Il rifiuto del presente

Il secondo Novecento e gli anni Duemila – L'autore: Pier Paolo Pasolini

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I contenuti tematici

Nel primo episodio il Riccetto si butta dalla barca, a proprio rischio e pericolo (la corrente del fiume potrebbe portarlo via), per salvare una rondinella finita in acqua. Questo comportamento potrebbe essere ritenuto piuttosto inverosimile da un punto di vista sociologico: la preoccupazione del Riccetto per le sorti della povera rondinella risulta in effetti piuttosto improbabile, data la rappresentazione d’insieme del personaggio.
Lo psicanalista e saggista Aldo Carotenuto ha offerto però una suggestiva interpretazione dell’episodio: «Tutto ciò che vola e che appartiene all’aria esprime, nella simbologia psicologica, un elemento spirituale, qualcosa che è capace di elevarsi da terra, dalla superficie delle cose. Tuffandosi in acqua e salvando la rondine, Riccetto compie un gesto che lo èleva dalla squallida condizione in cui ordinariamente si trova».

Tra il primo e il secondo brano sono passati sei anni. Il Riccetto, che prima aveva quattordici anni, ora ne ha venti: da ragazzo che era, è diventato uomo, ha un lavoro, è inserito nella società. Se nel primo brano egli è pronto a rischiare la vita per aiutare un animaletto, nel secondo, di fronte all’annegamento di Genesio, non è certo indifferente, anzi è addolorato (quasi piangeva anche lui, r. 82), probabilmente ha anche preso in considerazione, almeno per un momento, l’ipotesi di buttarsi e di tentare il tutto per tutto al fine di salvare il povero Genesio, ma poi prevalgono l’istinto di autoconservazione, il calcolo, una certa prudenza: Io je vojo bene ar Riccetto, sa! (r. 84). Nelle ultime righe del testo, oltre a non aver prestato soccorso, il Riccetto si allontana veloce dal luogo in cui Genesio è affogato. Perché lo fa? Nel corso delle vicende raccontate nel romanzo è stato per un certo tempo in carcere: nella sua situazione – avrà pensato – è sempre meglio non avere a che fare con le forze dell’ordine, neppure in qualità di testimone di una morte accidentale.

Quello della morte di ragazzi e giovani uomini è un motivo affrontato da Pasolini sempre all’insegna di una sobria commozione, dai toni quasi elegiaci. Da un punto di vista narratologico, aggiungiamo che se i «ragazzi di vita» sono i protagonisti del romanzo, la morte potrebbe essere vista come la loro vera antagonista. A proposito della ricorrenza ossessiva di questo motivo si potrebbe sottolineare come esso si leghi, per così dire, all’incapacità di Pasolini di seguire i suoi personaggi oltre la soglia dell’età adulta. O, meglio, al suo disinteresse nei confronti del mondo adulto, che gli appare tanto corrotto quanto quello dell’infanzia e dell’adolescenza gli appare puro. In altre parole, facendo morire i suoi giovani personaggi, è come se li salvasse dalla degenerazione a cui, crescendo, sarebbero inevitabilmente destinati. Perché la maturazione equivale alla perdita di caratteristiche positive come la spontaneità e la generosità, sostituite da una più adulta e borghese morale dell’egoismo e dell’autoconservazione.

Le scelte stilistiche

Alla rappresentazione della morte si connette spesso in Ragazzi di vita una tonalità patetica, tesa a suscitare commozione nel lettore. Sono queste le parti del romanzo meno apprezzate da alcuni critici, che le hanno giudicate strappalacrime. Se soprattutto nel secondo brano è innegabile che Pasolini calchi il pedale del pathos (per esempio attraverso l’insistito ricorso ai diminutivi, con valore vezzeggiativo, riferiti alla persona di Genesio: braccine, r. 64; ragazzino, r. 71; testina, r. 75; calzoncini, r. 80), tuttavia un simile giudizio negativo è assai discutibile: più che cercare effetti melodrammatici fini a sé stessi, l’autore non fa altro – qui come in tante pagine del libro – che manifestare profonda simpatia e intima adesione nei confronti del mondo e dei personaggi rappresentati.

