T13 - La sera del dì di festa

Il primo Ottocento – L'opera: Canti

 T13 

La sera del dì di festa

Canti, 13


Questo idillio, composto a Recanati nella primavera del 1820, affronta, come II passero solitario (► T11, p. 837), il motivo dell’estraneità del poeta alle gioie della giovinezza e, come L’infinito (► T12, p. 841), il tema della fuga del tempo che porta tutto via con sé.

METRO Endecasillabi sciolti.

         Dolce e chiara è la notte e senza vento,
         e queta sovra i tetti e in mezzo agli orti
         posa la luna, e di lontan rivela
         serena ogni montagna. O donna mia,
5      già tace ogni sentiero, e pei balconi
         rara traluce la notturna lampa:
         tu dormi, che t'accolse agevol sonno
         nelle tue chete stanze; e non ti morde
         cura nessuna; e già non sai né pensi
10    quanta piaga m'apristi in mezzo al petto.
         Tu dormi: io questo ciel, che sì benigno
         appare in vista, a salutar m'affaccio,
         e l'antica natura onnipossente,
         che mi fece all'affanno. A te la speme
15    nego, mi disse, anche la speme; e d'altro
         non brillin gli occhi tuoi se non di pianto.
         Questo dì fu solenne: or da' trastulli
         prendi riposo; e forse ti rimembra
         in sogno a quanti oggi piacesti, e quanti
20    piacquero a te: non io, non già ch'io speri,
         al pensier ti ricorro. Intanto io chieggo
         quanto a viver mi resti, e qui per terra
         mi getto, e grido, e fremo. Oh giorni orrendi
         in così verde etate! Ahi, per la via
25    odo non lunge il solitario canto
         dell'artigian, che riede a tarda notte,
         dopo i sollazzi, al suo povero ostello;

 >> pag. 845 

         e fieramente mi si stringe il core,
         a pensar come tutto al mondo passa,
30    e quasi orma non lascia. Ecco è fuggito
         il dì festivo, ed al festivo il giorno
         volgar succede, e se ne porta il tempo
         ogni umano accidente. Or dov'è il suono
         di que' popoli antichi? or dov'è il grido
35    de' nostri avi famosi, e il grande impero
         di quella Roma, e l'armi, e il fragorio
         che n'andò per la terra e l'oceano?
         Tutto è pace e silenzio, e tutto posa
         il mondo, e più di lor non si ragiona.
40    Nella mia prima età, quando s'aspetta
         bramosamente il dì festivo, or poscia
         ch'egli era spento, io doloroso, in veglia,
         premea le piume; ed alla tarda notte
         un canto che s'udia per li sentieri
45    lontanando morire a poco a poco,
         già similmente mi stringeva il core.

      Dentro il testo

I contenuti tematici

La visione di un notturno dominato dalla luce lunare è improvvisamente interrotta dal pensiero di una figura femminile, invocata con il possessivo mia (v. 4) e dunque implicitamente oggetto d'amore. A lei, che dorme serena, ignara di aver aperto nel cuore del poeta una ferita dolorosa, si contrappone l'io lirico, portato crudelmente dalla natura a provare il desiderio amoroso ma reso, dalla stessa natura, incapace di realizzarlo. Il confronto accentua la drammatica consapevolezza del proprio destino esistenziale: a differenza della donna, che sta sognando gli svaghi e gli incontri con gli altri giovani come lei (vv. 18-20), egli si trova irrimediabilmente escluso dal novero di quei fortunati (non io, non già ch'io speri / al pensier ti ricorro, vv. 20-21), «dove la ripetizione del pronome personale e della negazione, e le pause nel verso, sottolineano il sentimento di esclusione provato dal soggetto» (Bazzocchi). Come nell'Ultimo canto di Saffo (► T10, p. 833), il disinganno amoroso e la convinzione di essere perseguitati dalla natura si trovano dunque sullo stesso piano.

 >> pag. 846 

Tuttavia lo sfogo emotivo del poeta passa presto dalla sfera personale e dalla condizione individuale a una riflessione più ampia sul mondo e sulla vita umana in generale. Come nell'Infinito (► T12, p. 841), una percezione sonora (Odo non lunge il solitario canto / dell'artigian..., vv. 25-26), una di quelle che vengono definite «vaghe» nello Zibaldone, acuisce in Leopardi il dolore per lo scorrere del tempo che non lascia traccia.
Il giorno di festa è destinato a finire come tutti gli altri nel grigiore dell'oblio: allo stesso modo perfino le imprese degli antichi e la loro fama vengono cancellate dal silenzio del presente (Tutto è pace e silenzio, e tutto posa / il mondo, e più di loro non si ragiona, vv. 38-39).

