T5 - Il vizio del fumo e le «ultime sigarette»

Il primo Novecento – L'opera: La coscienza di Zeno

      Dentro il testo

I contenuti tematici

Nella Prefazione il Dottor S. si presenta ai lettori definendo il manoscritto di Zeno una novella (r. 2). Con questo termine intende, all’inglese, “romanzo”, ma forse in esso c’è una punta di polemica del medico nei confronti del paziente e della tendenza di quest’ultimo a non dire la verità, a fingere, a nascondersi: come a dire che il manoscritto non è una cosa seria. Di per sé, la presenza di questo narratore di primo grado che interviene nell’incipit del romanzo rende il vero protagonista, Zeno, privo di credibilità e di centralità all’interno dell’opera, ponendosi al tempo stesso quasi come un suo antagonista che agisce in modo vendicativo, mostrando irascibilità e supponenza. Ora, dopo la sua nota introduttiva, tutto ciò che il paziente racconterà nel corso del romanzo perderà, agli occhi del lettore, ogni carattere di oggettività, acquistando al contrario un costante valore di finzione e ambiguità.

La cura psicanalitica si basa sul colloquio medico-paziente: soltanto attraverso questo metodo il paziente è portato a razionalizzare i propri traumi, giungendo così a comprenderne l’origine remota. Invece il Dottor S. ha spinto Zeno a una sorta di autoanalisi, abbandonandolo a sé stesso e alla stesura del manoscritto. Ciò va contro qualsiasi metodo di cura. E a poco serve che il dottore si giustifichi sostenendo che la scrittura delle memorie da parte di Zeno era soltanto il preludio (r. 9) alla terapia vera e propria: la sua scelta appare comunque decisamente poco professionale. D’altra parte, anche il fatto che egli abbia deciso di pubblicare il testo di Zeno per vendetta (r. 13) stride fortemente con l’etica professionale del medico, che deve preservare, prima di tutto, la riservatezza dei dati relativi al paziente.

Da parte sua, Zeno manifesta subito una certa diffidenza nei confronti della terapia che si accinge a intraprendere e in generale verso le presunte sicurezze della scienza (l’interrogativa iniziale Vedere la mia infanzia?, r. 20, suona come un amaro sberleffo). Alla richiesta del Dottor S. di ricostruire la sua vita a partire dai primi ricordi, egli sottolinea la propria perplessità in merito alla possibilità di riuscirci: sono passati tanti anni e la sua memoria non è così pronta. I suoi occhi sono presbiti (r. 20), quindi dovrebbero vedere meglio le cose lontane che quelle vicine, ma tra il passato e il presente si frappongono come vere alte montagne (r. 22) le esperienze pregresse, fatti ed emozioni della durata di anni o anche solo di qualche ora. In quest’ultima notazione troviamo, implicitamente, un concetto importante su cui si basa la narrativa novecentesca, cioè l’idea per la quale a contare non è tanto l’estensione cronologica oggettivamente misurabile delle esperienze vissute, bensì il rilievo soggettivo che esse hanno assunto nella psiche individuale: per questa ragione eventi che hanno avuto la durata di anni possono essere meno significativi di altri accaduti in poche ore.

Zeno cerca di ricordare la propria infanzia, ma con scarso successo: all’immagine di sé stesso bambino si sovrappone quella di un nipotino nato da poco. Da qui si sviluppano alcuni pensieri sull’infanzia, la cui immagine tradizionale e idealizzante è stata demitizzata dalla teoria freudiana. Quest’ultima ha infatti svelato i meccanismi legati alla vita sessuale inconscia dei più piccoli: concetti ripresi in questa pagina sveviana.
Va detto che il protagonista non si sofferma molto sugli eventi dell’infanzia, e ciò mostra, da parte di Svevo, un’adesione parziale ai princìpi della psicanalisi; anzi, il suo atteggiamento sembra piuttosto polemico. L’idea che l’uomo adulto “derivi” totalmente dalle esperienze infantili è investita dalla tipica ironia del narratore, come possiamo dedurre dall’apostrofe* di Zeno al proprio nipotino: Povero bambino! Altro che ricordare la mia infanzia! Io non trovo neppure la via di avvisare te, che vivi ora la tua, dell’importanza di ricordarla a vantaggio della tua intelligenza e della tua salute (rr. 47-50).

