè il convincimento da parte degli altri di possedere le capacità necessarie; i propri stati emotivi, poiché la riduzione di stati d’animo negativi incide sulla percezione della propria efficacia.

 >> pagina 219 
I risultati dell’esperimento
Bandura con questo esperimento dimostrò che un comportamento può essere appreso per imitazione senza che il soggetto abbia mai ricevuto un rinforzo diretto. Tale apprendimento, inoltre, va facilmente incontro a generalizzazione: i bambini del primo gruppo non si limitavano a copiare ciò che l’adulto faceva nel filmato, ma si dimostravano aggressivi anche con gli altri giocattoli. Non avevano appreso una semplice sequenza di azioni, ma uno stile comportamentale che il modello aveva introdotto nel contesto. Il secondo gruppo, invece, aveva assistito a due diverse condotte possibili: su di loro agivano quindi due differenti effetti, l’imitazione del modello positivo e la disapprovazione come punizione sul cattivo esempio.
Con questo esperimento si dimostrava dunque nuovamente come nell’apprendimento entrino in gioco fattori diversi dal solo meccanismo stimolo-risposta-rinforzo. L’imitazione, infatti, prevede che un comportamento venga messo in pratica dal soggetto perché ritenuto adeguato alla situazione anche in assenza di rinforzo: l’attenzione rivolta verso il modello è spontanea e non necessita di essere ricompensata.
Inoltre l’apprendimento sarà più o meno efficace in base a quanto il soggetto si identifica con quello che vede e la condotta imitata potrà essere facilmente riprodotta a distanza di tempo se il soggetto incontrerà una nuova situazione compatibile con il contesto di apprendimento originale.
L’apprendimento sociale
Nel corso delle sue ricerche Bandura introdusse il concetto di determinismo reciproco per indicare che non solo l’ambiente influenza il comportamento dell’individuo, ma il soggetto stesso modifica la risposta del proprio contesto sociale con le proprie azioni. Questo può voler dire che una persona che ha imparato che l’aggressività è una risposta adeguata continuerà a provocare aggressività negli altri, confermando così continuamente l’efficacia delle proprie azioni.
Per questo è fondamentale, secondo Bandura, fornire modelli di comportamento positivo per evitare che questo circolo vizioso si diffonda nella società. L’apprendimento sociale, infatti, avviene principalmente per osservazione e per questo è anche definito vicario.
Da questi studi derivarono nuove tecniche per la terapia delle fobie, come per esempio il modellamento (da non confondere con la tecnica del modellaggio [shaping] di Skinner). Il modellamento consiste nel mostrare all’individuo fobico altre persone che compiono azioni o si espongono a stimoli che gli provocano paura. L’idea di base è che, osservando gli altri, il soggetto apprenderebbe nuovi modi di superare le proprie difficoltà, rassicurato dagli esiti positivi di questi modelli. Per esempio, una persona con la fobia degli insetti potrebbe osservare altre persone che si rapportano con degli scarafaggi senza averne paura e mettendo in atto delle strategie per allontanarli: questo dovrebbe abbassare il livello di fobia del soggetto sottoposto al modellamento.

per lo studio

1. Che cosa si intende con il termine scaffolding coniato da Bruner?

2. Che cosa significa apprendere per competenze? E in che cosa questo apprendimento è differente dal nozionismo?

3. Che cosa intende Bandura per "determinismo reciproco"? Spiega il concetto aiutandoti con un esempio.


  Per discutere INSIEME 

Molte ricerche sostengono che i fenomeni di bullismo spesso si basano su comportamenti imitativi. Quando una vittima viene aggredita da qualcuno può succedere che coloro che assistono a questa scena invece di ribellarsi si identifichino con le ragione dell'aggressore e a loro volta infieriscano sulla vittima mettendo in atto un comportamento imitativo. In classe ragionate insieme su questo tipo di dinamica e provate a pensare a come possa essere smascherata e neutralizzata.

Dialoghi nelle Scienze umane - volume 1
Dialoghi nelle Scienze umane - volume 1
Psicologia e pedagogia - Primo biennio del liceo delle Scienze umane