Registro filosofico e registro soggettivo paiono intrecciarsi fino alla fine in un discorso senza soluzione di continuità. L'esperienza più intima del poeta si inserisce nella riflessione sulla caducità universale delle cose, sull'esito della Storia umana e sull'inevitabile decadere di ogni civiltà. Così non appare incongruo il fatto che, in conclusione dell'idillio, Leopardi torna a illuminare il proprio io, aprendo lo spazio della memoria. Rievocando il passato e la prima età, quando attendeva con l'urgenza dell'infanzia il giorno festivo, egli ricorda il dolore provato di notte dinanzi all'impietoso tramonto delle illusioni e delle speranze. In quel tempo remoto della fanciullezza, un secondo canto, lontano e indistinto (ed alla tarda notte / un canto che sudia per li sentieri / lontanando morire a poco a poco, / già similmente mi stringeva il core, vv. 43-46), suggellava ed enfatizzava, con perfetta circolarità, la coscienza dell'illusione e dell'infelicità: la sensazione dell'indefinito, che per Leopardi fa scattare la sensazione del piacere, si rovescia qui nel tragico presagio di un irreparabile destino di sofferenza.

Le scelte stilistiche

La stesura del canto avviene in un'epoca in cui il poeta è ancora convinto della superiorità del mondo antico, nobile ed eroico, su quello presente, caratterizzato dalla noia e dalla viltà. Le virtù del passato appaiono infatti morte ai suoi occhi, come attestano le canzoni civili, composte negli stessi anni della Sera del dì di festa, nelle quali domina il tema morale della decadenza contemporanea.
Alcune spie stilistiche rivelano il rimpianto per la gloria del popolo romano: in primo luogo, compaiono nel lessico del componimento diversi latinismi (cura, v. 9; solenne, v. 17; quella, v. 36, nel senso di "quella grande", ossia Roma). Nei vv. 33-37, riferiti proprio alla grandezza antica, Leopardi accresce l'intensità retorica con una serie di interrogative, che per contrasto esprimono il senso di vuoto nel quale sono state inghiottite le imprese di un tempo e perfino il loro ricordo. A quelle gesta è subentrato oggi il deserto di un mondo fermo e impassibile, che fa sprofondare nel silenzio il valoroso fragorio dell'età antica.

      Verso le competenze

COMPRENDERE

1 Fai la parafrasi dell’intero componimento.


2 A partire dal v. 13 la natura viene personificata. Quali caratteristiche assume e in che cosa consiste l’argomentazione del poeta?


3 Quale dei seguenti temi non è presente nella lirica?

  •     L’inappagato desiderio di partecipare della bellezza della natura. 
  •     L’esclusione dall’esperienza amorosa. 
  •     L’angoscia per il dileguarsi della vita nel nulla. 
  •     La gelosia e il risentimento nei confronti della donna. 

 >> pag. 847 

ANALIZZARE

4 Come descriveresti la struttura sintattica dei primi 5 versi? Quale figura si evidenzia?


5 Quale figura di significato troviamo al v. 10? Che cosa indica?


6 Individua, ai vv. 13-16, alcune assonanze, spiegandone la funzione semantica.


7 Anche questo componimento si basa sulla poetica del vago. Individua i vocaboli che si riferiscono alle aree semantiche dell’oscurità, dell’indeterminatezza e della lontananza e riportali nella tabella.


Aree semantiche
Vocaboli
oscurità

indeterminatezza

lontananza

INTERPRETARE

8 All’inizio del componimento quale tipo di descrizione offre il poeta del paesaggio? Esso appare rasserenante o angosciante? In quale rapporto si pone tale raffigurazione con quanto l’autore affermerà più avanti (dal v. 13 in poi) a proposito della natura? Motiva la tua risposta con opportuni riferimenti testuali.


9 L’espressione Tu dormi, al v. 11, quali caratteristiche della donna sembra suggerire?

PRODURRE

10 Confronta in un testo espositivo di circa 30 righe La sera del dì di festa con L’infinito (► T12, p. 841),
evidenziando eventuali tematiche comuni ma anche le differenze nell’impostazione del discorso poetico.


