1 - La vita

Il primo Novecento – L'autore: Luigi Pirandello

1 La vita

L’infanzia e l’adolescenza in Sicilia

Luigi Pirandello nasce nel 1867 a Girgenti (dal 1927 Agrigento), in una contrada di campagna dove sorge un casale chiamato “Il Caos”, in cui la famiglia si è ritirata per sfuggire a un’epidemia di colera.
Il clima familiare è intriso di patriottismo e di tradizioni antiborboniche: il padre Stefano e uno zio di parte materna, Rocco, hanno partecipato alle imprese di Garibaldi. I ricordi di una stagione risorgimentale indirettamente vissuta alimenteranno – senza celebrazioni, ma anzi sotto forma di amara delusione per gli ideali traditi dalla nuova realtà unitaria – parte della produzione dello scrittore, e in particolare il romanzo I vecchi e i giovani. Il padre, che gestisce alcune miniere di zolfo permettendo alla famiglia di vivere con una certa agiatezza, è uomo dal temperamento esuberante e spesso violento; la madre è invece dolce e affettuosa. Luigi, condizionato dal comportamento aggressivo della figura paterna, comincia a percepire la famiglia come una trappola, una ragnatela che soffoca le aspirazioni individuali sacrificandole sull’altare delle convenzioni borghesi.

Negli anni dell’infanzia Pirandello assorbe gli elementi fondamentali della tradizione religiosa siciliana: nonostante un’impronta domestica anticlericale che non lo indirizza verso pratiche di devozione regolari, infatti, egli subisce il fascino delle favole narrate dalla nutrice Maria Stella, ricche di superstizioni, misticismo e credenze magico-popolari. Un patrimonio, questo, destinato a diventare una fonte costante di ispirazione e di suggestione per il futuro scrittore.
La sua istruzione elementare è curata da un precettore privato e la passione per la lettura dei classici si affianca subito all’attrazione per il teatro, tanto che già a dodici anni Pirandello scrive una tragedia, Barbaro, andata poi perduta.

Nel 1879 la famiglia si trasferisce a Palermo e il giovane Pirandello ottiene il permesso di frequentare il ginnasio invece delle scuole tecniche a cui il padre avrebbe voluto avviarlo. Nel 1886 si iscrive contemporaneamente (come era possibile fare allora) alle facoltà di Lettere e di Legge, entrando anche in contatto con gli ambienti intellettuali che sostenevano la formazione dei Fasci siciliani, il movimento di ispirazione socialista formato da contadini e minatori.
Lontano dall’angusto orizzonte culturale di Girgenti, Pirandello trova finalmente gli stimoli di cui ha bisogno: frequenta i teatri e i più vivaci ambienti culturali, e inizia anche a scrivere alcuni drammi, senza però ricevere riscontri positivi da parte delle compagnie della città. Tornato per un certo periodo a Girgenti, affianca il padre nella gestione delle miniere di zolfo: il contatto diretto con le durissime condizioni di vita delle solfatare sarà fondamentale per tratteggiare scenari e personaggi di alcune novelle, come Il fumo e Ciàula scopre la luna.

Tra Roma e la Germania

Nel 1887 Pirandello giunge a Roma, dove prosegue gli studi all’Università fino a quando, dopo un contrasto con un docente di Letteratura latina, nonché rettore, è costretto a chiedere il trasferimento in un altro ateneo. Giunto a Bonn, in Germania, nel 1889, completa gli studi e due anni dopo si laurea in Filologia romanza con una tesi in tedesco sugli sviluppi fonetici dei dialetti greco-siculi. Si chiude così la sua esperienza di ricerca linguistica e filologica, mentre il suo interesse si rivolge ormai decisamente verso l’attività creativa.

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Gli anni trascorsi in Germania sono segnati dall’amore per Jenny Schulz-Lander e dal contatto con la poesia e la cultura tedesche. Pirandello vive il rapporto con Jenny sotto il segno di una freschezza giovanile che non gli capiterà più di provare in futuro, in contrasto con la relazione ufficiale che lo tiene avvinto alla cugina Lina, la fidanzata in Sicilia.
Non è invece facile dire che cosa sia davvero rimasto della cultura tedesca nella formazione del giovane Pirandello: una parte della critica sostiene che sia stata un’esperienza fondamentale per la messa a punto di uno dei cardini della sua poetica, il concetto di umorismo; un’altra parte si mostra invece più scettica e tende a ridimensionarla come semplice conclusione di un rigoroso curriculum universitario specialistico.

