3 - I grandi temi

Il secondo Ottocento – L'autore: Giovanni Pascoli

3 I grandi temi

Il «fanciullino»

Pascoli fissa le linee di fondo della sua riflessione sulla poesia nel saggio Il fanciullino, apparso a puntate sulla rivista “Il Marzocco” dal gennaio all’aprile del 1897. L’idea centrale è che anche nell’età adulta di ogni individuo sopravviva un fanciullo che osserva il mondo e «vede tutto con meraviglia, tutto come per la prima volta». Di questa parte infantile e irrazionale dell’io il poeta sa ascoltare e trascrivere la voce: alla stregua di un «Adamo che mette il nome a tutto ciò che vede e sente», egli utilizzerà una lingua «ingenua», senza la malizia e le prescrizioni sociali che snaturano le strategie comunicative dell’individuo. La verità delle cose e del mondo si rivelerà in tal modo autentica, priva di retorica, finalmente pura e libera da ogni condizionamento culturale.

La rivendicazione del potere conoscitivo del linguaggio poetico, un aspetto che Pascoli ritiene determinante nella sua vocazione letteraria, si accompagna a una nuova concezione della poesia: quest’ultima non sarà più fondata sulla logica razionale del reale, che si limita a distinguere e catalogare, ma sull’intuizione e sull’immaginazione. La poesia diventa il luogo della conoscenza istintiva delle cose, della loro riscoperta con uno sguardo pieno di stupore, grazie al quale si può penetrare nella profondità della natura, nella sua più intima e recondita essenza, nel mistero e nell’«abisso della verità».
L’emozione e la sensibilità percettiva del «fanciullino» possono così rivelare il valore segreto che risiede anche negli oggetti più umili. La candida contemplazione della realtà ne rivela aspetti di solito considerati di minor rilievo e dunque trascurabili, dei quali vengono invece scoperti i significati nascosti, che si annidano sotto l’apparenza.

Il carattere alogico, ossia estraneo alla logica, in qualche modo dissonante, della poesia (un’idea che Pascoli condivide con i simbolisti francesi) permette così di esplorare territori misteriosi, scoprendo cose che «sfuggono ai nostri sensi» e che non possono essere conosciute a un livello razionale. Per questo la parola poetica non descrive né interpreta la realtà: piuttosto la crea.
Conseguenza di questo atteggiamento irrazionalistico è la ricerca di un linguaggio poetico che permetta, grazie a un’ingegnosa e improvvisa illuminazione, di mostrare, con collegamenti spesso solo sottintesi, analogie e relazioni impreviste tra gli oggetti. Secondo Pascoli la poesia è un’attività per lo più metaforica, che recupera le voci della natura e adotta una lingua che è ancora in una fase pre-grammaticale, come avviene nell’infanzia, quando il linguaggio figurato, i particolari descrittivi, le comparazioni e le similitudini rappresentano la normale espressione della percezione del mondo.
I fanciulli sono infatti portati a personificare le cose, a legare le manifestazioni naturali all’intervento di forze soprannaturali, ad attribuire vita e sentimento per esempio alla pioggia, al sole, al vento, a considerare il sogno come un’esperienza reale. Allo stesso modo, il poeta risalirà fino agli albori della propria esistenza, assegnando caratteristiche umane agli animali e alle piante e ripristinando un rapporto magico con la realtà, in un’ottica straniante rispetto a quella abituale: così, rivestiti i panni del «fanciullino», «parla alle bestie, agli alberi, ai sassi, alle nuvole, alle stelle […], popola l’ombra di fantasmi e il cielo di dei […], impicciolisce per poter vedere, ingrandisce per poter ammirare».

 >> pag. 297 

Inoltre, pur senza ignorare l’implicito messaggio sociale insito nella poesia (l’autore parla di «una suprema utilità morale e sociale», mettendo in evidenza la «natura socialista», umana e filantropica, dell’arte), Pascoli sottolinea l’autonomia dell’atto poetico e la sua natura spontanea e disinteressata. L’unico obiettivo che la poesia riconosce a sé stessa è quello di esprimersi con purezza, rifiutando di essere applicata a finalità prefissate e a interessi politici strumentali o contingenti.

Si tratta, come ha scritto il critico e saggista Giacomo Debenedetti, di una rivoluzione per molti aspetti «inconsapevole»: il poeta ha cioè, sul piano teorico, una coscienza limitata del significato storico della propria sperimentazione. D’altra parte, nello stile di Pascoli, accanto alle molte novità formali sopravvivono, come vedremo, istanze consolidate, quali la conservazione della rima e il rispetto delle forme metriche: un’ambivalenza che fa di lui un «rivoluzionario nella tradizione» (la formula è di Gianfranco Contini). Tuttavia la rottura con i canoni del classicismo (che annovera maestri influenti contemporanei a Pascoli, come Giosuè Carducci) è ormai compiuta: da essa muoveranno le esperienze poetiche più innovative del Novecento italiano.