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Quanto all’aspetto specificamente linguistico, bisogna notare come Pasolini incroci e spesso sovrapponga due universi linguistici, che sono anche due universi psicologici e due punti di vista assai diversi e lontani tra loro: quello dell’autore (colto, raffinato, dotato di una notevole cultura e di una spiccata consapevolezza letteraria) e quello dei personaggi (semplici, incolti, che tendono a esprimersi in maniera rozza ed elementare). In tal modo l’italiano si mescola a un dialetto romanesco fatto di espressioni volgari che spesso sfociano nel turpiloquio (vaffan…, r. 13; A stronzo, r. 17; E che te frega, r. 23; Li mortacci tua, r. 31).

      Verso le competenze

COMPRENDERE

1 Riassumi i due brani in circa 5 righe ciascuno.

ANALIZZARE

2 Rintraccia nei due testi alcuni esempi di vocaboli letterari e gergali.


Vocaboli letterari
Vocaboli gergali

 
 

 
 

 
 

 
 

3 Individua nei due brani alcune frasi chiaramente legate al punto di vista e al modo di esprimersi dell’autore.

INTERPRETARE

4 A tuo parere, perché nel secondo brano è assente il turpiloquio, che invece abbonda nel primo?

PRODURRE

5 Traccia in un testo espositivo di circa 20 righe due distinti ritratti psicologici del Riccetto nel primo e nel secondo brano, evidenziando soprattutto analogie e differenze tra i due momenti.


Il rifiuto del presente

A mano a mano che, a cavallo tra gli anni Cinquanta e Sessanta, il boom economico trasforma in profondità il tessuto economico e sociale del paese, insieme alle abitudini, agli stili di vita, alla mentalità delle persone, Pasolini si sente sempre più estraneo nei confronti di una realtà in cui non si riconosce e che disapprova. Strumento principe attraverso cui sta avvenendo questa trasformazione, che equivale a una manipolazione delle coscienze, è per Pasolini la televisione, per la sua intrinseca capacità di persuasione occulta.

Nel 1964 esce un saggio del semiologo Umberto Eco destinato a diventare molto famoso. Si intitola Apocalittici e integrati e definisce, in relazione alle «comunicazioni di massa» e alle «teorie della cultura di massa» (come recita il sottotitolo), i due tipi di atteggiamento che gli intellettuali tendono ad assumere. Gli «integrati» sono coloro che valorizzano gli aspetti positivi della nuova realtà: la democratizzazione della comunicazione, l’accesso alla cultura consentito a gruppi sociali che prima ne erano esclusi, l’abbassamento del costo economico dei prodotti culturali ecc. Gli «apocalittici» sono invece coloro che evidenziano i risvolti negativi di tale situazione: l’omologazione, la persuasione occulta della pubblicità, il conformismo dilagante, l’assenza di pensiero critico ecc.

 >> pag. 1110 

Ebbene, è chiaro che Pasolini sta nettamente con gli «apocalittici». Soprattutto nella fase finale della sua produzione artistica (dalla metà degli anni Sessanta in poi) è fortissima l’insistenza sulla negatività della moderna società dei consumi e degli strumenti di comunicazione attraverso cui essa diffonde la propria perversa ideologia. È un degrado totale dell’intelligenza e dei valori autentici, da cui sembra non esistere via d’uscita: da qui i toni cupi e disperati che caratterizzano le sue ultime opere.

 T3 

L’omologazione televisiva

Scritti corsari


Riportiamo integralmente il capitolo 9 dicembre 1973. Acculturazione e acculturazione, in cui Pasolini sviluppa uno dei temi più dibattuti negli Scritti corsari: il potere occulto ma fortemente “seduttivo” della nuova ideologia edonistica che ha cambiato il carattere degli italiani spingendoli alla sola ricerca del benessere materiale.