 T14 

Alla luna

Canti, 14

Il testo, probabilmente del 1819 (lo stesso anno dell’Infinito, ► T12, p. 841), è un doloroso monologo del poeta di fronte alla luna, eletta a confidente della propria angoscia.


METRO Endecasillabi sciolti.

 Asset ID: 65186 (let-altvoc-alla-luna-canti40.mp3

Ad alta voce

         O graziosa luna, io mi rammento
         che, or volge l'anno, sovra questo colle
         io venia pien d'angoscia a rimirarti:
         e tu pendevi allor su quella selva
5      siccome or fai, che tutta la rischiari.
         Ma nebuloso e tremulo dal pianto
         che mi sorgea sul ciglio, alle mie luci
         il tuo volto apparia, che travagliosa
         era mia vita: ed è, né cangia stile,
10    o mia diletta luna. E pur mi giova
         la ricordanza, e il noverar l'etate

 >> pag. 848 

         del mio dolore. Oh come grato occorre
         nel tempo giovanil, quando ancor lungo
         la speme e breve ha la memoria il corso,
15    il rimembrar delle passate cose,
         ancor che triste, e che l'affanno duri!

      Dentro il testo

I contenuti tematici

Il motivo principale dell'idillio è il ricordo, che percorre tutto il testo (il cui titolo originario era, non a caso, La ricordanza), come dimostra la ricorrenza di termini a esso connessi: io mi rammento (v. 1), la ricordanza (v. 11), il rimembrar (v. 15). Allo stesso modo che nella Sera del dì di festa (► T13, p. 844), la riflessione prende origine dalla vista di un notturno: in particolare, dalla sommità del colle il poeta si rivolge alla luna con un'apostrofe* (O graziosa luna) collocata all'inizio del primo verso. Egli ricorda di essere stato nello stesso luogo, esattamente un anno prima, nella medesima condizione di disagio esistenziale. Eppure tornare con la mente al passato (nell'età giovanile, quando la speranza è ancora molta, come indicano i vv. 12-14, aggiunti successivamente dal poeta) produce una sensazione di dolcezza, anche se il dolore e lo stato di infelicità non sono cambiati: è come se la memoria avesse un valore lenitivo, suggerendo la presenza illusoria di un altro tempo – diverso e alternativo a quello uniforme della Storia – in cui sopravvivono i momenti della vita, altrimenti destinati a essere dimenticati.

Le scelte stilistiche

Il lessico della poesia è caratterizzato da termini che presentano una chiara componente sentimentale ed emotiva, nella quale assume risalto l'elemento personale, evidenziato dalla frequenza di pronomi personali e aggettivi possessivi quali io (vv. 1 e 3), mi (vv. 7 e 10), mie (v. 7), mia (vv. 9 e 10), mio (v. 12).
Nel verbo "rimirare" (v. 3) c'è l'idea di una dolce consuetudine, quella di recarsi spesso sul colle (il monte Tabor, lo stesso dell'Infinito), di sera, per contemplare la luna, definita con gli attributi affettuosi graziosa (v. 1) e diletta (v. 10), e renderla partecipe del proprio dolore. Come si espresse Francesco De Sanctis, il poeta «entra in colloquio con la luna e, come un amante, le ricorda con precisione dov'era lei, dov'era lui, e come la guardava; e le confida che era triste, con una rassegnazione piena di grazia, sciolta la lacrima in un sorriso tenero: la graziosa luna diventa la sua luna, la sua diletta luna».

 >> pag. 849 

      Verso le competenze

COMPRENDERE

1 Fai la parafrasi della lirica.

ANALIZZARE

2 Completa la seguente tabella individuando i termini relativi alle due principali aree semantiche del dolore e del ricordo. Poi commenta in un breve testo le scelte lessicali dell’autore in relazione all’argomento di questa poesia.


Aree semantiche
Vocaboli
dolore

ricordo

INTERPRETARE

3 A quale scopo il poeta presenta due volte un complemento vocativo (O graziosa luna, v. 1; o mia diletta luna, v. 10)?


4 Come già nell’Infinito (il naufragar, v. 15), anche qui Leopardi ricorre all’infinito sostantivato (il noverar, v. 11; il rimembrar, v. 15). È una scelta espressiva efficace? Perché, a tuo giudizio?