 >> pag. 533 

Le scelte stilistiche

Nel presentare il manoscritto di Zeno come un insieme di tante verità e bugie (r. 16), il narratore di primo grado, cioè il dottor S., mette in discussione la verità di tutto ciò che da qui in poi il lettore troverà scritto nel romanzo: in tal modo la voce di Zeno viene presentata come quella di un “narratore inattendibile”. Si tratta di un modo di tradurre sul piano delle strutture narrative la sfiducia nella possibilità di una rappresentazione obiettiva del reale tipica delle poetiche postnaturaliste.

Il Preambolo è scandito su due distinti piani temporali: quello del presente, in cui si colloca l’atto della scrittura, e quello del passato, ai cui accadimenti le memorie faranno riferimento. Il tempo della scrittura e il tempo del ricordo continueranno a intrecciarsi e a contrapporsi in tutto il romanzo.

      Verso le competenze

COMPRENDERE

1 In che senso l’autobiografia di Zeno doveva essere il preludio alla sua terapia?


2 Perché il Dottor S. afferma di essere disposto a dividere i guadagni con Zeno per aver diffuso il testo senza il suo permesso?


3 Qual è l’operazione che nel Preambolo Zeno racconta di aver cercato di fare per ottemperare alle richieste del Dottor S.? Tale operazione gli risulta facile oppure difficile? Perché?

ANALIZZARE

4 Individua i registri linguistici utilizzati: rintraccia qualche parola o espressione di ciascun registro.

INTERPRETARE

5 Leggendo la Prefazione, quale ti sembra l’atteggiamento del Dottor S. verso il suo ormai ex paziente?


6 Che cosa significa, alle rr. 54-55, l’espressione È impossibile tutelare la tua culla?


7 In quali passi del brano si può cogliere l’ironia del narratore? Rintracciali nel testo e spiega a quali situazioni si riferiscono.


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Il vizio del fumo e le «ultime sigarette»

Cap. 3


Il fumo è una specie di sintomo “riassuntivo” della malattia di Zeno, che invano tenta di rinunciare a questo vizio. Esso rappresenta la sua tendenza a restare sempre al di qua delle decisioni, ad appagarsi del piacere derivante dai buoni propositi senza mai passare alla fase concreta del dovere. Il vero male che lo attanaglia non è dunque tanto la sigaretta in sé, ma la nevrosi causata dal proposito di smettere e dall’incapacità di farlo.

Il dottore al quale ne parlai mi disse d’iniziare il mio lavoro con un’analisi storica
della mia propensione al fumo:
«Scriva! Scriva! Vedrà come arriverà a vedersi intero».
Credo che del fumo posso scrivere qui al mio tavolo senz’andar a sognare su
5 quella poltrona. Non so come cominciare e invoco l’assistenza delle sigarette tutte
tanto somiglianti a quella che ho in mano.