 T1 

L’eterno fanciullo che è in noi

Il fanciullino, I; III; XI


Estrapoliamo alcuni passi significativi dal più importante saggio di poetica pascoliano. L’autore esprime qui la propria concezione della poesia, che corrisponde a una sorta di stato infantile permanente, grazie al quale è ancora possibile, anche quando si è adulti, guardare al mondo con ingenuità e meraviglia.

I.
È dentro noi un fanciullino che non solo ha brividi,1 come credeva Cebes Tebano2
che primo in sé lo scoperse, ma lagrime ancora3 e tripudi4 suoi. Quando la nostra
età è tuttavia tenera,5 egli confonde la sua voce con la nostra, e dei due fanciulli6
che ruzzano7 e contendono tra loro, e, insieme sempre, temono sperano godono

 >> pag. 298 

5 piangono, si sente un palpito solo, uno strillare e un guaire8 solo. Ma quindi9 noi
cresciamo, ed egli resta piccolo; noi accendiamo negli occhi un nuovo desiderare,
ed egli vi tiene fissa la sua antica serena maraviglia;10 noi ingrossiamo e arrugginiamo11
la voce, ed egli fa sentire tuttavia e sempre il suo tinnulo12 squillo come di
campanello. Il quale tintinnio segreto noi non udiamo distinto nell’età giovanile
10 forse così come nella più matura, perché in quella occupati a litigare e perorare
la causa della nostra vita,13 meno badiamo a quell’angolo d’anima d’onde14 esso
risuona. E anche, egli, l’invisibile fanciullo, si pèrita15 vicino al giovane più che accanto
all’uomo fatto e al vecchio, ché più dissimile a sé vede quello che questi.16 Il
giovane in vero di rado e fuggevolmente si trattiene col fanciullo; ché ne sdegna la
15 conversazione, come chi si vergogni d’un passato ancor troppo recente. Ma l’uomo
riposato17 ama parlare con lui e udirne il chiacchiericcio e rispondergli a tono e
grave;18 e l’armonia di quelle voci è assai dolce ad ascoltare, come d’un usignuolo
che gorgheggi presso un ruscello che mormora. […]

III.
Ma è veramente in tutti il fanciullo musico? […] In alcuni non pare che egli sia;
20 alcuni non credono che sia in loro; e forse è apparenza e credenza falsa. Forse gli
uomini aspettano da lui chi sa quali mirabili dimostrazioni e operazioni; e perché
non le vedono, o in altri o in sé, giudicano che egli non ci sia. Ma i segni della sua
presenza e gli atti della sua vita sono semplici e umili. Egli è quello, dunque, che
ha paura al buio, perché al buio vede o crede di vedere; quello che alla luce sogna o
25 sembra sognare, ricordando cose non vedute mai; quello che parla alle bestie, agli
alberi, ai sassi, alle nuvole, alle stelle:19 che popola l’ombra di fantasmi e il cielo di
dei. Egli è quello che piange e ride senza perché, di cose che sfuggono ai nostri sensi
e alla nostra ragione. Egli è quello che nella morte degli esseri amati esce a dire
quel particolare puerile che ci fa sciogliere in lacrime, e ci salva.20 Egli è quello che
30 nella gioia pazza pronunzia, senza pensarci, la parola grave che ci frena. Egli rende
tollerabile la felicità e la sventura, temperandole d’amaro e di dolce,21 e facendone
due cose ugualmente soavi al ricordo. Egli fa umano l’amore, perché accarezza esso
come sorella (oh! Il bisbiglio dei due fanciulli tra un bramire di belve), accarezza
e consola la bambina che è nella donna.22 Egli nell’interno dell’uomo serio sta
35 ad ascoltare, ammirando, le fiabe e le leggende, e in quello dell’uomo pacifico fa
echeggiare stridule fanfare di trombette e di pive,23 e in un cantuccio dell’anima di
chi più non crede, vapora24 d’incenso l’altarino che il bimbo ha ancora conservato
da allora. Egli ci fa perdere il tempo, quando noi andiamo per i fatti nostri, ché ora
vuol vedere la cinciallegra che canta, ora vuol cogliere il fiore che odora, ora vuol
40 toccare la selce25 che riluce.

