T11 - Il passero solitario

Il primo Ottocento – L'opera: Canti

 T11 

Il passero solitario

Canti, 11


Composta probabilmente nel 1829 (ma alcuni critici la datano dopo il 1831), nell’edizione napoletana dei Canti del 1835 questa lirica verrà posta da Leopardi come premessa ai "piccoli idilli" scritti tra il 1819 e il 1821, forse perché a quegli anni risale la sua prima ideazione. Osservando il comportamento di un uccellino schivo e solitario, il poeta riflette sulla propria diversità rispetto ai coetanei. 

 
METRO Canzone libera composta da 3 strofe, di diversa misura, formate da endecasillabi e settenari, liberamente distribuiti.

         D'in su la vetta della torre antica,
         passero solitario, alla campagna
         cantando vai finché non more il giorno;
         ed erra l'armonia per questa valle.
5      Primavera dintorno
         brilla nell'aria, e per li campi esulta,
         sì ch'a mirarla intenerisce il core.
         Odi greggi belar, muggire armenti;
         gli altri augelli contenti, a gara insieme
10    per lo libero ciel fan mille giri,
         pur festeggiando il lor tempo migliore:
         tu pensoso in disparte il tutto miri;
         non compagni, non voli,
         non ti cal d'allegria, schivi gli spassi;
15    canti, e così trapassi
         dell'anno e di tua vita il più bel fiore.

         Oimè, quanto somiglia
         al tuo costume il mio! Sollazzo e riso,
         della novella età dolce famiglia,
20    e te german di giovinezza, amore,
         sospiro acerbo de' provetti giorni,
         non curo, io non so come; anzi da loro
         quasi fuggo lontano;
         quasi romito, e strano
25    al mio loco natio,
         passo del viver mio la primavera.
         Questo giorno ch'omai cede alla sera,
         festeggiar si costuma al nostro borgo. 
         Odi per lo sereno un suon di squilla, 
30    odi spesso un tonar di ferree canne,
         che rimbomba lontan di villa in villa. 
         Tutta vestita a festa 
         la gioventù del loco 
         lascia le case, e per le vie si spande; 
35    e mira ed è mirata, e in cor s'allegra. 
         Io solitario in questa 
         rimota parte alla campagna uscendo, 
         ogni diletto e gioco 
         indugio in altro tempo: e intanto il guardo
40    steso nell'aria aprica 
         mi fere il Sol che tra lontani monti,
         dopo il giorno sereno,
         cadendo si dilegua, e par che dica
         che la beata gioventù vien meno.

 >> pag. 838 

45    Tu, solingo augellin, venuto a sera
         del viver che daranno a te le stelle,
         certo del tuo costume
         non ti dorrai; che di natura è frutto
         ogni vostra vaghezza.
50    A me, se di vecchiezza
         la detestata soglia
         evitar non impetro,
         quando muti questi occhi all'altrui core,
         e lor fia vòto il mondo, e il dì futuro
55    del dì presente più noioso e tetro,
         che parrà di tal voglia?
         che di quest'anni miei? che di me stesso?
         ahi pentirommi, e spesso,
         ma sconsolato, volgerommi indietro.

 >> pag. 839 

      Dentro il testo

I contenuti tematici

Il testo presenta una struttura lineare, nella quale si dipana il confronto tra l'io lirico e il passero, a cui il poeta si rivolge come se fosse un interlocutore reale. Nella prima strofa, esso viene descritto mentre, all'ora del tramonto, dall'alto del campanile del villaggio diffonde il proprio canto armonioso sul paesaggio circostante, senza partecipare ai voli giocosi degli altri uccelli, uniti invece in una allegra comunità. Nella seconda l'autore si sofferma sulla propria condizione, cogliendo la somiglianza tra il comportamento solitario del passero e il proprio (Oimè, quanto somiglia / al tuo costume il mio!, vv. 17-18). Anch'egli, infatti, non condivide la gioia dei suoi coetanei, i loro svaghi e divertimenti: mentre i giovani del paese si incontrano nelle strade per trascorrere in spensierata compagnia il giorno di festa, il poeta si aggira da solo nella campagna, estraneo al sollazzo, al riso (entrambi al v. 18) e all'amore (v. 20), che pure dovrebbero allietare la sua età. La terza e ultima strofa evidenzia però la profonda differenza tra l'ignara natura del passero e la propria consapevolezza di uomo: il comportamento del passero, privo di memoria e di coscienza, è conforme alla sua indole e al suo istinto e pertanto non gli susciterà rimpianti; la scelta del poeta, invece, lo condurrà a un amaro e doloroso pentimento quando vedrà cadere le illusioni e non gli sarà più possibile riempire l'esistenza di affetti e speranze.

Il tema dell'esclusione dalla felicità altrui, nonché della propria insanabile solitudine appare spesso nell'opera poetica leopardiana (è presente, tra l'altro, negli idilli La sera del dì di festa, ► T13, p. 844, e La vita solitaria) ed è ribadita anche nello Zibaldone (in una nota del 1823 Leopardi si descrive come «misantropo di se stesso»). Anche nell'epistolario è possibile trovare traccia di questo stato, paradossalmente odiato e contemporaneamente ricercato. In una lettera a Giovan Pietro Vieusseux datata 4 marzo 1826, il poeta scrive: «La mia vita, prima per necessità di circostanze e contro mia voglia, poi per inclinazione nata dall'abito [abitudine] convertito in natura [trasformata in disposizione naturale] e divenuto indelebile, è stata sempre, ed è, e sarà perpetuamente solitaria».