 >> pag. 534 

Oggi scopro subito qualche cosa che più non ricordavo. Le prime sigarette ch’io
fumai non esistono più in commercio. Intorno al ’70 se ne avevano in Austria di
quelle che venivano vendute in scatoline di cartone munite del marchio dell’aquila
10 bicipite.1 Ecco: attorno a una di quelle scatole s’aggruppano2 subito varie persone
con qualche loro tratto,3 sufficiente per suggerirmene il nome, non bastevole però
a commovermi per l’impensato incontro.4 Tento di ottenere di più e vado alla
poltrona: le persone sbiadiscono e al loro posto si mettono dei buffoni che mi
deridono. Ritorno sconfortato al tavolo.
15 Una delle figure, dalla voce un po’ roca, era Giuseppe, un giovinetto della stessa
mia età, e l’altra, mio fratello, di un anno di me più giovine e morto tanti anni
or sono. Pare che Giuseppe ricevesse molto denaro dal padre suo e ci regalasse di
quelle sigarette. Ma sono certo che ne offriva di più a mio fratello che a me. Donde
la necessità in cui mi trovai di procurarmene da me delle altre. Così avvenne che
20 rubai. D’estate mio padre abbandonava su una sedia nel tinello il suo panciotto
nel cui taschino si trovavano sempre degli spiccioli: mi procuravo i dieci soldi occorrenti
per acquistare la preziosa scatoletta e fumavo una dopo l’altra le dieci sigarette
che conteneva, per non conservare a lungo il compromettente frutto del furto.
Tutto ciò giaceva nella mia coscienza a portata di mano. Risorge solo ora perché
25 non sapevo prima che potesse avere importanza. Ecco che ho registrata l’origine
della sozza5 abitudine e (chissà?) forse ne sono già guarito. Perciò, per provare,
accendo un’ultima sigaretta e forse la getterò via subito, disgustato.
Poi ricordo che un giorno mio padre mi sorprese col suo panciotto in mano.
Io, con una sfacciataggine che ora non avrei e che ancora adesso mi disgusta (chissà
30 che tale disgusto non abbia una grande importanza nella mia cura) gli dissi che
m’era venuta la curiosità di contarne i bottoni. Mio padre rise delle mie disposizioni
alla matematica o alla sartoria e non s’avvide che avevo le dita nel taschino
del suo panciotto. A mio onore posso dire che bastò quel riso rivolto alla mia innocenza
quand’essa non esisteva più, per impedirmi per sempre di rubare. Cioè…
35 rubai ancora, ma senza saperlo. Mio padre lasciava per la casa dei sigari virginia6
fumati a mezzo, in bilico su tavoli e armadi. Io credevo fosse il suo modo di gettarli
via e credevo anche di sapere che la nostra vecchia fantesca,7 Catina, li buttasse
via. Andavo a fumarli di nascosto. Già all’atto d’impadronirmene venivo pervaso
da un brivido di ribrezzo sapendo quale malessere m’avrebbero procurato. Poi li
40 fumavo finché la mia fronte non si fosse coperta di sudori freddi e il mio stomaco
si contorcesse. Non si dirà che nella mia infanzia io mancassi di energia.
So perfettamente come mio padre mi guarì anche di quest’abitudine. Un giorno
d’estate ero ritornato a casa da un’escursione scolastica, stanco e bagnato di
sudore. Mia madre m’aveva aiutato a spogliarmi e, avvoltomi in un accappatoio,
45 m’aveva messo a dormire su un sofà sul quale essa stessa sedette occupata a certo
lavoro di cucito. Ero prossimo al sonno, ma avevo gli occhi tuttavia8 pieni di sole
e tardavo a perdere i sensi.9 La dolcezza che in quell’età s’accompagna al riposo

 >> pag. 535 

dopo una grande stanchezza, m’è evidente come un’immagine a sé, tanto evidente
come se fossi adesso là accanto a quel caro corpo che più non esiste.10
50 Ricordo la stanza fresca e grande ove noi bambini si giuocava e che ora, in
questi tempi avari di spazio, è divisa in due parti. In quella scena mio fratello
non appare, ciò che mi sorprende perché penso ch’egli pur deve aver preso parte
a quell’escursione e avrebbe dovuto poi partecipare al riposo. Che abbia dormito
anche lui all’altro capo del grande sofà? Io guardo quel posto, ma mi sembra vuoto.
55 Non vedo che me, la dolcezza del riposo, mia madre, eppoi mio padre di cui
sento echeggiare le parole. Egli era entrato e non m’aveva subito visto perché ad
alta voce chiamò:
«Maria!».
La mamma con un gesto accompagnato da un lieve suono labbiale11 accennò a
60 me, ch’essa credeva immerso nel sonno su cui invece nuotavo in piena coscienza. Mi
piaceva tanto che il babbo dovesse imporsi un riguardo per me, che non mi mossi.
Mio padre con voce bassa si lamentò:
«Io credo di diventar matto. Sono quasi sicuro di aver lasciato mezz’ora fa su
quell’armadio un mezzo sigaro ed ora non lo trovo più. Sto peggio del solito. Le
65 cose mi sfuggono».
Pure a voce bassa, ma che tradiva un’ilarità12 trattenuta solo dalla paura di destarmi,
mia madre rispose:
«Eppure nessuno dopo il pranzo è stato in quella stanza».
Mio padre mormorò:
70 «È perché lo so anch’io, che mi pare di diventar matto!».
Si volse ed uscì.
Io apersi a mezzo gli occhi e guardai mia madre. Essa s’era rimessa al suo lavoro,
ma continuava a sorridere. Certo non pensava che mio padre stesse per ammattire
per sorridere così delle sue paure. Quel sorriso mi rimase tanto impresso che lo
75 ricordai subito13 ritrovandolo un giorno sulle labbra di mia moglie.
Non fu poi la mancanza di denaro che mi rendesse difficile di soddisfare il mio
vizio, ma le proibizioni valsero ad eccitarlo.
Ricordo di aver fumato molto, celato in tutti i luoghi possibili. Perché seguito
da un forte disgusto fisico, ricordo un soggiorno prolungato per una mezz’ora in
80 una cantina oscura insieme a due altri fanciulli di cui non ritrovo nella memoria
altro che la puerilità14 del vestito: due paia di calzoncini che stanno in piedi perché
dentro c’è stato un corpo che il tempo eliminò. Avevamo molte sigarette e volevamo
vedere chi ne sapesse bruciare di più nel breve tempo. Io vinsi, ed eroicamente
celai il malessere che mi derivò dallo strano esercizio. Poi uscimmo al sole e all’aria.
85 Dovetti chiudere gli occhi per non cadere stordito. Mi rimisi e mi vantai della
vittoria. Uno dei due piccoli omini mi disse allora:
«A me non importa di aver perduto perché io non fumo che quanto m’occorre».
Ricordo la parola sana e non la faccina certamente sana anch’essa che a me
doveva essere rivolta in quel momento.
90 Ma allora io non sapevo se amavo o odiavo la sigaretta e il suo sapore e lo stato

