1 - Il linguaggio verbale

1. Il linguaggio verbale

1.1 GLI ESSERI UMANI E IL LINGUAGGIO

Il linguaggio è lo strumento principale di comunicazione, cioè l’insieme dei suoni, gesti e codici che permettono non solo agli esseri umani, ma anche agli animali e persino al mondo della tecnologia di scambiarsi informazioni e di interagire.
Esistono dunque diversi tipi di linguaggio: dal cinguettio degli uccelli ai linguaggi di programmazione dei computer, dal complesso linguaggio delle api alla lingua dei segni usata dai sordomuti.
L’homo sapiens sapiens è l’unico essere vivente ad aver sviluppato linguaggi basati su una serie di codici simbolici astratti: l’alfabeto. I simboli o ▶ segni utilizzati (suoni per la lingua parlata o immagini per quella scritta) sono detti significanti, in quanto rimandano a un concetto, che è il loro significato.
ESEMPIO: le lettere (o i suoni) che compongono la parola “APE” sono il significante, cioè la forma mediante cui si esprime il significato, ovvero l’insetto a strisce gialle e nere con ali e pungiglione.
Nelle figure qui sotto possiamo osservare diversi codici simbolici, ovvero significanti, che ci trasmettono lo stesso significato: la scritta della parola “ACQUA” e alcune immagini in grado di farci comprendere immediatamente il riferimento all’acqua.
I linguaggi umani sono caratterizzati da due proprietà.
  • Arbitrarietà, per cui si tratta di sistemi convenzionali, cioè basati su accordi tra coloro che comunicano. È per convenzione, o accordo, che la parola “acqua” corrisponde ed esprime il concetto dell’acqua.
  • Produttività, o ricorsività, per cui è consentito introdurre nuovi simboli e rinnovare il linguaggio in maniera creativa. Un esempio di questa proprietà, tratto dalla cronaca recente, è l’aggettivo “petaloso” (inesistente nel vocabolario), scritto da un bambino e piaciuto alla sua maestra, che lo ha portato all’attenzione generale.
La struttura della lingua permette dunque di inventare nuovi termini (produttività) e spetta alla comunità decidere se accettarli e condividerli (arbitrarietà). Al contrario, gli animali utilizzano un repertorio fisso e limitato di comportamenti comunicativi legati a particolari circostanze, come il corteggiamento o la presenza di pericoli. Anche i computer, pur essendo costruiti e programmati dall’uomo, non sono in grado di esprimersi e di interpretare un discorso o un testo come un essere umano.

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per immagini

Haka: una danza, tanti significati

Gli esseri umani hanno sviluppato diversi tipi di linguaggio, oltre a quello verbale: il linguaggio informatico, per esempio, oppure i linguaggi artistici, come la musica o la pittura. Anche la danza è un tipo di linguaggio artistico elaborato dagli uomini sin dai tempi più remoti e con gli scopi più svariati, da quello religioso a quello bellico, dall’intrattenimento alla libera espressione dei sentimenti.
La Haka è una danza del popolo maori che esprime una pluralità di sentimenti in una sorta di inno in cui si mescolano espressioni, movimenti e gestualità. Gli All Blacks, gli atleti della nazionale di rugby neozelandese, l’hanno resa famosa eseguendola prima di ogni partita, allo scopo di caricarsi e di intimidire gli avversari.

1.2 DAL LINGUAGGIO ALLA LINGUA

Gli esseri umani sono l’unica specie a utilizzare il linguaggio verbale, possiedono cioè la facoltà di esprimersi grazie all’uso della parola, in forma orale o scritta. Questa capacità accomuna tutti i gruppi umani e si è sviluppata grazie all’abbassamento della laringe durante l’evoluzione, potenziando la capacità di articolazione dei suoni a svantaggio dell’efficienza di altre funzioni, come la respirazione, la deglutizione e la masticazione. Non solo, nel cervello umano vi sono due zone di stinte dell’emisfero sinistro implicate nell’uso del linguaggio: l’area di Broca e l’area di Wernicke, così chiamate dai nomi dei due studiosi che le hanno localizzate alla fine del XIX secolo.
Il linguaggio verbale è alla base delle diverse lingue che sono esistite ed esistono nel mondo. Esse sono insiemi di parole che, unite tra loro sulla base di regole grammaticali precise e individuabili, formano frasi dotate di senso che trasmettono dei significati. Le lingue utilizzate dai diversi gruppi umani sono molto numerose (alcuni studiosi sono arrivati a calcolarne quasi 7000) e alcune di esse sono usate esclusivamente in forma orale, spesso conosciute solo da pochi individui e per questo a rischio di estinzione. Altre, invece, sono dette globali perché parlate da un gran numero di persone in diverse e vaste zone del globo, come per esempio l’inglese | ▶ APPROFONDIAMO |.