PRODURRE

La tua esperienza

5 Sei d’accordo con la tesi prospettata da Leopardi negli ultimi cinque versi della poesia, secondo cui da giovani, avendo molte speranze e pochi ricordi, ogni ricordo, per quanto doloroso, è comunque piacevole? Basandoti sulle tue esperienze personali, dirette e indirette, argomenta la tua risposta in un testo di circa 30 righe.


 T15 

A Silvia

Canti, 21


Composta a Pisa nel 1828, questa canzone inaugura la serie dei cinque componimenti pisano-recanatesi o "grandi idilli", nei quali dal quadro d’ambiente si passa alla nostalgica rievocazione di quelle dolci illusioni poi perdute a contatto con l’«arido vero».


METRO Canzone libera composta da 6 strofe di diversa misura, formate da endecasillabi e settenari liberamente rimati.

 Asset ID: 65184 (let-altvoc-a-silvia-canti20.mp3

Ad alta voce

         Silvia, rimembri ancora
         quel tempo della tua vita mortale,
         quando beltà splendea
         negli occhi tuoi ridenti e fuggitivi,
5      e tu, lieta e pensosa, il limitare
         di gioventù salivi?

 >> pag. 850 

         Sonavan le quiete
         stanze, e le vie dintorno,
         al tuo perpetuo canto,
10    allor che all'opre femminili intenta
         sedevi, assai contenta
         di quel vago avvenir che in mente avevi.
         Era il maggio odoroso: e tu solevi
         così menare il giorno.

15    Io gli studi leggiadri
         talor lasciando e le sudate carte,
         ove il tempo mio primo
         e di me si spendea la miglior parte,
         d'in su i veroni del paterno ostello
20    porgea gli orecchi al suon della tua voce,
         ed alla man veloce
         che percorrea la faticosa tela.
         Mirava il ciel sereno,
         le vie dorate e gli orti,
25    e quinci il mar da lungi, e quindi il monte.
         Lingua mortal non dice
         quel ch'io sentiva in seno.

         Che pensieri soavi,
         che speranze, che cori, o Silvia mia!
30    Quale allor ci apparia
         la vita umana e il fato!
         Quando sovviemmi di cotanta speme,
         un affetto mi preme
         acerbo e sconsolato,
35    e tornami a doler di mia sventura.
         O natura, o natura,
         perché non rendi poi
         quel che prometti allor? perché di tanto
         inganni i figli tuoi?

 >> pag. 851 

40    Tu pria che l'erbe inaridisse il verno,
         da chiuso morbo combattuta e vinta,
         perivi, o tenerella. E non vedevi
         il fior degli anni tuoi;
         non ti molceva il core
45    la dolce lode or delle negre chiome,
         or degli sguardi innamorati e schivi;
         né teco le compagne ai dì festivi
         ragionavan d'amore.

         Anche peria fra poco
50    la speranza mia dolce: agli anni miei
         anche negaro i fati
         la giovanezza. Ahi come,
         come passata sei,
         cara compagna dell'età mia nova,
55    mia lacrimata speme!
         Questo è quel mondo? questi
         i diletti, l'amor, l'opre, gli eventi
         onde cotanto ragionammo insieme?
         Questa la sorte dell'umane genti?
60    All'apparir del vero
         tu, misera, cadesti: e con la mano
         la fredda morte ed una tomba ignuda
         mostravi di lontano.

      Dentro il testo

I contenuti tematici

Il poeta rievoca la figura di Silvia, una giovane coetanea di Recanati: egli ripensa a quando lei lavorava al telaio e faceva risuonare del suo canto tutte le case intorno; contemporaneamente egli studiava e faticava sui libri, ed entrambi erano accomunati dal sogno di un dolce avvenire, quando ancora, nella primavera della vita (non a caso siamo nel maggio odoroso, v. 13) è possibile nutrire un'aspettativa di felicità. Il sopraggiungere del vero (v. 60) ha spento però i comuni sogni della giovinezza: per la ragazza è giunta presto la morte, a troncare ogni illusione di felicità; al poeta la natura ha invece consentito di continuare a vivere, ma vedendo cadere a una a una le promesse da lei ricevute (O natura, o natura, / perché non rendi poi / quel che prometti allor? perché di tanto / inganni i figli tuoi?, vv. 36-39), senza conforto e senz'altra certezza che quella della fine incombente.