Molti lamentano (in questo frangente dell’austerity)1 i disagi dovuti alla mancanza
di una vita sociale e culturale organizzata fuori dal Centro «cattivo» nelle periferie
«buone» (viste come dormitori senza verde, senza servizi, senza autonomia, senza
più reali rapporti umani). Lamento retorico. Se infatti ciò di cui nelle periferie si
5 lamenta la mancanza, ci fosse, esso sarebbe comunque organizzato dal Centro.
Quello stesso Centro2 che, in pochi anni, ha distrutto tutte le culture periferiche
dalle quali – appunto fino a pochi anni fa – era assicurata una vita propria, sostanzialmente
libera, anche alle periferie più povere e addirittura miserabili.
Nessun centralismo fascista è riuscito a fare ciò che ha fatto il centralismo
10 della civiltà dei consumi. Il fascismo proponeva un modello, reazionario e monumentale,
che però restava lettera morta.3 Le varie culture particolari (contadine,
sottoproletarie, operaie) continuavano imperturbabili a uniformarsi ai loro
antichi modelli: la repressione si limitava ad ottenere la loro adesione a parole.
Oggi, al contrario, l’adesione ai modelli imposti dal Centro, è totale e incondizionata.
15 I modelli culturali reali4 sono rinnegati. L’abiura5 è compiuta. Si può
dunque affermare che la «tolleranza» della ideologia edonistica voluta dal nuovo
potere, è la peggiore delle repressioni della storia umana. Come si è potuta
esercitare tale repressione? Attraverso due rivoluzioni, interne all’organizzazione
borghese: la rivoluzione delle infrastrutture e la rivoluzione del sistema d’informazioni.
20 Le strade, la motorizzazione ecc. hanno ormai strettamente unito la periferia
al Centro, abolendo ogni distanza materiale. Ma la rivoluzione del sistema
d’informazioni è stata ancora più radicale e decisiva. Per mezzo della televisione,

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il Centro ha assimilato a sé l’intero paese, che era così storicamente differenziato
e ricco di culture originali. Ha cominciato un’opera di omologazione distruttrice
25 di ogni autenticità e concretezza. Ha imposto cioè – come dicevo – i suoi modelli:
che sono i modelli voluti dalla nuova industrializzazione, la quale non si
accontenta più di un «uomo che consuma», ma pretende che non siano concepibili
altre ideologie che quella del consumo. Un edonismo neolaico,6 ciecamente
dimentico di ogni valore umanistico e ciecamente estraneo alle scienze umane.
30 L’antecedente ideologia voluta e imposta dal potere era, come si sa, la religione:
e il cattolicesimo, infatti, era formalmente l’unico fenomeno culturale che
«omologava» gli italiani. Ora esso è diventato concorrente di quel nuovo fenomeno
culturale «omologatore» che è l’edonismo di massa: e, come concorrente, il
nuovo potere già da qualche anno ha cominciato a liquidarlo.
35 Non c’è infatti niente di religioso nel modello del Giovane Uomo e della Giovane
Donna proposti e imposti dalla televisione. Essi sono due Persone che avvalorano
la vita solo attraverso i suoi Beni di consumo (e, s’intende, vanno ancora
a messa la domenica: in macchina). Gli italiani hanno accettato con entusiasmo
questo nuovo modello che la televisione impone loro secondo le norme della Produzione
40 creatrice di benessere (o, meglio, di salvezza dalla miseria). Lo hanno
accettato: ma sono davvero in grado di realizzarlo?
No. O lo realizzano materialmente solo in parte, diventandone la caricatura,
o non riescono a realizzarlo che in misura così minima da diventarne vittime.
Frustrazione o addirittura ansia nevrotica sono ormai stati d’animo collettivi. Per
45 esempio, i sottoproletari, fino a pochi anni fa, rispettavano la cultura e non si
vergognavano della propria ignoranza. Anzi, erano fieri del proprio modello popolare
di analfabeti in possesso però del mistero della realtà. Guardavano con un
certo disprezzo spavaldo i «figli di papà», i piccoli borghesi, da cui si dissociavano,
anche quando erano costretti a servirli. Adesso, al contrario, essi cominciano a vergognarsi
50 della propria ignoranza: hanno abiurato dal proprio modello culturale (i
giovanissimi non lo ricordano neanche più, l’hanno completamente perduto), e il
nuovo modello che cercano di imitare non prevede l’analfabetismo e la rozzezza.
I ragazzi sottoproletari – umiliati – cancellano nella loro carta d’identità il termine
del loro mestiere, per sostituirlo con la qualifica di «studente». Naturalmente, da
55 quando hanno cominciato a vergognarsi della loro ignoranza, hanno cominciato
anche a disprezzare la cultura (caratteristica piccolo borghese, che essi hanno subito
acquisito per mimesi7). Nel tempo stesso, il ragazzo piccolo borghese, nell’adeguarsi
al modello «televisivo» – che, essendo la sua stessa classe a creare e a volere,
gli è sostanzialmente naturale – diviene stranamente rozzo e infelice. Se i sottoproletari
60 si sono imborghesiti, i borghesi si sono sottoproletarizzati. La cultura che essi
producono, essendo di carattere tecnologico e strettamente pragmatico, impedisce
al vecchio «uomo» che è ancora in loro di svilupparsi.8 Da ciò deriva in essi una
specie di rattrappimento delle facoltà intellettuali e morali.
La responsabilità della televisione, in tutto questo, è enorme. Non certo in
65 quanto «mezzo tecnico», ma in quanto strumento del potere e potere essa stessa.