 >> pag. 536 

in cui la nicotina mi metteva. Quando seppi di odiare tutto ciò fu peggio. E lo seppi
a vent’anni circa. Allora soffersi per qualche settimana di un violento male di gola accompagnato
da febbre. Il dottore prescrisse il letto e l’assoluta astensione dal fumo.
Ricordo questa parola assoluta! Mi ferì e la febbre la colorì. Un vuoto grande e niente
95 per resistere all’enorme pressione che subito si produce attorno ad un vuoto.
Quando il dottore mi lasciò, mio padre (mia madre era morta da molti anni)
con tanto di sigaro in bocca restò ancora per qualche tempo a farmi compagnia.
Andandosene, dopo di aver passata dolcemente la sua mano sulla mia fronte scottante,
mi disse:
100 «Non fumare, veh!».
Mi colse un’inquietudine enorme. Pensai: «Giacché mi fa male non fumerò
mai più, ma prima voglio farlo per l’ultima volta». Accesi una sigaretta e mi sentii
subito liberato dall’inquietudine ad onta che15 la febbre forse aumentasse e che ad
ogni tirata sentissi alle tonsille un bruciore come se fossero state toccate da un tizzone
105 ardente. Finii tutta la sigaretta con l’accuratezza con cui si compie un voto.16
E, sempre soffrendo orribilmente, ne fumai molte altre durante la malattia. Mio
padre andava e veniva col suo sigaro in bocca dicendomi:
«Bravo! Ancora qualche giorno di astensione dal fumo e sei guarito!».
Bastava questa frase per farmi desiderare ch’egli se ne andasse presto, presto,
110 per permettermi di correre alla mia sigaretta. Fingevo anche di dormire per indurlo
ad allontanarsi prima.
Quella malattia mi procurò il secondo dei miei disturbi: lo sforzo di liberarmi
dal primo. Le mie giornate finirono coll’essere piene di sigarette e di propositi
di non fumare più e, per dire subito tutto, di tempo in tempo sono ancora tali.
115 La ridda17 delle ultime sigarette, formatasi a vent’anni, si muove tuttavia.18 Meno
violento è il proposito e la mia debolezza trova nel mio vecchio animo maggior
indulgenza. Da vecchi si sorride della vita e di ogni suo contenuto. Posso anzi dire,
che da qualche tempo io fumo molte sigarette… che non sono le ultime.
Sul frontispizio di un vocabolario trovo questa mia registrazione fatta con bella
120 scrittura e qualche ornato:
«Oggi, 2 Febbraio 1886, passo dagli studii di legge a quelli di chimica. Ultima
sigaretta!!».
Era un’ultima sigaretta19 molto importante. Ricordo tutte le speranze che l’accompagnarono.
M’ero arrabbiato col diritto canonico20 che mi pareva tanto lontano
125 dalla vita e correvo alla scienza ch’è la vita stessa benché ridotta in un matraccio.21
Quell’ultima sigaretta significava proprio il desiderio di attività (anche
manuale) e di sereno pensiero sobrio e sodo.22
Per sfuggire alla catena delle combinazioni del carbonio23 cui non credevo ritornai
alla legge.24 Pur troppo! Fu un errore e fu anch’esso registrato da un’ultima
130 sigaretta di cui trovo la data registrata su di un libro. Fu importante anche questa e