Dopo un breve soggiorno in Sicilia, durante il quale annulla ufficialmente il fidanzamento con Lina, nel 1893 Pirandello si stabilisce a Roma. Il fascino di questa città antica e sacra, capitale del nuovo Stato unitario ma ancora lontana dalla frenesia della società moderna, colpisce lo scrittore per le sue laceranti contraddizioni. Roma infatti appare a Pirandello scrigno del glorioso passato ma anche città degradata dalla speculazione edilizia e dalla frivolezza della borghesia.
Fondamentale si rivela in questo momento l’amicizia con lo scrittore verista Luigi Capuana, che lo incoraggia a dedicarsi alla scrittura: Pirandello inizia a collaborare con prestigiose riviste, come la “Nuova Antologia” e “Il Marzocco”, pubblicandovi saggi critici e componimenti poetici. Il suo interesse va però soprattutto alla narrativa: nel 1893 scrive il suo primo romanzo, pubblicato poi nel 1901 con il titolo L’esclusa.

cronache dal passato

Pirandello all’università

Uno studente incauto costretto a espatriare


Gabriele d’Annunzio frequenta poco le aule universitarie, ma negli aristocratici salotti romani in cui, ammirato dalle nobildonne, recita il suo ruolo di istrione, magnifica le doti di un professore di cui dice di non perdere una lezione. Il suo nome è Onorato Occioni, titolare della cattedra di Letteratura latina, nonché rettore dell’ateneo. In effetti, tra gli studiosi di Filologia latina, Occioni ha fama di oratore d’eccezione: capace di ammaliare, ma in realtà – si dice – conosce poco la lingua di Cicerone e di Virgilio.
Qualche anno dopo, il professore ha tra i suoi allievi un altro futuro protagonista della letteratura italiana, Luigi Pirandello. Un giorno – siamo nel 1889 – nel tradurre in aula un brano di una commedia di Plauto, il Miles gloriosus, Occioni commette un errore grossolano, e un giovane sacerdote che siede accanto a Pirandello ride e dà di gomito al compagno. Il latinista se ne accorge, e va su tutte le furie. Il sacerdote si scusa, ma Pirandello rincara la dose, mettendo alla berlina l’irascibile professore. Mal gliene incoglie: Occioni, forte della sua autorità, riunisce d’urgenza il Consiglio di facoltà, che suggerisce all’incauto studente di lasciare l’ateneo.
Meglio, a questo punto, evitare ritorsioni: poche settimane dopo, Pirandello è a Bonn.

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Il matrimonio e la follia della moglie

Nel 1894 Pirandello sposa Antonietta Portulano, figlia di un socio in affari del padre; il matrimonio, seppure combinato dalla famiglia per motivi economici (Antonietta porterà una cospicua dote), è in realtà cementato da un’autentica passione. I primi anni, allietati dalla nascita di tre figli – Stefano, Rosalia (Lietta) e Fausto –, trascorrono sereni e laboriosi, anche grazie alla relativa agiatezza in cui la famiglia vive.
Dal 1897 Pirandello inizia a insegnare Stilistica e Letteratura italiana all’Istituto Superiore di Magistero di Roma, prima come supplente, poi dal 1908 come titolare. L’insegnamento tuttavia non lo appassiona affatto: preferisce dedicarsi alla scrittura, pubblicando numerosi saggi, racconti, articoli e le prime opere teatrali.

Il 1903 è un anno tragico: una miniera di zolfo, in cui il padre Stefano aveva investito tutto il suo capitale e la dote della nuora, viene distrutta da un allagamento. Il tracollo economico è aggravato dalla reazione di Antonietta: colta da paralisi alla notizia del disastro, la donna, già fragile psicologicamente, non si riprenderà più, sprofondando in una spirale di follia in cui rischierà di essere trascinato anche lo scrittore.
Per sopperire alle difficoltà economiche e alleviare i drammi familiari, Pirandello si getta nel lavoro, in un’attività frenetica. In una lettera a un amico scrive: «Intanto io son rimasto… con tre figliuoli e la moglie… immagina tu in quale stato! Il misero stipendio di professore straordinario all’Istituto Superiore mi basta appena per pagar la pigione di casa. Bisogna che m’ajuti con le mani e coi piedi, per guadagnare, scrivendo. È una terribile prova, amico mio! Inattesa!».

Nel 1904 viene pubblicato Il fu Mattia Pascal, romanzo in cui, attraverso il tema dominante della morte-rinascita del protagonista, emergono aspetti autobiografici e la voglia di evadere dalla tensione familiare. La convivenza con la follia di Antonietta non è facile: la donna verrà internata in un istituto solo nel 1919, quando finalmente lo scrittore si convincerà che l’affetto, la comprensione e la pazienza non possono nulla contro un disturbo mentale incurabile.
Negli anni che precedono la guerra vedono la luce i romanzi I vecchi e i giovani (1909, 1913) e Suo marito (1911); celebri novelle come La giara (1909) e Pensaci, Giacomino! (1910); opere teatrali come Lumìe di Sicilia e La morsa (1910). Nello stesso periodo Pirandello inizia la collaborazione con la compagnia di Nino Martoglio a Roma, nella quale recita un celebre attore siciliano, Angelo Musco, che contribuisce notevolmente al successo delle prime opere teatrali dell’autore.