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Lo studio del linguaggio
Diverse discipline hanno contribuito alla ricerca sul linguaggio, dall’antropologia alla matematica. La scienza che ha come oggetto lo studio del linguaggio umano e delle lingue si chiama linguistica e si articola in diverse branche, tra le quali:
  • la fonetica, cioè lo studio dei suoni utilizzati nelle diverse lingue;
  • la morfologia, ovvero lo studio degli elementi che compongono le parole e il modo in cui esse si formano;
  • la sintassi, che si occupa delle regole che guidano la formazione delle frasi;
  • la semantica, che studia il significato di parole e frasi e il rapporto tra significante e significato.

Inoltre, l’incontro tra neuroscienze e linguistica ha dato vita alla neurolinguistica, ovvero lo studio delle basi anatomiche e fisiologiche del linguaggio. Infine, la psicologia, o più precisamente la psicolinguistica, studia il linguaggio dal punto di vista della sua produzione e della sua comprensione, del suo sviluppo dalla nascita all’età adulta e delle patologie che lo coinvolgono.

approfondiamo  LE VARIANTI LINGUISTICHE

All’interno di un gruppo umano che utilizza la stessa lingua spesso esistono notevoli differenze nelle modalità di espressione (cioè nei modi di parlare o scrivere), chiamate “varianti linguistiche”.
I dialetti sono delle varianti linguistiche locali, perché i parlanti si concentrano in una specifica regione geografica. L’italiano presenta molte varianti dialettali, tuttavia il loro uso nella vita quotidiana va diminuendo con il succedersi delle generazioni.
I gerghi sono una varietà linguistica creata da specifici gruppi di persone, allo scopo di rafforzare l’identità e il senso di appartenenza al gruppo. La creazione di nuove espressioni e forme linguistiche è molto comune, per esempio, tra i giovani.
I linguaggi tecnico-professionali sono l’insieme dei termini tecnici che formano lessici specialistici, ognuno dei quali si riferisce a un diverso campo del sapere. Spesso tali linguaggi sono conosciuti e utilizzati solo da chi si occupa di una determinata disciplina o svolge una specifica professione. È il caso del lessico giuridico, medico, informatico e così via.

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1.3 LA STRUTTURA DEL LINGUAGGIO VERBALE

Da quali elementi è formato il linguaggio verbale?
Il linguaggio verbale è strutturato su molteplici livelli gerarchici strettamente connessi tra loro. Alla base vi sono i foni, cioè i suoni linguistici emessi dall’uomo per parlare. Essi possono essere trascritti utilizzando particolari alfabeti, come l’International Phonetic Alphabet (Ipa) o Alfabeto fonetico internazionale.
I parlanti non pronunciano né distinguono facilmente tutti i suoni esistenti, ma solo quelli presenti nella propria lingua madre: i fonemi. Ogni lingua è infatti costituita da un insieme di fonemi, le unità sonore minime funzionali a distinguere le parole. Due suoni diversi possono rappresentare, in una determinata lingua, un unico fonema. Per esempio, in italiano la differenza tra le parole vendo e vengo è data dai fonemi /d/ e /g/ e non dal fonema /n/, che pur corrisponde a suoni diversi, perché pronunciati in maniera differente (in vendo il suono è dentale [n], in vengo il suono è velare [ŋ]). I suoni [n] e [ŋ] sono classificati come un unico fonema, in quanto la differenza di pronuncia non marca una differenza significativa a livello comunicativo.
Ogni idioma presenta un proprio alfabeto fonetico, che in genere non supera le 60 unità (l’inglese possiede circa 40 fonemi). L’alfabeto fonetico è diverso dall’alfabeto usato per la scrittura, composto da grafemi o lettere. Il fatto che le lingue classifichino i suoni in fonemi in maniera differente è una delle ragioni per cui siamo spesso in difficoltà nell’apprendere la pronuncia delle parole straniere. Alcuni fonemi, infatti, possono esistere in una lingua e non in un’altra. Per esempio, i suoni corrispondenti ai fonemi inglesi /l/ e /r/ in giapponese rappresentano un unico fonema, perciò i giapponesi che parlano inglese pronunciano in modo simile /l/ e /r/ confondendo i due suoni: all’udire le parole rice e lice, per loro non è facile cogliere la differenza.
I fonemi si combinano tra loro per formare sillabe e parole, secondo regole specifiche e diverse per ogni lingua. Ogni fonema o insieme di fonemi dotato di un significato forma un morfema. In alcuni casi i morfemi corrispondono a parole intere, ma anche parti di parole come i prefissi o i suffissi sono considerati dei morfemi, in quanto possiedono un significato.
ESEMPIO: il suffisso -ndo, usato per formare il gerundio dei verbi, è un morfema.
I morfemi si combinano tra loro per formare le parole, che costituiscono il ▶ lessico di una lingua. A loro volta, le parole si uniscono tra loro, seguendo precise regole grammaticali, dando vita alle frasi. Più frasi, infine, costituiscono un discorso o un testo scritto.
L’aspetto più importante di una parola è il suo significato, tuttavia per capire il senso di una frase non è sufficiente conoscere il significato delle singole parole che la compongono, occorre anche tener conto della loro sequenza e posizione nella frase, ovvero della sintassi. La sintassi ci permette di comprendere chi è il soggetto di una frase, quali azioni compie, come, quando, perché e così via. Le unità sintattiche sono i sintagmi, e sono costituite da una, due o più parole.
ESEMPIO: nella frase «Maria è innamorata di Giuseppe», i sintagmi sono tre: soggetto (Maria), predicato (è innamorata), complemento di specificazione (di Giuseppe).

