T2 - Pianto antico (Rime nuove)

Il secondo Ottocento – L'autore: Giosuè Carducci

 T2 

Pianto antico

Rime nuove, 42


Composta nel giugno del 1871, questa celebre poesia è dedicata al figlioletto Dante, morto all’età di tre anni nel novembre dell’anno precedente. Tra l’evento autobiografico e la stesura del testo trascorre un intervallo di pochi mesi: una distanza breve che però non impedisce a Carducci di esprimere i propri sentimenti con grande equilibrio e limpidezza.


METRO Ode anacreontica in quartine di settenari (l’ultimo è tronco) con schema di rime ABBC.

        L’albero a cui tendevi
        la pargoletta mano,
        il verde melograno
        da’ bei vermigli fior,

5     nel muto orto solingo
        rinverdì tutto or ora
        e giugno lo ristora
        di luce e di calor.

        Tu fior de la mia pianta
10   percossa e inaridita,
        tu de l’inutil vita
        estremo unico fior,

        sei ne la terra fredda,
        sei ne la terra negra;
15   né il sol più ti rallegra
        né ti risveglia amor.

      Dentro il testo

I contenuti tematici

Per analizzare questa celebre poesia di Carducci e il tema del dolore che la pervade è necessario partire dal titolo, o meglio ancora dall’aggettivo che vi compare. Il pianto funebre per la perdita dell’amato figlioletto è considerato antico, cioè “di sempre”, inscritto all’interno di un’esperienza umana già amaramente vissuta da molto tempo, in una dimensione della sofferenza non solo individuale, ma condivisa e assimilata dai padri condannati, come lui, contro ogni logica naturale, a seppellire i propri figli.

 >> pag. 64 

Non per questo il poeta è indotto a urlare il proprio strazio, poiché il suo animo è troppo sopraffatto dal dolore per poter erompere in un grido. Solo, privo dell’amore più grande, costretto a misurarsi ora con una vita/non vita divenuta arida e insignificante, egli contrappone il proprio buio orizzonte di morte all’eterno moto ciclico della natura e delle sue stagioni, che si manifesta grazie alle immagini, ora di energia e pienezza, ora di morte e silenzio. Il prorompente senso di vitalità emanato dal risveglio primaverile della natura (il verde melograno, i suoi fiori rossi, la mano del bambino protesa a coglierli, la luce e il calore di giugno che inonda il giardino) contrasta con l’ineluttabile violenza che rivela a lui e a tutti gli esseri umani la dura realtà della morte. La perdita, pur straziante, è tuttavia accettata nel silenzio e con dignitosa rassegnazione come una parte fatale della vita umana.

Le scelte stilistiche

Pochi mesi sono passati dal lutto che ha sconvolto la vita del poeta; eppure quell’evento è ricordato nella lontananza di un tempo imprecisato (così si spiega il predicato verbale tendevi, v. 1, all’imperfetto). Un senso di indeterminatezza emerge infatti dalle prime due strofe della lirica, dominate da una nota di elegiaca tristezza: prima l’aggettivo diminutivo-vezzeggiativo pargoletta (v. 2), poi l’immagine del giardino silenzioso e solitario (muto orto solingo, v. 5) esprimono la commozione del padre al ricordo del suo bambino.

La descrizione del melograno fiorito e la vitalità cromatica che unisce i colori dell’albero e dei fiori (verde e vermigli, con significativa allitterazione* della v) sono bruscamente interrotte dalle due strofe finali, in cui le notazioni tattili (terra fredda, v. 13) e i colori (terra negra, v. 14) esprimono a livello sensoriale la trasformazione della terra rigogliosa in terra nera, un colore dal significato sepolcrale.
Anche il ritmo, prima fluido e scorrevole, suggerisce la sofferenza della privazione della gioia, facendosi spezzato e scandito: la serie di anafore* costruite su coppie di monosillabi poste in posizione enfatica, all’inizio dei versi (prima del pronome personale tu, vv. 9 e 11; poi di sei ne la terra, vv. 13 e 14; quindi di , vv. 15 e 16), sigilla con la forza di un disperato singhiozzo lo stato d’animo del poeta, che tenta invano di stabilire un dialogo con il figlioletto e scopre, attraverso il proprio dolore, l’insopprimibile verità della morte che incombe su tutti gli esseri umani.

La semplicità della voce di Carducci e l’apparente immediatezza del lessico non devono trarre in inganno. Anche questi versi, a uno studio più accurato, rivelano la complessità della rete intertestuale presente in tutte le sue poesie. Infatti, come ha dimostrato lo studioso Francesco Ursini, citazioni e riprese si susseguono in continuazione (cfr. tabella).