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mi rassegnavo di ritornare a quelle complicazioni del mio, del tuo e del suo25 coi
migliori propositi, sciogliendo finalmente le catene del carbonio. M’ero dimostrato
poco idoneo alla chimica anche per la mia deficienza di abilità manuale. Come
avrei potuto averla quando26 continuavo a fumare come un turco?
135 Adesso che son qui, ad analizzarmi, sono colto da un dubbio: che io forse
abbia amato tanto la sigaretta per poter riversare su di essa la colpa della mia
incapacità? Chissà se cessando di fumare io sarei divenuto l’uomo ideale e forte
che m’aspettavo? Forse fu tale dubbio che mi legò al mio vizio perché è un modo
comodo di vivere quello di credersi grande di una grandezza latente.27 Io avanzo
140 tale ipotesi per spiegare la mia debolezza giovanile, ma senza una decisa convinzione.
Adesso che sono vecchio e che nessuno esige qualche cosa da me, passo
tuttavia28 da sigaretta a proposito, e da proposito a sigaretta. Che cosa significano
oggi quei propositi? Come quell’igienista vecchio, descritto dal Goldoni,29 vorrei
morire sano dopo di esser vissuto malato tutta la vita?
145 Una volta, allorché da studente cambiai di alloggio, dovetti far tappezzare a
mie spese le pareti della stanza perché le avevo coperte di date. Probabilmente
lasciai quella stanza proprio perché essa era divenuta il cimitero dei miei buoni
propositi e non credevo più possibile di formarne in quel luogo degli altri.
Penso che la sigaretta abbia un gusto più intenso quand’è l’ultima. Anche le altre
150 hanno un loro gusto speciale, ma meno intenso. L’ultima acquista il suo sapore
dal sentimento della vittoria su sé stesso e la speranza di un prossimo futuro di
forza e di salute. Le altre hanno la loro importanza perché accendendole si protesta
la propria libertà e il futuro di forza e di salute permane, ma va un po’ più lontano.
Le date sulle pareti della mia stanza erano impresse coi colori più varii ed anche
155 ad olio. Il proponimento, rifatto con la fede più ingenua, trovava adeguata
espressione nella forza del colore che doveva far impallidire quello dedicato al
proponimento anteriore. Certe date erano da me preferite per la concordanza delle
cifre. Del secolo passato ricordo una data che mi parve dovesse sigillare per sempre
la bara in cui volevo mettere il mio vizio: «Nono giorno del nono mese del 1899».
160 Significativa nevvero? Il secolo nuovo m’apportò delle date ben altrimenti musicali:
«Primo giorno del primo mese del 1901». Ancor oggi mi pare che se quella data
potesse ripetersi, io saprei iniziare una nuova vita.
Ma nel calendario non mancano le date e con un po’ d’immaginazione ognuna
di esse potrebbe adattarsi ad un buon proponimento. Ricordo, perché mi parve
165 contenesse un imperativo supremamente categorico,30 la seguente: «Terzo giorno
del sesto mese del 1912 ore 24». Suona come se ogni cifra raddoppiasse la posta.31
L’anno 1913 mi diede un momento d’esitazione. Mancava il tredicesimo mese
per accordarlo con l’anno. Ma non si creda che occorrano tanti accordi in una data
per dare rilievo ad un’ultima sigaretta. Molte date che trovo notate su libri o quadri
170 preferiti, spiccano per la loro deformità.32 Per esempio il terzo giorno del secondo
mese del 1905 ore sei! Ha un suo ritmo quando ci si pensa, perché ogni singola

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cifra nega la precedente. Molti avvenimenti, anzi tutti, dalla morte di Pio IX33 alla
nascita di mio figlio, mi parvero degni di essere festeggiati dal solito ferreo proposito.
Tutti in famiglia si stupiscono della mia memoria per gli anniversarii lieti e
175 tristi nostri e mi credono tanto buono!
Per diminuirne l’apparenza balorda tentai di dare un contenuto filosofico alla
malattia dell’ultima sigaretta. Si dice con un bellissimo atteggiamento: «mai più!».
Ma dove va l’atteggiamento se si tiene34 la promessa? L’atteggiamento non è possibile
di averlo che quando si deve rinnovare il proposito. Eppoi il tempo, per me,
180 non è quella cosa impensabile che non s’arresta mai. Da me, solo da me, ritorna.