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1.4 IL CONTESTO DEL LINGUAGGIO

La sintassi permette di tradurre il pensiero in linguaggio verbale e viceversa. Tuttavia, di per sé, la grammatica può non avere nulla a che fare con la capacità generale di comunicare informazioni.
ESEMPIO: la frase «La sedia guida l’automobile morbidamente» è corretta dal punto di vista grammaticale, ma non trasmette alcun significato comprensibile perché le parole sono simboli che assumono un significato solo in un contesto appropriato. Viceversa, sequenze di parole quali «automobile, incidente, ospedale» comunicano chiaramente un messaggio, anche se non si conformano alle regole della grammatica.
Questi esempi ci mostrano che oltre alle componenti linguistiche, vi è un altro elemento fondamentale da tenere in considerazione nella produzione e nella comprensione degli enunciati: il ▶ contesto.
Il contesto extralinguistico è l’insieme dei diversi fattori che costituiscono la situazione in cui avviene il discorso. Esso può comprendere la conoscenza di base dell’argomento di cui si parla, informazioni sugli eventi e le persone coinvolte, il tempo e il luogo in cui avviene la conversazione, le consuetudini, i ruoli sociali | ▶ APPROFONDIAMO |. Una dimostrazione dell’importanza del contesto è data dalle parole omonime, che si pronunciano e si scrivono in maniera identica ma hanno significati diversi, come per esempio la parola “gru”.
ESEMPIO: la frase «Mi sono avvicinato alla gru» è ambigua, in quanto non siamo in grado di sapere a quale dei due significati della parola “gru” si faccia riferimento. Probabilmente se a questa frase ne facesse seguito un’altra essa ci chiarirebbe se si tratta dell’animale o della macchina per il sollevamento di carichi. Oppure, basterebbe conoscere chi ha pronunciato la frase e sapere se si tratta di un naturalista o di un operaio edile.
Anche in assenza di omonimia il contesto riveste una grande importanza. Grazie alle conoscenze dell’interlocutore, chi parla può sottintendere, e quindi non dire, alcune informazioni. Altresì, è possibile prevedere ciò che sta per essere detto in base a determinate aspettative che prendono forma dal contesto.
ESEMPIO: prendiamo in considerazione il seguente scambio di battute:
«Dove si trova il Museo del Novecento?»
«Sempre dritto e poi al semaforo giri a sinistra.»
Esso è comprensibile solo se i due parlanti si trovano nello stesso luogo e nelle vicinanze del suddetto museo, per esempio se sono seduti al tavolino di un bar lungo i Navigli a Milano. Se invece fossero in una piccola località balneare della Liguria la risposta sarebbe: «A Milano».
La teoria degli atti linguistici
Non è solo il contesto a modificare e determinare il senso delle frasi che pronunciamo, ma talvolta sono gli enunciati stessi che contribuiscono a modificare il contesto.
Nel 1962 fu pubblicato il libro Come fare cose con le parole del filosofo del linguaggio britannico John Austin (1911-1960). In esso l’autore spiega la teoria degli atti linguistici, sostenendo che ogni scambio comunicativo produce un’azione sulla realtà, in altri termini che parlare equivale ad agire.
In ogni enunciato egli distingue tre azioni:
  • l’atto locutorio, cioè l’azione del parlare, il pronunciare il messaggio;
  • l’atto illocutorio, cioè l’azione che l’emittente (chi pronuncia l’enunciato) intende compiere attraverso il messaggio. Austin chiama forza illocutiva la volontà del parlante e ne fornisce degli esempi, in parte sovrapponibili alle funzioni della comunicazione descritte da Jakobson | ▶ CAPITOLO 2.4, p. 122 |: chiedere, pregare, affermare, ordinare, suggerire, promettere, rifiutare, ecc.;
  • l’atto perlocutorio, cioè l’azione che il messaggio produce sul ricevente.
In sintesi, l’atto locutorio è il contenuto linguistico esplicito del messaggiol’atto illocutorio coincide con l’intenzione comunicativa del parlante e quindi l’effetto che egli vuole produrre sul destinatario o, in altre parole, il modo in cui vuole che il messaggio venga interpretato; l’atto perlocutorioinfine, è l’impatto della comunicazione sul destinatario.
ESEMPIO: prendiamo l’annuncio di un politico durante un’intervista: «Mi candido alle elezioni». Il parlante formula e pronuncia una frase (atto locutorio), con l’intenzione di dare avvio alla sua campagna elettorale, attirare l’attenzione degli elettori su di sé e procurarsi dei sostenitori (atto illocutorio), generando diverse reazioni negli ascoltatori (atto perlocutorio), per esempio speranza o timore a seconda che condividano o meno le sue idee politiche.