 >> pag. 299 

E ciarla intanto, senza chetarsi mai; e, senza lui, non solo non vedremmo tante
cose a cui non badiamo per solito, ma non potremmo nemmeno pensarle e ridirle,
perché egli è l’Adamo che mette il nome a tutto ciò che vede e sente.26 Egli scopre
nelle cose le somiglianze e relazioni più ingegnose.27 Egli adatta il nome della
45 cosa più grande alla più piccola, e al contrario. E a ciò lo spinge meglio stupore
che ignoranza,28 e curiosità meglio29 che loquacità: impicciolisce per poter vedere,
ingrandisce per poter ammirare. Né il suo linguaggio è imperfetto come di chi non
dica la cosa se non a mezzo, ma prodigo anzi, come di chi due pensieri dia per
una parola.30 E a ogni modo dà un segno, un suono, un colore, a cui riconoscere
50 sempre ciò che vide una volta. […]

XI.
[…]
Il poeta è poeta, non oratore o predicatore, non filosofo, non istorico, non
maestro, non tribuno o demagogo,31 non uomo di stato o di corte. E nemmeno è,
sia con pace del Maestro, un artiere che foggi spada e scudi e vomeri;32 e nemmeno,
con pace di tanti altri, un artista che nielli33 e ceselli l’oro che altri gli porga. A
55 costituire il poeta vale infinitamente più il suo sentimento e la sua visione, che il
modo col quale agli altri trasmette l’uno e l’altra. Egli, anzi, quando li trasmette,
pur essendo in cospetto d’un pubblico, parla piuttosto tra sé, che a quello. Del
pubblico, non pare che si accorga. Parla forte (ma non tanto!) più per udir meglio
esso, che per farsi intendere da altrui. […]

      Dentro il testo

I contenuti tematici

La maggior parte degli uomini, corrotti dall’esperienza e resi inautentici dalle convenzioni sociali, smarriscono la dimensione infantile, che permetteva loro, da bambini, di provare intense emozioni e porsi in un’affascinante e misteriosa relazione nei confronti delle cose e della natura. Recuperare questo atteggiamento spontaneo è un’impresa difficile, poiché guardare al mondo con meraviglia è possibile grazie a un processo che non coinvolge la ragione e la cultura, ma tocca le zone più intime della nostra coscienza, quei sentimenti nascosti, al di fuori del tempo e della Storia, che ereditiamo al momento stesso della nascita.

 >> pag. 300 

Il poeta ha il privilegio di restare bambino, attingendo alla voce della propria interiorità: egli possiede i sentimenti di un fanciullo, grazie ai quali riesce a tradurre le sue visioni in parole immediate, senza il filtro del pensiero, ma solo attraverso la propria vista primigenia, che gli consente di cogliere lo splendore dell’essere e le somiglianze e le relazioni più ingegnose (r. 44) tra le cose (le corrispondenze di Baudelaire, ► p. 278). Nel sottolineare questo aspetto è evidente la negazione del Positivismo: la poesia autentica rifiuta la lettura materialistica del reale per offrirne una più spontanea e ingenua.
Il poeta infatti popola l’ombra di fantasmi e il cielo di dei (rr. 26-27): ha dunque una visione prescientifica e prelogica della realtà, identificandosi in una sorta di uomo primitivo felice e innocente; in questo aspetto è lecito cogliere l’influenza del filosofo Giambattista Vico (1668-1744), secondo il quale l’umanità animalesca e primitiva era per natura felice e incline alla fantasia. Il suo scopo – ma è uno scopo, per così dire, istintivo e non programmatico – è pertanto quello di rendere le cose nella loro essenza più segreta, strappandole alla finzione e all’abitudine, e così recuperarne la freschezza e il sapore originario.

In tal modo, scoprendo i particolari reconditi della realtà, il poeta può comunicare agli uomini questa capacità che essi hanno perduto, ridestando in loro il «fanciullino» sommerso dalla civiltà.

La polemica con Carducci è scoperta: alla visione del letterato come artiere che foggi spada e scudi e vomeri (r. 53) per difendere e divulgare un ideale magniloquente di poesia impegnata, civile e patriottica, Pascoli contrappone l’immagine dell’artista puro, che riacquista il senso primitivo delle cose, semplificandole e rifiutando ogni ambizione oratoria per dare un nome a particolari a prima vista umili, trascurati dalla sensibilità comune.

      Verso le competenze

COMPRENDERE

1 Qual è la funzione della poesia a giudizio di Pascoli?


2 Per quali ragioni gli uomini spesso non avvertono dentro di sé la presenza del «fanciullino»?

ANALIZZARE

3 Sottolinea nel testo i diminutivi e i vezzeggiativi e spiega la ragione della loro frequenza.

INTERPRETARE

4 Come si può spiegare l’accostamento del poetafanciullo ad Adamo?

PRODURRE

5 Alcuni critici hanno messo in relazione la poetica del «fanciullino» con quella di Giacomo Leopardi (autore, del resto, assai amato da Pascoli), secondo il quale gli antichi potevano godere rispetto ai moderni di un rapporto più diretto e privilegiato con la natura e con la poesia. Approfondisci la questione in un testo argomentativo di circa 30 righe.


I colori della letteratura ed. NUOVO ESAME DI STATO - volume 3
I colori della letteratura ed. NUOVO ESAME DI STATO - volume 3
Dal secondo Ottocento a oggi