T10 - Ultimo canto di Saffo

Il primo Ottocento – L'opera: Canti

 T10 

Ultimo canto di Saffo

Canti, 9


A parlare in prima persona è Saffo, la poetessa greca del VII-VI secolo a.C. che secondo una leggenda si era innamorata di un giovinetto di nome Faone e, non ricambiata, si uccise gettandosi dalla rupe di Leucade, sul mar Ionio. La lirica è composta dal 13 al 19 maggio 1822, come si legge in una postilla che accompagna il testo autografo.


METRO Canzone libera composta da 4 strofe di 18 versi, di cui i primi 16 sono endecasillabi sciolti e gli ultimi 2 un settenario e un endecasillabo a rima baciata.

         Placida notte, e verecondo raggio
         della cadente luna; e tu che spunti
         fra la tacita selva in su la rupe,
         nunzio del giorno; oh dilettose e care
5      mentre ignote mi fur l'erinni e il fato,
         sembianze agli occhi miei; già non arride
         spettacol molle ai disperati affetti.
         Noi l'insueto allor gaudio ravviva
         quando per l'etra liquido si volve
10    e per li campi trepidanti il flutto
         polveroso de' Noti, e quando il carro,
         grave carro di Giove a noi sul capo,
         tonando, il tenebroso aere divide.
         Noi per le balze e le profonde valli
15    natar giova tra' nembi, e noi la vasta
         fuga de' greggi sbigottiti, o d'alto
         fiume alla dubbia sponda
         il suono e la vittrice ira dell'onda.

         Bello il tuo manto, o divo cielo, e bella
20    sei tu, rorida terra. Ahi di cotesta
         infinita beltà parte nessuna
         alla misera Saffo i numi e l'empia
         sorte non fenno. A' tuoi superbi regni
         vile, o natura, e grave ospite addetta,
25    e dispregiata amante, alle vezzose
         tue forme il core e le pupille invano
         supplichevole intendo. A me non ride
         l'aprico margo, e dall'eterea porta
         il mattutino albor; me non il canto
30    de' colorati augelli, e non de' faggi
         il murmure saluta: e dove all'ombra
         degl'inchinati salici dispiega
         candido rivo il puro seno, al mio
         lubrico piè le flessuose linfe
35    disdegnando sottragge, 
         e preme in fuga l'odorate spiagge.

 >> pag. 834 

         Qual fallo mai, qual sì nefando eccesso
         macchiommi anzi il natale, onde sì torvo
         il ciel mi fosse e di fortuna il volto?
40    In che peccai bambina, allor che ignara
         di misfatto è la vita, onde poi scemo
         di giovanezza, e disfiorato, al fuso
         dell'indomita Parca si volvesse
         il ferrigno mio stame? Incaute voci
45    spande il tuo labbro: i destinati eventi
         move arcano consiglio. Arcano è tutto,
         fuor che il nostro dolor. Negletta prole
         nascemmo al pianto, e la ragione in grembo
         de' celesti si posa. Oh cure, oh speme
50    de' più verd'anni! Alle sembianze il Padre,
         alle amene sembianze eterno regno
         diè nelle genti; e per virili imprese,
         per dotta lira o canto,
         virtù non luce in disadorno ammanto.

55    Morremo. Il velo indegno a terra sparto
         rifuggirà l'ignudo animo a Dite,
         e il crudo fallo emenderà del cieco
         dispensator de' casi. E tu cui lungo
         amore indarno, e lunga fede, e vano
60    d'implacato desio furor mi strinse,
         vivi felice, se felice in terra
         visse nato mortal. Me non asperse
         del soave licor del doglio avaro
         Giove, poi che perìr gl'inganni e il sogno
65    della mia fanciullezza. Ogni più lieto
         giorno di nostra età primo s'invola. 
         Sottentra il morbo, e la vecchiezza, e l'ombra
         della gelida morte. Ecco di tante
         sperate palme e dilettosi errori, 
70    il Tartaro m'avanza; e il prode ingegno
         han la tenaria Diva,
         e l'atra notte, e la silente riva.