La guerra, il fascismo e il successo mondiale

Alle soglie della Prima guerra mondiale, in nome dei suoi ideali patriottici, Pirandello appoggia la causa degli interventisti, sposandone la visione del conflitto come naturale compimento dei moti risorgimentali. All’entrata in guerra dell’Italia, nel 1915, il figlio Stefano parte volontario, ma viene subito catturato dagli austriaci e internato in un campo di prigionia per tre anni. Anche l’altro figlio Fausto è chiamato alle armi, ma è presto congedato per malattia; a queste preoccupazioni si aggiunge la morte dell’amata madre. Nonostante le sue convinzioni interventiste, le opere del triennio 1915-1918 non recano segni di entusiasmo bellico; al contrario, si possono trovare in diverse novelle immagini di sofferenza collettiva nelle figure di padri e madri in apprensione per la vita dei figli soldati.

Nel 1915 pubblica sulla “Nuova Antologia” il romanzo Si gira…, poi ristampato nel 1925 con il titolo Quaderni di Serafino Gubbio operatore. Da questo momento, la produzione teatrale prende il sopravvento, sostenuta da un crescente consenso di pubblico. Lo scambio di idee e di personaggi tra le novelle e la produzione teatrale è continuo e proficuo; Pirandello è ormai autore ricercato e le sue rappresentazioni accendono spesso un coro di polemiche e discussioni che stimolano ulteriormente la ricerca e l’innovazione del linguaggio drammaturgico.

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Con la messa in scena di Sei personaggi in cerca d’autore la fama dello scrittore valica i confini nazionali; la prima al Teatro Valle di Roma, nel 1921, provoca reazioni contrastanti, persino furibonde, tra accaniti sostenitori e detrattori spietati. L’anno seguente, invece, ottiene uno strepitoso successo a Londra, New York e Parigi, che segna l’inizio di una parabola ascendente risultato di un riconoscimento ottenuto all’estero ancor più che in Italia.
Nel 1924 Pirandello aderisce ufficialmente al fascismo, chiedendo pubblicamente di essere iscritto al Partito nazionale fascista, dal quale riceverà appoggi e tributi.
Ormai celebre, Pirandello fonda la Compagnia del Teatro d’Arte di Roma, finanziata dal regime e attiva dal 1925 al 1928, mentre tutte le capitali europee si contendono l’esclusiva di una sua opera. Abbandonato l’insegnamento, inizia a seguire le compagnie teatrali nelle tournée in Europa e America; proprio in questi anni si lega sentimentalmente, anche se di un amore forse solo platonico, alla giovane attrice Marta Abba, per la quale scrive vari drammi.

PER APPROFONDIRE

Pirandello e il fascismo

«Sento che questo è il momento più proprio di dichiarare una fede nutrita e servita in silenzio. Se l’Eccellenza Vostra mi stima degno di entrare nel Partito Nazionale Fascista, pregierò come massimo onore tenervi il posto del più umile e obbediente gregario». Con queste parole Pirandello dichiara apertamente la sua adesione al fascismo, in una lettera scritta a Mussolini nel settembre del 1924. Due mesi prima, un gruppo di squadristi capitanati dal fiorentino Amerigo Dumini ha rapito e ucciso il deputato socialista Giacomo Matteotti. L’assassinio ha avuto un forte impatto sull’opinione pubblica, provocando una crisi di consenso al regime; il gesto di Pirandello, compiuto proprio all’indomani dell’evento, appare a maggior ragione provocatorio. L’adesione al Partito fascista permetterà allo scrittore di ricevere sovvenzioni e riconoscimenti, come la nomina ad accademico d’Italia nel 1929.
Pirandello non ripudierà mai la sua decisione, ma i suoi rapporti con il regime saranno sempre caratterizzati da ambiguità e contraddizioni. Egli non può essere definito semplicemente un intellettuale fascista: non celebra né appoggia la retorica e i simboli del littorio; si può anzi dire che la sua arte – in particolare nella sua dimensione umoristica – sia radicalmente estranea all’atteggiamento fascista verso la vita e la cultura (“Libro e moschetto, fascista perfetto”, recita uno dei motti fascisti più noti).
D’altra parte, anche Mussolini non si mostra un grande estimatore di Pirandello: non organizzerà mai serate in suo onore, come quelle che gli sono invece tributate a Stoccolma, Parigi, Londra, Praga, Berlino e New York. Tuttavia, Pirandello sa che non può alienarsi le simpatie del partito: «L’arte pirandelliana», scriverà Leonardo Sciascia, «non ha nulla a che fare col fascismo, ma l’uomo sì!».
Pirandello, che pure si dichiara apolitico, vede in effetti in Mussolini l’unica figura in grado di rompere con il passato, facendosi garante di un ordine nuovo, finalmente capace di rimpiazzare una classe politica debole e corrotta. Certamente estraneo alla retorica mussoliniana della forza e della virilità, egli si sente però vicino alle filosofie irrazionalistiche di inizio Novecento, che predicano il superamento del sistema democratico e una concezione vitalistica dell’esistenza.
Non manca, in Pirandello, una velata antipatia per la corte di gerarchi che circonda Mussolini, e dalla sua opera emerge l’avversione per un’ideologia che non può che rivelarsi ai suoi occhi vuota e mistificante. Non per questo, comunque, è possibile parlare di un “antifascismo pirandelliano”; eppure, al di là di ogni definizione, non c’è dubbio che tutta l’arte di Pirandello sia volta a smascherare ogni mitologia e ogni retorica propagandistica.

