Il «nido»
Traumatizzato dai lutti familiari, Pascoli tenta di trovare sicurezza, conforto e protezione dalle minacce del mondo esterno negli affetti familiari, negli ambienti e nelle atmosfere più intime e care. Le immagini più ricorrenti della sua poesia evidenziano non a caso una costante opposizione interno-esterno: al primo elemento sono associate le sensazioni di calore, dolcezza, purezza e amore, al secondo quelle di freddo, dolore, paura e morte.
Il desiderio di un mondo semplice e senza violenza, legato ai valori contadini, lo porta a osservare con terrore la civiltà industriale e la società di massa urbanizzata: secondo Pascoli il progresso di stampo positivistico, invece che garantire sicurezza all’uomo, lo ha esposto a nuovi pericoli, rendendolo piccolo e smarrito. Guardando alle tensioni del tempo presente il poeta scrive «Non c’è più la tranquilla immobilità», e definisce la scienza «crudele e inopportuna», perché colpevole di aver attentato alle illusioni dei sogni, al piacevole inganno della fede (Pascoli non crede in Dio, ma non sa rinunciare alla sua immagine) e alla felice ingenuità degli uomini: «Oh! Tu sei fallita, o scienza: ed è bene: ma sii maledetta». L’unica possibilità per conservare la propria integrità e salvare l’innocenza consiste per lui nel regredire all’età dell’oro dell’infanzia, mitico tempo sereno, non ancora toccato dalle inquietudini della modernità e della vita adulta.