Derivazioni letterarie
Versi
Autori
Opere
pargoletta mano (v. 2)
Torquato Tasso


Matteo Bandello
Gerusalemme liberata, XII, 31, v. 2
Rime, 924, v. 4
Aminta, I, 2, v. 65
Novelle, I, 2
muto e solingo (v. 5)
Giacomo Leopardi
Vita solitaria, «Me spesso rivedrai solingo e muto», v. 104
né il sol più ti rallegra (v. 15)
Dante Alighieri
Inferno, VII, 122, «ne l’aere dolce che dal sol s’allegra»
 >> pag. 65 

      Verso le competenze

COMPRENDERE

1 Fai la parafrasi del testo.

ANALIZZARE

2 Il lessico della poesia è fortemente connotato, come si comprende dal pargoletta (v. 2) riferito alla mano del bambino. Individua tutti gli aggettivi presenti nel testo e precisa quali sfumature simboliche assumono a tuo giudizio.


3 Quale nesso intercorre tra l’esistenza del poeta e l’immagine della pianta rifiorita al sole di giugno?


4 Elenca nella tabella le parole relative ai colori e al tatto presenti nel testo che rimandano ai campi semantici contrapposti della vita e della morte.



Vita
Morte
Colori




Tatto





5 Nei versi di questa poesia Carducci evidenzia la sua concezione materialistica dell’esistenza umana. Quali elementi nel testo suggeriscono questa visione della vita?

INTERPRETARE

6 In che modo il ritmo lento della poesia riproduce lo stato d’animo del poeta?


Il paesaggio e la memoria

L’immagine pubblica di Carducci – il “poeta professore”, l’interprete dei valori nazionali, l’autore di versi storico-celebrativi – convive con quella, più privata, desiderosa di esprimere tematiche intime e personali. In effetti, la componente autobiografica è centrale in buona parte della sua produzione, che oscilla tra immagini contrapposte dell’esistenza, in una continua alternanza di sentimenti: ora gioiosi e vitali, ora lugubri e angosciosi.
Fondamentali nel suscitare una tanto accentuata vocazione all’emotività sono soprattutto il rapporto con il passato, la nostalgia della giovinezza, il vagheggiamento malinconico del paesaggio maremmano. Sull’elemento paesistico, in particolare, il poeta indugia volentieri, rappresentando la natura in forme di grande ed efficace concretezza raffigurativa, piuttosto inusuale nella tradizione lirica italiana, spesso caratterizzata dalla stilizzazione tipica delle descrizioni petrarchesche.

La natura viene vista da Carducci come un regno dell’armonia e dell’equilibrio, non toccato dalla corruzione e dalla malattia imperanti nella città moderna. Non a caso essa è osservata sempre a distanza temporale, proiettata in un passato che esiste solo nel ricordo, in un’adolescenza sana e vitale non ancora insidiata dal «malor civile» (Idillio maremmano) del presente. La felicità selvaggia, di cui è specchio la natura solare ed esuberante della Maremma toscana frequentata in gioventù, può rivivere solo come una dolce e felice memoria.

Tuttavia questa visione della natura finisce per alimentare in Carducci il paragone con la dura coscienza della realtà, cosicché l’immagine dei luoghi dell’infanzia si traduce nel doloroso confronto con ciò che è stata, veramente, la sua vita: di qui lo smarrimento per le speranze cadute, per la vecchiaia che avanza, per la tristezza che avvolge ora la sua esistenza. In tal modo il paesaggio, luogo congeniale alla sua fanciullezza impetuosa e ribelle, mito sentimentale e fantastico della sua ispirazione poetica, finisce per rivelarsi un’illusione vanificata dalla realtà del presente e da un pessimismo crescente.

 >> pag. 66 

L’ambientazione non si risolve perciò in Carducci nella sola descrizione realistica o nel semplice dato estetico, ma allude sempre a una condizione dell’anima e a una rassegnata riflessione sulla Storia: le immagini ricorrenti dell’inverno e del tramonto trasmettono il senso cupo di un destino incombente e di una nuova e declinante stagione della vita, della poesia e della civiltà tutta.

 T3 

San Martino

Rime nuove, 58


La lirica, datata 8 dicembre 1883 e inizialmente intitolata Autunno, è ispirata alla festività di San Martino, che cade l’11 novembre. In questo giorno, nelle campagne toscane, era tradizione estrarre il vino novello dai tini e versarlo nelle botti, una volta ultimata la fermentazione, per separarlo dalle parti solide (vinacce e schiume). Al tempo stesso, questa pratica, detta “svinatura”, sanciva per i contadini la fine del lavoro nei campi e l’inizio del riposo agricolo invernale.


METRO Ode anacreontica in quartine di settenari (l’ultimo dei quali tronco) con schema di rime ABBC.

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Ad alta voce

        La nebbia a gl’irti colli
        piovigginando sale,
        e sotto il maestrale
        urla e biancheggia il mar;

5     ma per le vie del borgo
        dal ribollir de’ tini
        va l’aspro odor de i vini
        l’anime a rallegrar.

        Gira su’ ceppi accesi
10   lo spiedo scoppiettando:
        sta il cacciator fischiando
        su l’uscio a rimirar

        tra le rossastre nubi
        stormi d’uccelli neri,
15   com’esuli pensieri,
        nel vespero migrar.