Il riferimento al passero solitario per esprimere questa costante esistenziale trae spunto da una serie di modelli poetici, colti e popolari, che Leopardi rielabora nella sua originale rappresentazione autobiografica. Nella Bibbia, e precisamente al Salmo 101, si legge di un uccello solitario e sperduto sui tetti (passer solitarius in tecto), un'espressione ripresa da Petrarca nel Canzoniere («Passer mai solitario in alcun tetto / non fu quant'io...», 226, vv. 1-2). Reminiscenze letterarie a cui si aggiungono fonti più umili, come quella costituita da uno strambotto marchigiano, senz'altro noto al poeta: «Passero solitario ben tornato! / mi ritrovi a cantar al luogo antico / e canto ognor come uno sventurato, / dagli altri uccelli io sono tradito».

Le scelte stilistiche

Rispetto alle poesie precedenti (come le canzoni filosofiche, tra cui l'Ultimo canto di Saffo, ► T10, p. 833), con gli idilli il pensiero e la riflessione dell'autore abbandonano il linguaggio letterariamente sostenuto e retoricamente elaborato, a favore di uno stile più immediato. Se la prima strofa è percorsa da un tono lieve e dolce, nelle due successive tornano accenti mesti e meditativi, attenuati però dalla musicalità dei versi. Inoltre le scelte lessicali contribuiscono a creare un'atmosfera indefinita (antica, v. 1; erra, v. 4; rimota, v. 37; lontani, v. 41), anche se in chiusura del canto l'incupirsi dell'argomentazione richiede vocaboli più aspri (vecchiezza, v. 50; impetro, v. 52; noioso e tetro, v. 55; sconsolato, v. 59).

 >> pag. 840 

In tutto il canto troviamo infine un'accentuata insistenza sull'atto del vedere. Al v. 12 Leopardi, riferendosi al passero, scrive Tu pensoso in disparte il tutto miri: proprio questo guardare da lontano lo rende simile al poeta, il quale infatti, nella scena successiva, sottolinea come il piacere di uno sguardo vicino e soprattutto ricambiato costituisce un privilegio per la gioventù del paese (e mira ed è mirata, v. 35), ma non per lui. I suoi occhi sono colpiti solo dal raggio del sole al tramonto, che simboleggia la fine della giovinezza (e intanto il guardo / steso nell'aria aprica / mi fere il Sol che tra lontani monti, / dopo il giorno sereno, / cadendo si dilegua, e par che dica / che la beata gioventù vien meno, vv. 39-44), e perciò ormai muti... all'altrui core (v. 53): entrato nell'età adulta del rimpianto, non gli rimane che pentirsi, guardando alle spalle la propria esistenza sprecata (ma sconsolato, volgerommi indietro, v. 59).

      Verso le competenze

COMPRENDERE

1 Quale dei seguenti temi non è presente nel componimento?

  •     Il sentimento della solitudine.
  •     La malinconia per la giovinezza che fugge.
  •     La caduta delle illusioni.
  •     L’infelicità per l’amore non corrisposto.

2 La poesia istituisce un parallelismo tra la condizione del poeta e quella del passero solitario. Sintetizzalo completando la seguente tabella.



Il passero
Il poeta
vita e abitudini

luoghi e paesaggio

differenze con gli altri animali

differenze con gli altri giovani del borgo


3 Individua ora le differenze tra il poeta e il passero solitario.


4 Perché l’autore spera di morire prima di invecchiare?

ANALIZZARE

5 Individua il lessico (in particolare aggettivi, sostantivi e verbi) che si riferisce alle aree semantiche dei concetti centrali nella poesia, completando la tabella.


Aree semantiche
Vocaboli
gioia

infelicità

solitudine 


6 Quale figura sintattica riconosci, ripetuta, ai versi 6 e 8?


7 Al verso 26 l’espressione del viver mio la primavera costituisce

  •     una sineddoche. 
  •     una metafora. 
  •     un’allitterazione.  
  •     un anacoluto.

INTERPRETARE

8 Che cosa si intende al verso 11 con l’espressione il lor tempo migliore?


9 In quale rapporto si pone il paesaggio rispetto ai sentimenti enunciati nella poesia? In accordo oppure in contrasto? Rispondi proponendo opportuni riferimenti al testo.

PRODURRE

10 Nella terza strofa, Leopardi dà della vecchiaia un’immagine estremamente negativa. In un testo argomentativo di circa 25 righe spiega in che cosa consiste la concezione leopardiana di questa età della vita.


La tua esperienza 

11 Ti è mai capitato di provare un senso di diversità o di estraneità rispetto ai tuoi coetanei e ai ragazzi che frequenti oppure di sapere che qualcuno dei tuoi amici prova questa sensazione? Come valuti questa percezione? Come qualcosa di positivo oppure di negativo? Sviluppa il tema in un testo espositivo di circa 30 righe.


I colori della letteratura ed. NUOVO ESAME DI STATO - volume 2
I colori della letteratura ed. NUOVO ESAME DI STATO - volume 2
Dal Seicento al primo Ottocento