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Essa non è soltanto un luogo attraverso cui passano i messaggi, ma è un centro
elaboratore di messaggi. È il luogo dove si fa concreta una mentalità che altrimenti
non si saprebbe dove collocare. È attraverso lo spirito della televisione che si manifesta
in concreto lo spirito del nuovo potere.
70 Non c’è dubbio (lo si vede dai risultati) che la televisione sia autoritaria e
repressiva come mai nessun mezzo di informazione al mondo. Il giornale fascista
e le scritte sui cascinali di slogans mussoliniani fanno ridere: come (con
dolore) l’aratro rispetto a un trattore. Il fascismo, voglio ripeterlo, non è stato
sostanzialmente in grado nemmeno di scalfire l’anima del popolo italiano: il
75 nuovo fascismo,9 attraverso i nuovi mezzi di comunicazione e di informazione
(specie, appunto, la televisione), non solo l’ha scalfita, ma l’ha lacerata, violata,
bruttata10 per sempre…

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I contenuti tematici

La società dei consumi esercita sulle coscienze un potere coercitivo e omologante pressoché assoluto, e per questo ben superiore a quello della dittatura fascista: Nessun centralismo fascista è riuscito a fare ciò che ha fatto il centralismo della civiltà dei consumi (rr. 9-10). Infatti la dittatura mussoliniana per Pasolini aveva ottenuto dal popolo italiano un’obbedienza soltanto di facciata, mentre oggi, al contrario, l’adesione ai modelli imposti dal Centro, è totale e incondizionata (rr. 14-15). Perciò – conclude lo scrittore – la «tolleranza» della ideologia edonistica voluta dal nuovo potere, è la peggiore delle repressioni della storia umana (rr. 16-17): sotto un’apparenza di libertà, infatti, la logica economica che impone beni standardizzati per la massa determina inevitabilmente il rifiuto di ogni diversità. Affinché il sistema funzioni e si regga, gli individui devono assomigliare il più possibile l’uno all’altro, essere – insomma – «a una dimensione», come scriveva il filosofo tedesco Herbert Marcuse (1898-1979).

I mezzi con cui si è arrivati a questo risultato sono per lo scrittore principalmente due: lo sviluppo delle infrastrutture (ampliamento della rete stradale e autostradale, motorizzazione tra le altre) che ha avvicinato tutti al Centro e quello delle comunicazioni di massa, con il ruolo decisivo della televisione e della pubblicità nell’imporre precisi modelli di comportamento.
A proposito di questo strumento di comunicazione, che negli anni Sessanta si era diffuso rapidamente e capillarmente anche in Italia, Pasolini interviene con parole di condanna in varie occasioni. Già in un documentario del 1962, La rabbia, egli aveva pronunciato un terribile atto d’accusa: «Una nuova arma è stata inventata per la diffusione dell’insincerità, della menzogna, del cattivo latino! […] Sperimentano modi per dividere la verità e per porgere la mezza verità che rimane attraverso l’unica voce che ha la borghesia per parlare: la voce che contrappone un’ironia umiliante a ogni ideale, la voce che contrappone gli scherzi alla Tragedia, la voce che contrappone il buon senso degli assassini agli eccessi degli uomini miti». E aveva definito i futuri spettatori come «milioni di candidati alla morte dell’anima».