 >> pag. 852 

Nonostante la costruzione poetica del canto sia condotta intorno alla figura femminile, invocata in apertura come se fosse presente, il suo ruolo, ben oltre ogni riferimento autobiografico, acquista progressivamente un significato universale. Anche gli accenni alla realtà della vita vissuta presenti nelle prime strofe (Sonavan le quiete / stanze, vv. 7-8; Io gli studi leggiadri / talor lasciando, vv. 15-16), che sembrano conferire al componimento l'atmosfera dell'idillio, trascendono in una dimensione allegorica.
Allo stesso tempo, però, la morte prematura di Silvia le conferisce anche un altro valore simbolico: la vicenda esemplare della ragazza simboleggia la separazione dell'uomo moderno dalla vita della natura, non più benigna ma «matrigna», secondo la visione cosmica del pessimismo elaborata da Leopardi. In tal modo, il destino della giovane prematuramente scomparsa riassume quello di tutte le umane genti (v. 59): Silvia diventa una sorta di allegoria della morte stessa, non solo di quella fisica, ma anche di quella delle speranze e delle illusioni.

Le scelte stilistiche

Le sei strofe, di diversa lunghezza, si focalizzano su particolari aspetti o motivi, essendo alternativamente dedicate ora a Silvia ora al poeta stesso, ma con sottili richiami dall'una all'altra, in modo che il discorso lirico fluisca con un efficace sviluppo parallelo.

La prima strofa è interamente occupata da un'apostrofe* a Silvia, che il poeta invita a ricordare il tempo felice della giovinezza. Con pochi aggettivi, distribuiti in due coppie, la seconda delle quali costituisce un ossimoro* (ridenti e fuggitivi, v. 4; lieta e pensosa, v. 5), Leopardi offre un ritratto psicologico concentrato di una fanciulla che si affaccia alla vita con gioia e insieme con trepidazione. L'idealizzazione delle speranze giovanili avviene mediante l'uso del lessico tipico della tradizione lirica, specialmente petrarchesca (rimembri, v. 1; beltà, v. 3; mentre gli occhi ridenti, v. 4, richiamano un'immagine tipica dello Stilnovo) e una accentuata musicalità, ottenuta dalle allitterazioni* in v e s (Silvia, vita, splendea, fuggitivi, pensosa, salivi), oltre che dal gioco anagrammatico tra Silvia e salivi (v. 1 e v. 6).

Nella seconda e nella terza strofa il poeta rievoca il contesto quotidiano della vita di Silvia e della propria. Il filtro della memoria suggerisce la messa in pratica della poetica del vago e dell'indefinito grazie ad aggettivi o espressioni quali perpetuo, vago, odoroso, da lungi ecc., tramite cui viene espressa la piacevole sensazione di una realtà trasfigurata. Le promesse della giovinezza affiorano grazie alle immagini di un repertorio solare, quasi idillico: oltre al maggio odoroso (v. 13), abbiamo il ciel sereno, / le vie dorate e gli orti (vv. 23-24).

Nella quarta strofa le speranze coltivate dai due ragazzi si capovolgono in una realtà di sventura: si manifesta così l'inganno perpetrato dalla natura, oggetto di una dura apostrofe (vv. 36-39), in cui il ritmo, in una poesia dalla sintassi piana e dal periodare ampio e musicale, diventa più incalzante, quasi a rendere l'angoscia dell'autore. Il mutamento dei tempi verbali, che dall'imperfetto iniziale passano al presente, suggella la verità del presente, spietatamente incaricato di rivelare le illusorie mistificazioni del passato.

 >> pag. 853 

Le strofe finali istituiscono apertamente il parallelismo* tra la vicenda di Silvia e quella dell'io lirico, già precipitata o destinata a precipitare verso la morte. Lo svanire nel nulla è introdotto dalla sequenza delle negazioni non (v. 42), non (v. 44), (v. 47); il passato remoto cadesti (v. 61) accomuna Silvia e la speranza, la cara compagna (v. 54) lacrimata (v. 55) come una presenza fisica reale. La gelida presenza della tomba ignuda (v. 62) conferma in conclusione l'unico fine della vita, anzi di tutte le vite.