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I contenuti tematici

Un tratto che connota il carattere di Zeno è senza dubbio la sua debolezza psicologica, che si esprime nella mancanza di volontà. È sintomatica in tal senso la sua incapacità di smettere di fumare. Paradossalmente il vizio si radica ancora di più in lui nel momento in cui il fumo gli viene espressamente vietato dal medico, in concomitanza con una seria infiammazione delle vie respiratorie. Come accadeva già al protagonista in età infantile, la proibizione eccita il gusto della trasgressione, in base a una dinamica psicologica piuttosto facile da decodificare: il desiderio di smettere di fumare accresce il piacere mediante l’emozione suscitata dall’infrazione del divieto, sempre disatteso e continuamente riproposto, come in un circolo vizioso di false promesse puntualmente non mantenute.
Il fumo, inoltre, diventa quasi un alibi per non impegnarsi seriamente in un concreto programma di vita (un preciso percorso di studi e una professione determinata). Soltanto ora, al momento della scrittura del diario, Zeno ne prende finalmente coscienza: che io forse abbia amato tanto la sigaretta per poter riversare su di essa la colpa della mia incapacità? (rr. 135-137). Non a caso, al vizio sono associati vocaboli negativi quali disgusto (rr. 30 e 79), sozza abitudine (r. 26), colpa (r. 136): eppure ciò non spinge il protagonista a un cambiamento delle proprie abitudini, bensì soltanto a una autoironica indulgenza verso sé stesso e i suoi limiti irrimediabili. Il senso di colpa provato per le proprie inadeguatezze non sfocia insomma in atti concreti capaci di sfidare le pulsioni dell’inconscio: l’unica risorsa a disposizione di Zeno – e ciò che lo distingue dagli altri personaggi sveviani – è la consapevolezza della propria inettitudine e dell’impossibilità di vincerla.

 >> pag. 539 

Le scelte stilistiche

Il romanzo del Novecento si caratterizza per una nuova concezione del tempo, che qui troviamo bene espressa nelle ultime due frasi del brano. Scrive Zeno nel suo diario: il tempo, per me, non è quella cosa impensabile che non s’arresta mai. Da me, solo da me, ritorna (rr. 179-180). Il tempo, in altre parole, non ha un andamento lineare e univoco, e non è vero che il suo flusso non possa arrestarsi. Esso, al contrario, può essere fissato nella memoria attraverso i ricordi personali e in tal modo “ritornare” al soggetto. C’è infatti un tempo “esterno”, misurabile in anni, mesi e giorni, e un tempo “interno”, la cui estensione si valuta in base alla maggiore o minore intensità con cui gli eventi sono percepiti dal soggetto.
Zeno afferma che questa possibilità di un “ritorno” del tempo è un suo speciale privilegio (solo da me), ma va detto che in realtà essa è condivisa da molti personaggi dei romanzi contemporanei, per i quali il passato e il presente convivono in quello che viene chiamato “tempo misto”. Nella Coscienza di Zeno tale tempo misto si esprime nel continuo intersecarsi tra i diversi piani temporali della narrazione mediante le libere associazioni che si sviluppano senza seguire un filologico e in modo oscuro nella mente e nella “coscienza” del protagonista (che infatti sceglie un particolare qualsiasi per iniziare la stesura del memoriale: Non so come cominciare, r. 5). Attraverso questo rinnovamento del tempo narrativo, sembra disgregarsi la trama tradizionale con il suo ordine cronologico. Il tempo non viene più inteso, come avveniva nel romanzo realista e naturalista, come un fenomeno oggettivo, ma è filtrato dalla percezione che ne hanno i personaggi.

      Verso le competenze

COMPRENDERE

1 Suddividi il brano in quattro sequenze principali, attribuendo un titolo a ciascuna di esse.


2 Quasi alla fine del brano Zeno si dà una spiegazione molto lucida del suo amore per la sigaretta, ma la mette in dubbio subito dopo. Qual è la spiegazione e con quali argomenti la smentisce?

ANALIZZARE

3 Nella prima sequenza si vede come il vizio del fumo induce il giovane Zeno a commettere una serie di trasgressioni. Rintracciale nel testo ed elencale ordinatamente.


4 Individua nel testo l’alternanza tra i diversi piani temporali, distinguendo i ricordi veri e propri (riferiti al passato) e i commenti del narratore (collocati nel presente).

INTERPRETARE

5 Come vengono caratterizzati gli altri ragazzi che compaiono nei ricordi di infanzia del protagonista? In maniera precisa e dettagliata oppure generica e lacunosa? Come lo spieghi?


6 Perché Zeno fuma nonostante la proibizione del medico?

PRODURRE

7 Ti è mai capitato, come a Zeno, di avere un proposito e poi trasgredirlo quasi regolarmente? Scrivi un breve testo di circa 20 righe sull’argomento.


I colori della letteratura ed. NUOVO ESAME DI STATO - volume 3
I colori della letteratura ed. NUOVO ESAME DI STATO - volume 3
Dal secondo Ottocento a oggi