45 ben pettinata; infine si buttò dentro con una panciata. Arrivò nuotando alla svelta
fin quasi al centro, proprio nel punto sotto la fabbrica, dove il fiume faceva la curva
svoltando verso il ponte della Tiburtina. Ma lì la corrente era forte, e spingeva
indietro, verso la sponda della fabbrica: nell’andata Genesio era riuscito a passare
facile il correntino, ma adesso al ritorno era tutta un’altra cosa. Come nuotava lui,
50 alla cagnolina, gli serviva a stare a galla, non a venire avanti: la corrente, tenendolo
sempre nel mezzo, cominciò a spostarlo in giù verso il ponte.
«Daje, a Genè», gli gridavano i fratellini da sotto il trampolino, che non capivano
perché Genesio non venisse in avanti, «daje che se n’annamo!».12
Ma lui non riusciva a attraversare quella striscia che filava tutta piena di schiume,
55 di segatura e d’olio bruciato, come una corrente dentro la corrente gialla del fiume.
Ci restava nel mezzo, e anziché accostarsi alla riva, veniva trascinato sempre in giù
verso il ponte. Borgo Antico e Mariuccio col cane scapitollarono13 giù dalla gobba
del trampolino, e cominciarono a correre svelti, a quattro zampe quando non potevano
con due, cadendo e rialzandosi, lungo il fango nero della riva, andando dietro
60 a Genesio che veniva portato sempre più velocemente verso il ponte. Così il Riccetto,
mentre stava a fare il dritto con la ragazza che però continuava, confusa come un’ombra,
a strofinare le lastre,14 se li vide passare tutti e tre sotto i piedi, i due piccoli che
ruzzolavano gridando tra gli sterpi, spaventati, e Genesio in mezzo al fiume, che non
cessava di muovere le braccine svelto svelto nuotando a cane, senza venire avanti
65 di un centimetro. Il Riccetto s’alzò, fece qualche passo ignudo come stava giù verso
l’acqua, in mezzo ai pungiglioni e lì si fermò a guardare quello che stava succedendo
sotto i suoi occhi. Subito non si capacitò, credeva che scherzassero; ma poi capì e si
buttò di corsa giù per la scesa,15 scivolando, ma nel tempo stesso vedeva che non
c’era più niente da fare: gettarsi nel fiume lì sotto il ponte voleva proprio dire esser
70 stanchi della vita, nessuno avrebbe potuto farcela. Si fermò pallido come un morto.
Genesio ormai non resisteva più, povero ragazzino, e sbatteva in disordine le braccia,
ma sempre senza chiedere aiuto. Ogni tanto affondava sotto il pelo della corrente e
poi risortiva16 un poco più in basso; finalmente quand’era già quasi vicino al ponte,
dove la corrente si rompeva e schiumeggiava sugli scogli, andò sotto per l’ultima volta,
75 senza un grido, e si vide solo ancora un poco affiorare la sua testina nera.
Il Riccetto, con le mani che gli tremavano, s’infilò in fretta i calzoni, che teneva
sotto il braccio, senza più guardare verso la finestrella della fabbrica, e stette ancora
un po’ lì fermo, senza sapere che fare. Si sentivano da sotto il ponte Borgo Antico
e Mariuccio che urlavano e piangevano, Mariuccio sempre stringendosi contro il
80 petto la canottiera e i calzoncini di Genesio; e già cominciavano a salire aiutandosi
con le mani su per la scarpata.
«Tajamo,17 è mejo», disse tra sé il Riccetto che quasi piangeva anche lui, incamminandosi
in fretta lungo il sentiero, verso la Tiburtina; andava quasi di corsa, per
arrivare sul ponte prima dei due ragazzini. «Io je vojo bene ar Riccetto, sa!»,18 pensava.
85 S’arrampicò scivolando, e aggrappandosi ai monconi dei cespugli su per lo
scoscendimento coperto di polvere e di sterpi bruciati, fu in cima, e senza guardarsi
indietro, imboccò il ponte.