      Verso le competenze

COMPRENDERE

1 Fai la parafrasi del componimento.


2 Nei versi 36-38, a quali momenti della vita umana si riferiscono gli avverbi poi e allor?


3 Traccia un breve ritratto di Silvia, soffermandoti sul suo aspetto fisico (per quanto esso si possa desumere dal testo), sulle caratteristiche psicologiche e sugli altri aspetti ricavabili dal componimento.

ANALIZZARE

4 Ai versi 15-16 (studi leggiadri... sudate carte) e 21-22 (man veloce... faticosa tela) troviamo ripetuta la stessa figura retorica. Quale?


5 Ai versi 20-21 il poeta scrive: porgea gli orecchi... alla man veloce. Si può "ascoltare una mano"? Di quale figura si tratta?

INTERPRETARE

6 Ripercorrendo i punti del testo dove il poeta si sofferma sulle stagioni, sulla natura, sul paesaggio, spiega in che modo tale rappresentazione si lega ai temi del componimento.


7 A quali caratteristiche di Silvia allude secondo te il vocativo del v. 42 (o tenerella)?

PRODURRE

La tua esperienza

8 Ripercorrendo con il pensiero la tua esperienza, hai conosciuto solo brevemente una persona che poi non hai più visto, la cui immagine si è però fissata nella tua mente? A distanza di tempo in che modo e per quali ragioni il suo ricordo riaffiora ancora oggi?


 T16 

La quiete dopo la tempesta

Canti, 24


Finito il temporale, in un villaggio che possiamo immaginare essere Recanati (dove il canto fu composto nel settembre del 1829), la natura si rasserena e con essa anche gli uomini. Il mondo sembra più lieto e più bello: qui il piacere è per Leopardi nient’altro che la cessazione del dolore. Ancora una volta la descrizione di un evento naturale si fonde con la sua interpretazione simbolica.


METRO Canzone libera composta da 3 strofe di diversa misura, formate da endecasillabi e settenari liberamente rimati.

 Asset ID: 65185 (let-altvoc-la-quiete-dopo-la-tempe30.mp3

Ad alta voce

         Passata è la tempesta:
         odo augelli far festa, e la gallina,
         tornata in su la via,
         che ripete il suo verso. Ecco il sereno
5      rompe là da ponente, alla montagna;
         sgombrasi la campagna,
         e chiaro nella valle il fiume appare.
         Ogni cor si rallegra, in ogni lato
         risorge il romorio
10    torna il lavoro usato.
         L'artigiano a mirar l'umido cielo,
         con l'opra in man, cantando,
         fassi in su l'uscio; a prova
         vien fuor la femminetta a còr dell'acqua
15    della novella piova;
         e l'erbaiuol rinnova
         di sentiero in sentiero
         il grido giornaliero.
         Ecco il Sol che ritorna, ecco sorride
20    per li poggi e le ville. Apre i balconi,
         apre terrazzi e logge la famiglia:
         e, dalla via corrente, odi lontano
         tintinnio di sonagli; il carro stride
         del passeggier che il suo cammin ripiglia.

 >> pag. 854 

25    Si rallegra ogni core.
         Sì dolce, sì gradita
         quand'è, com'or, la vita?
         Quando con tanto amore
         l'uomo a' suoi studi intende?
30    o torna all'opre? o cosa nova imprende?
         quando de' mali suoi men si ricorda?
         Piacer figlio d'affanno;
         gioia vana, ch'è frutto
         del passato timore, onde si scosse
35    e paventò la morte
         chi la vita abborria;
         onde in lungo tormento,
         fredde, tacite, smorte,
         sudàr le genti e palpitàr, vedendo
40    mossi alle nostre offese
         folgori, nembi e vento.

 >> pag. 855 

         O natura cortese,
         son questi i doni tuoi,
         questi i diletti sono
45    che tu porgi ai mortali. Uscir di pena
         è diletto fra noi.
         Pene tu spargi a larga mano; il duolo
         spontaneo sorge e di piacer, quel tanto
         che per mostro e miracolo talvolta
50    nasce d'affanno, è gran guadagno. Umana
         prole cara agli eterni! assai felice
         se respirar ti lice d'alcun dolor: beata
         se te d'ogni dolor morte risana.