      Dentro il testo

I contenuti tematici

I contrasti vita-morte e luce-ombra, tipici della poesia carducciana, si esprimono qui attraverso la contrapposizione tra la prima e l’ultima quartina da una parte, con la cattiva stagione incipiente, le sue grigie tonalità e i suoi tristi presagi, e la seconda e la terza dall’altra, incentrate sulla letizia paesana del borgo e sul calore del focolare.
La natura – la classica immagine della Toscana di Carducci, scontrosa e assorta, morsa dalla tempesta e dalla malinconia – riflette, come spesso accade nelle sue liriche, lo stato d’animo del poeta, diviso tra il vagheggiamento della vita intima della terra natale (trasfigurata dai ricordi della fanciullezza e ora rievocata nella gioia che precede la svinatura) e l’esistenza cittadina (espressa per un’analogia* sottintesa attraverso le sfumate atmosfere della nebbia, della pioggerella battente e del tramonto). Le immagini e gli odori aspri della terra natale costituiscono pertanto il simbolo sensoriale della serena schiettezza paesana da contrapporre alla noia e all’artificiosità del mondo urbano.

 >> pag. 67 

Solo una figura pare isolata, sostando sull’uscio di casa, nella vivacità della folla paesana: il cacciatore (un alter ego del poeta?), il quale pare abbandonarsi, in contrasto con la vivace attività della sua gente, alla lentezza e a una pensosa contemplazione. Eppure il suo atteggiamento è insidiato dall’apparizione di stormi d’uccelli migratori, simbolo inquietante e sfuggente (tanto più perché discordante cromaticamente con le rossastre nubi) di pensieri strani ed enigmatici, destinati a perdersi nella quiete del tramonto.

Le scelte stilistiche

Vivacità e malinconia si fondono in questo quadretto paesaggistico, in cui Carducci, più che raffigurare la realtà, ne dà una rapida pennellata, dipingendo, come un pittore impressionista, solo alcune immagini selezionate, e al tempo stesso insistendo su annotazioni simboliche di suoni e di colori.
Le strofe centrali trasmettono un senso di fresca baldanza grazie alle onomatopee* (ribollir, rallegrar, scoppiettando, fischiando, vv. 6-11) e alle sensazioni olfattive (l’aspro odor de i vini, v. 7); anche la ripetizione del suono r (borgo, ribollir, aspro, odor, rallegrar, vv. 5-8) pare studiata apposta per conferire alla scena campestre l’istintiva allegria che domina nella vita semplice del paese.
Diverso è l’effetto provocato dalla prima e dall’ultima strofa della lirica. Piuttosto che l’immediatezza dei suoni e degli odori, possiamo cogliere qui un’atmosfera sfumata, indizio di un’indecifrabile malinconia: nebbia (v. 1), piovigginando (v. 2), vespero (v. 16), il rumore del mare umanizzato in un urlo (v. 4) sono immagini che esprimono un sentimento di sospesa tristezza (la congiunzione avversativa ma, v. 5, esprime con grande rilievo il cambiamento dell’umore). Anche le pennellate cromatiche suggeriscono tutt’altro che un’idea di spensieratezza: biancheggia (v. 4), rossastre (v. 13) e soprattutto neri (v. 14) sono altre tracce dell’“interpretazione” soggettiva del paesaggio, su cui si stende la triste nota del tramonto che prepara la sera e della migrazione autunnale che preannuncia l’inverno.

Carducci, anche in questo testo, non dimentica l’intertestualità. Il filologo Dante Isella ha colto riferimenti precisi a due testi di Ippolito Nievo, che contengono le stesse atmosfere, persino con i medesimi termini (Gli amori in servitù).

      Verso le competenze

COMPRENDERE

1 Collega il contenuto alla relativa quartina:

  • la vita del borgo                                                  A             1       I quartina
  • le immagini di una natura ostile                     B             2       II quartina
  • la malinconia dei pensieri al tramonto         C              3       III quartina
  • la lieta scena della casa                                    D             4       IV quartina

ANALIZZARE

2 Le scene raffigurate non sono affatto immobili, anzi sono caratterizzate da continui movimenti: quali?


3 Nella costruzione del periodo dal v. 5 al v. 8 la sequenza delle parole inverte l’ordine comune. Di quale figura retorica si tratta?

  •   A   Iperbato.
  •     Iperbole.
  •     Chiasmo.
  •     Prosopopea.

4 Trascrivi nella tabella seguente i termini che possono essere ricondotti al campo semantico della malinconia e a quello dell’allegria.


Malinconia
Allegria






INTERPRETARE

5 La poesia si conclude con una similitudine. Spiegane il significato.


6 Il primo titolo della poesia era Autunno e solo in un secondo momento Carducci lo mutò in San Martino. Come spieghi questo cambiamento? Può essere considerato l’indizio di un diverso significato da dare al testo?


I colori della letteratura ed. NUOVO ESAME DI STATO - volume 3
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Dal secondo Ottocento a oggi