approfondiamo  IL MEDIATORE LINGUISTICO-CULTURALE

Viviamo in un mondo sempre più globalizzato, persone e merci viaggiano da un continente all’altro dando vita a società multiculturali, dove convivono usi e costumi anche molto diversi tra loro. Il mediatore linguistico e culturale è una nuova figura professionale, nata proprio dall’esigenza di favorire la comunicazione tra persone che parlano lingue diverse e con differenti tradizioni culturali.
Il mediatore conosce a fondo la lingua e la cultura dei suoi interlocutori e rappresenta il loro punto d’incontro. La sua presenza è spesso fondamentale in ambito medico e psicologico, per esempio durante i colloqui tra specialista e paziente quando essi provengono da paesi diversi. Oltre a essere un interprete, cioè a tradurre i messaggi nell’una e nell’altra lingua, egli fornisce informazioni e spiegazioni riguardo alle pratiche sociali e alle credenze culturali chiamate in causa dall’interazione. In pratica, permette la creazione di un contesto condiviso.

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approfondiamo  I LAPSUS LINGUISTICI

Il lapsus, parola latina che significa “caduta”, è un errore non volontario che talvolta viene commesso da chi parla, e in tal caso viene definito lapsus linguistico. Esso si verifica quando una parola, o anche solo una lettera, che si voleva pronunciare (bersaglio) viene sostituita da un’altra (intruso).
Nel caso di lapsus contestuali, l’intruso è una parola o un fonema che fa parte della stessa frase, ma viene pronunciato in una posizione diversa, o ha una relazione semantica con il bersaglio. Per esempio, si possono scambiare di posto due parole come in «Apri le chiavi e prendi la borsa» o si può dire piatto invece di bicchiere. Nei lapsus non contestuali, invece, l’intruso sembra non avere alcun legame con ciò che si sta dicendo.
Si devono a Sigmund Freud, padre della psicoanalisi, i primi studi sui lapsus: egli li riteneva delle manifestazioni involontarie di contenuti inconsci. L’espressione “lapsus freudiano” viene infatti usata per indicare i casi in cui, commettendo un errore involontario nel parlare, una persona rivela le proprie reali intenzioni o idee.