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Gli anni successivi, trascorsi fra pressanti impegni internazionali e una continua produzione di drammi e novelle, conducono lo scrittore alle vette del successo, fino al conferimento nel 1934 del premio Nobel per la letteratura. Tuttavia Pirandello non smette di sperimentare e rinnovarsi, approdando con le ultime novelle e con l’opera teatrale incompiuta I giganti della montagna alle sponde di una letteratura assai complessa, definita dallo stesso autore «mitica».
Mentre sta assistendo, a Cinecittà, alle riprese di un film tratto da Il fu Mattia Pascal, si ammala di polmonite. Muore il 10 dicembre 1936 nella sua casa di Roma, a sessantanove anni. Il giorno prima era uscita sul “Corriere della Sera” la sua ultima novella, Effetti di un sogno interrotto. Nonostante il regime proponga cerimonie solenni e pompose, i funerali si svolgono in forma strettamente privata e nella più austera semplicità, secondo le disposizioni dello scrittore: «Carro d’infima classe, quello dei poveri. Nudo.
E nessuno mi accompagni, né parenti, né amici. Il carro, il cavallo, il cocchiere e basta». Le sue ceneri, custodite in un’urna greca, riposano per sua volontà ad Agrigento, sotto un pino vicino alla villa del Caos, là dove era nato.

il carattere

Solitudine e malinconia

Profonda malinconia e lucida amarezza: questi i cardini – nella vita come nell’arte – della personalità di Pirandello. Bambino gracile e incline alla riflessione, poi ragazzo turbato dalla corruzione regnante nel mondo degli adulti, Pirandello sembra votato fin dall’adolescenza a una cupa meditazione che egli stesso descriverà come un «abisso nero, popolato di foschi fantasmi, custodito dallo sconforto disperato». Un generale senso di solitudine e di estraneità alla vita accompagna l’intera esistenza dello scrittore, mettendone a dura prova la dimensione affettiva.

Un padre difficile
Particolarmente difficile appare il rapporto con il padre, uomo dall’esuberanza vitale perfino eccessiva, prepotente e infedele. Questi tratti suscitano un’aperta ostilità nell’animo del figlio, il quale tuttavia non si ribella mai, tranne che nella scelta di assecondare la propria vocazione letteraria, mal vista dalla famiglia. Anche negli affetti privati il giovane Luigi non sa imporsi all’autorità paterna: il matrimonio con Antonietta Portulano è combinato dalle famiglie per motivi economici e, pur sostenuto da un sentimento sincero, è accettato da Pirandello come un atto dovuto.

Il bisogno di affetto
Più vicina al cuore dell’autore è la madre Caterina, per la quale egli prova una profonda venerazione. Consapevole del dolore e della vergogna che i tradimenti del marito le arrecano, lo scrittore sembra avvertire sulla propria pelle le inquietudini che intravede nei suoi silenzi. Il bisogno della dolcezza materna traspare anche nei rapporti di Pirandello con le altre donne della sua vita: la sorella Lina, la figlia Lietta, poi la giovane amante Jenny e la moglie Antonietta, infine la musa ispiratrice, l’attrice Marta Abba. Nelle lettere che invia a quest’ultima sono sempre presenti la ricerca di un affetto caldo e vero e il desiderio di costruire e proteggere un nido che dissolva la solitudine del suo animo tormentato.

I colori della letteratura ed. NUOVO ESAME DI STATO - volume 3
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Dal secondo Ottocento a oggi