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I modelli di consumo imposti dalla tv e dalla pubblicità sono tuttavia irraggiungibili per la maggior parte degli italiani, che non hanno le possibilità economiche necessarie ad acquistare i beni propagandati e a ottenere un livello di vita adeguato a quegli stessi modelli. L’impossibilità di soddisfare tali bisogni indotti (inautentici, ma comunque presenti nelle persone una volta che essi siano stati instillati) determina frustrazione o addirittura ansia nevrotica (r. 44) che Pasolini riscontra nei suoi connazionali.

Le scelte stilistiche

Lo sguardo di Pasolini sulla realtà è certamente molto personale, come lo è il suo modo di procedere nell’argomentazione, che intreccia spesso il rigore dell’analisi sociale a un’originale sensibilità, facendo presa sul lettore sia sul piano razionale sia su quello emotivo, con un taglio saggistico in cui si mescolano toni militanti e passaggi dai toni profetici.
La sua tendenza, qui e in diversi altri capitoli degli Scritti corsari, è quella di partire da una premessa di ordine generale, estrema e perentoria, assai chiara dal punto di vista ideologico (il centralismo della società dei consumi è più repressivo di quello della dittatura fascista), per poi svolgere un’analisi serrata attraverso la quale vengono enucleati alcuni concetti: la falsa tolleranza dell’edonismo di massa; l’omologazione da esso determinata; il ruolo coercitivo esercitato dalla televisione; l’appiattimento delle differenze di classe. Nelle righe finali l’autore torna, così chiudendo “ad anello” il suo ragionamento, all’assunto dal quale era partito, circoscrivendolo però, dal piano più ampio di prima, a quello più specifico riferito al mezzo televisivo: Non c’è dubbio […] che la televisione sia autoritaria e repressiva come mai nessun mezzo di informazione al mondo (rr. 70-71).

      Verso le competenze

COMPRENDERE

1 Quali due totalitarismi confronta Pasolini fra loro? Come argomenta tale paragone?


2 Quale perdita ha determinato l’avvento del mezzo televisivo?


3 Perché l’edonismo di massa (r. 33) di cui parla l’autore è giudicato profondamente irreligioso?


4 Perché la televisione viene definita strumento del potere e potere essa stessa (r. 65)?

ANALIZZARE

5 Individua le anafore e le ripetizioni di termini. Qual è il loro scopo?


6 Rintraccia i vocaboli che evidenziano, sul piano ideologico, i presupposti marxisti dell’autore.


7 La «tolleranza» della ideologia edonistica […] è la peggiore delle repressioni della storia umana (rr. 16-17): di quale figura retorica si tratta?


8 Quale figura retorica possiamo ravvisare nell’inciso e, s’intende, vanno ancora a messa la domenica: in macchina (rr. 37-38)?

INTERPRETARE

9 Quali potrebbero essere il valore umanistico e le scienze umane di cui lo scrittore parla alle r. 29?


10 Che cosa significa che in passato i sottoproletari erano analfabeti in possesso però del mistero della realtà (r. 47)?


11 Come possiamo spiegare l’apparente paradosso per cui da quando i sottoproletari hanno cominciato a vergognarsi della loro ignoranza, hanno cominciato anche a disprezzare la cultura (rr. 55-56)?


12 Perché il ragazzo piccolo borghese nell’adeguarsi ai modelli imposti dalla televisione diviene stranamente rozzo e infelice (r. 59)?

PRODURRE

13 Le riflessioni di Pasolini contenute in questo brano (sul consumismo, sul ruolo della televisione e sulla crisi della religione tradizionale ecc.) ti sembrano ancora attuali oppure no? Argomenta la tua risposta in un testo di circa 40 righe.


14 Trasforma questo articolo in un’intervista in cui immagini di essere un cronista a colloquio con Pasolini.


I colori della letteratura ed. NUOVO ESAME DI STATO - volume 3
I colori della letteratura ed. NUOVO ESAME DI STATO - volume 3
Dal secondo Ottocento a oggi