1.5 I DISTURBI DEL LINGUAGGIO

L’acquisizione e lo sviluppo del linguaggio avviene sin dai primi mesi di vita in maniera graduale. Nel corso della crescita possono presentarsi alcune difficoltà di acquisizione, comprensione e produzione che il DSM-5 (Manuale diagnostico e statistico dei disturbi mentali) | ▶ UNITÀ 10, p. 288 | classifica come “Disturbi specifici del linguaggio”.
In particolare, i disturbi specifici dell’apprendimento (Dsa) sono disturbi dello sviluppo che implicano difficoltà, più o meno accentuate, ad apprendere alcune abilità insegnate nei primi anni di scuola come la scrittura, la lettura e il calcolo. I bambini affetti da questi disturbi, che possono essere presenti uno alla volta o associati nel singolo individuo, commettono errori, fanno fatica a capire e apprendere queste abilità.
I Dsa sono disturbi funzionali, ossia sono dovuti a una peculiare architettura neuropsicologica del soggetto che implica difficoltà nell’acquisizione e nella stabilizzazione di alcuni processi di identificazione e di produzione delle parole scritte e parlate e dei numeri. Si dividono in:
  • dislessia, disturbo specifico che si manifesta come difficoltà nell’imparare a leggere. Il bambino fa fatica a decifrare i segni linguistici per cui risulta quindi più lento e impacciato nella lettura;
  • disgrafia, disturbo specifico che si manifesta come difficoltà nella realizzazione grafica del testo scritto. Il bambino fa fatica a riprodurre le lettere correttamente;
  • disortografia, disturbo specifico che si manifesta attraverso la difficoltà a scrivere. Esso è associato a un deficit nella traduzione dei suoni che compongono la parola in simboli grafici. Il bambino non è in grado o fa fatica a scrivere le parole che sente;
  • discalculia, disturbo specifico che si manifesta come difficoltà negli automatismi del calcolo e dell’elaborazione dei numeri. Il bambino commette errori di calcolo o di ragionamento con i numeri.
Altri disturbi si manifestano in seguito a danni cerebrali e sono detti afasieA seconda della zona del cervello lesionata si producono deficit differenti.
  • Nell’afasia di Broca si hanno difficoltà nella produzione verbale, in particolare nella sintassi: il linguaggio è telegrafico, con l’omissione di elementi funzionali della frase come le preposizioni e gli articoli, e la fluidità dell’eloquio risulta compromessa, per cui vi è lentezza nel parlare e incertezza nell’articolazione dei suoni.
  • Nell’afasia di Wernicke, invece, la sintassi e l’eloquio sono ben conservati, ma le frasi pronunciate raramente hanno un senso e i problemi riguardano anche la comprensione verbale, presentando un deficit a livello del significato delle parole. Le persone affette da afasia di Wernicke, a differenza di quelle con afasia di Broca, non sono consapevoli della loro malattia.
Altri disturbi della comprensione linguistica sono l’agnosia uditiva, ovvero l’incapacità a riconoscere suoni che dovrebbero essere noti, e le asemìe, cioè il mancato riconoscimento dei segni scritti (parole, ma anche numeri, note musicali ecc.). La balbuzie, infine, è un disturbo della produzione del linguaggio che colpisce la fluidità. Si manifesta con esitazioni, pause prolungate, blocchi e ripetizioni spasmodiche involontarie.

CITTADINI RESPONSABILI

L’analfabetismo

L’alfabetizzazione, ovvero l’acquisizione delle capacità di lettura e scrittura, inizia circa dai cinque anni di età e si sviluppa in genere durante il percorso scolastico. Tuttavia, ci sono adulti che non hanno mai imparato a leggere e scrivere. 
Questo fenomeno è detto analfabetismo strumentaleperché queste persone non possiedono gli strumenti di lettura e scrittura per partecipare attivamente alla vita sociale. In Italia, secondo i dati Unesco, nel 2015 gli analfabeti strumentali erano l’1% della popolazione, ma solo cinquant’anni prima la percentuale era del 13%, mentre nell’anno dell’Unità d’Italia (1861) raggiungeva il 78%.
Esiste poi un altro tipo di analfabetismo, detto funzionale, con cui si indica l’incapacità di utilizzare in maniera efficace le abilità di lettura, scrittura e calcolo nella vita quotidiana.
Infine, con l’espressione “analfabetismo di ritorno” si fa riferimento alla condizione di coloro che, per mancanza di pratica, hanno disimparato le competenze acquisite. Perciò, alcune persone leggono faticosamente, hanno difficoltà nella comprensione dei testi e un lessico limitato.

per lo studio

1. Che cosa sono i fonemi?
2. Fai alcuni esempi di sintagmi.
3. Distingui le tre azioni di ogni enunciato secondo la teoria degli atti linguistici.
4. Spiega la differenza tra afasia di Broca e afasia di Wernicke.


  Per discutere INSIEME 

A partire dalla teoria degli atti linguistici di Austin, registra una parte della prossima assemblea di classe e cerca di individuare gli atti locutori, gli atti illocutori e gli atti perlocutori e discutetene insieme in classe.

Dialoghi nelle Scienze umane - volume 1
Dialoghi nelle Scienze umane - volume 1
Psicologia e pedagogia - Primo biennio del liceo delle Scienze umane