      Dentro il testo

I contenuti tematici

Con l'imperversare della tempesta, la vita del villaggio si era come arrestata in un silenzio sospeso. Ora che il temporale è passato, tornano i rumori, segno che la vita riprende. Il primo annuncio è dato dagli animali: il cinguettare degli uccelli e il chiocciare delle galline. All'orizzonte, dalla parte dei monti, si aprono squarci d'azzurro e sui campi si dissolve la nebbia. Anche gli uomini ricominciano il lavoro che era stato interrotto a causa della preoccupazione e della paura: l'artigiano sulla soglia della bottega, la donna che attinge acqua alla fonte, l'ambulante che lancia il suo grido. Su tutto, su questo lieto rinnovarsi della vita, splende il sole.

In questo quadro sereno si innesta però, nella seconda strofa, l'amara riflessione dell'autore. Si tratta di una gioia vana, ch'è frutto / del passato timore (vv. 33-34): se ora si gioisce, è soltanto perché prima si è temuto e si è stati in preda a un grande spavento. Il piacere non esiste in sé, in positivo, ma soltanto in negativo, come figlio d'affanno (v. 32), fuggevole intervallo tra un dolore e quello successivo. Infine, nella terza strofa, il poeta rivolge una prima apostrofe* alla natura, colpevole come in A Silvia (► T15, p. 849) di non favorire i suoi figli e di non mantenere le promesse fatte loro, e una seconda apostrofe, di tono sarcastico, agli uomini, che si ritengono prediletti dagli dei (vv. 50-51), mentre la loro unica, autentica felicità coincide con la morte.

Le scelte stilistiche

L'effimero affiorare della felicità nel paese è espresso da Leopardi insistendo soprattutto sulle sensazioni sonore: il canto dell'artigiano (vv. 11-12), il grido giornaliero dell'erbivendolo (vv. 16-18), il tintinnio di sonagli del carro del viandante (vv. 23-24). Lo stile dell'idillio propone qui schizzi vivaci di un quadro ricco di particolari, sul quale si imprimono le "vaghe" immagini leopardiane, dal sole che ritorna sulle colline e sulle case al dinamismo degli abitanti del villaggio, colto con un ritmo quasi gioioso.
In realtà, l'animata descrizione del paesaggio serve a introdurre il momento della meditazione e dell'amara rivelazione dell'inganno. In tal modo, le azioni fissate in un presente astratto, privo di una precisa connotazione temporale (ripete, v. 4; si rallegra, vv. 8 e 25; Risorge, v. 9; torna, vv. 10 e 30 ecc.), riflettono la ciclica ripetitività del movimento universale: così come l'effimera ripresa della vita, presto anche la noia tornerà ad avvolgere l'esistenza degli uomini. Il piacere illusorio arrecato dalla cessazione del dolore può scuotere l'animo dal torpore solo per poco: l'ironia di cui è omaggiata la natura cortese (v. 42) prepara il campo, nella logica del componimento, all'irruzione finale dell'unica, vera risanatrice della condizione umana: la morte.

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      Verso le competenze

COMPRENDERE

1 Da che cosa deriva la gioia del villaggio descritta nella prima strofa?


2 Perché Leopardi afferma che la felicità è una realtà illusoria?


3 Quale accusa rivolge il poeta alla natura?

ANALIZZARE

4 Quale figura di suono ricorre ai versi 8-9? A quale scopo viene utilizzata?


5 Quale figura troviamo ai versi 19-21? Con quale effetto?


6 Lo stile della poesia è di tipo

  •     meditativo. 
  •     descrittivo. 
  •     meditativo nella prima strofa e descrittivo nelle altre due. 
  •     descrittivo nella prima strofa e meditativo nelle altre due. 

INTERPRETARE

7 Il tono della lirica può essere definito

  •     disperato. 
  •     angosciato.
  •     distaccato.
  •     spaventato. 

8 In quale modo l’autore pone in relazione le sensazioni di gioia e dolore connesse all’evento atmosferico della tempesta?

PRODURRE

9 Confronta questa poesia con A Silvia (► T15, p. 849) in merito alle accuse che Leopardi rivolge alla natura. Sono le stesse oppure cambiano? Motiva la tua risposta con opportuni riferimenti alle due liriche in un testo argomentativo di circa 30 righe.


I colori della letteratura ed. NUOVO ESAME DI STATO - volume 2
I colori della letteratura ed. NUOVO ESAME DI STATO - volume 2
Dal Seicento al primo Ottocento