 >> pag. 835 

      Dentro il testo

I contenuti tematici

Lo sfogo accorato di Saffo si dispiega in una lirica nella quale il poeta rappresenta l'infelicità di un animo sensibile e appassionato, chiuso in un corpo sgraziato. L'io poetico lamenta il disprezzo con il quale la natura l'ha trattato. Nei paesaggi tormentati da un tempo burrascoso, Saffo cerca il conforto di uno scenario che assomigli al proprio cuore, anch'esso in burrasca, secondo un'originale interpretazione del tema romantico del sublime: la poetessa non trova appagamento nella contemplazione dei luoghi ameni, ma è affascinata dagli spettacoli cupi e tempestosi, che ricordano i Canti di Ossian.
Tuttavia ciò non basta a placare la sua ansia, la quale sfocia nel monologo infelice di una creatura che si sente abbandonata dalla natura come da un padre: perché il destino è stato così crudele con lei? È un interrogativo al quale non c'è risposta. Arcano è tutto, / fuor che il nostro dolor (vv. 46-47): l'unica certezza è l'infelicità, accresciuta dalle sgomente ma inutili domande su quale sia stato il peccato che l'ha condannata: Qual fallo mai, qual sì nefando eccesso / macchiommi anzi il natale...; In che peccai bambina... ferrigno mio stame? (vv. 37-44). Da qui il desiderio di morte con cui si chiude il canto, come un atto di protesta contro l'ottusa cecità del destino, inevitabile e logica conseguenza della condizione in cui la natura ha collocato l'uomo, dotandolo di virtù, che si rivelano però semplici illusioni e inutili fantasmi.

Le scelte stilistiche

Il dolore viene percepito da Saffo con tragica acutezza: si ha coscienza della sventura più profondamente quando, come nel suo caso, si riceve in sorte un animo grande. Tuttavia, nel corso del componimento, Leopardi sembra ampliare i confini del destino avverso: al Noi iniziale (v. 8, v. 14 e v. 15), che coinvolge in prima persona Saffo (e, dietro il suo mito, la figura e l'esperienza del poeta stesso), subentrano altri plurali, che invece alludono a una condizione universale (nostro dolor, v. 47; Negletta prole / nascemmo al pianto, vv. 47-48; Morremo, v. 55). Affiora, insomma, la dimensione cosmica del pessimismo leopardiano, destinato ad approfondirsi nelle poesie successive: l'augurio che la poetessa formula a Faone di raggiungere la felicità (vivi felice, se felice in terra / visse nato mortai, vv. 61-62) non nasconde il dubbio o addirittura l'insinuazione che ciò non potrà accadere, per lui come per ogni altro essere umano.

 >> pag. 836 

Il linguaggio adottato da Leopardi nel canto traduce assai efficacemente le istanze teoriche della poetica del vago e dell'indefinito. In questa direzione vanno le scelte sintattiche, caratterizzate da costrutti ipotattici* ricchi di inversioni, iperbati* e anafore*, i riferimenti mitologici che collocano la situazione lirica al di là di un tempo preciso (erinni, v. 5; Giove, v. 12; Parca, v. 43; Dite, v. 56; Tartaro, v. 70), ma soprattutto le soluzioni lessicali di tipo aulico, che oltre a conferire al testo un tono solenne, ne accrescono – specie nella descrizione del paesaggio – la suggestiva indeterminatezza (verecondo, v. 1; tenebroso aere, v. 13; vittrice, v. 18; rorida terra, v. 20; aprico, v. 28; lubrico, v. 34; ecc.)

      Verso le competenze

COMPRENDERE

1 Riassumi il contenuto complessivo del testo in circa 10 righe.


2 Come sembra reagire la natura al passaggio di Saffo?


3 Che cosa dice Saffo a Faone?

ANALIZZARE

4 Al verso 40 bambina è

  •     soggetto. 
  •     complemento di tempo determinato. 
  •     complemento predicativo del soggetto. 
  •     complemento di modo.  

5 Al verso 45 labbro è

  •     una metafora. 
  •     una sineddoche. 
  •     una sinestesia. 
  •     una sineresi.  

6 Al verso 48 al pianto è complemento di

  •     fine. 
  •     svantaggio. 
  •     interesse.  
  •     causa. 

7 Ai versi 57-58 cieco / dispensator de’ casi è

  •     un’anastrofe. 
  •     una perifrasi. 
  •     un iperbato. 
  •     una prosopopea. 

INTERPRETARE

8 Un anno dopo la stesura dell’Ultimo canto di Saffo così scrive Leopardi nello Zibaldone: «La vita umana non fu mai più felice che quando fu stimato poter essere bella e dolce anche la morte, né mai gli uomini vissero più volentieri che quando furono apparecchiati e desiderosi di morire per la patria e per la gloria». Come possiamo interpretare questo passo se lo mettiamo in relazione alla poesia?


9 Ti sembra che questo componimento possa essere letto in chiave autobiografica? Motiva la tua risposta.

PRODURRE

10 Al verso 54 Saffo afferma che virtù non luce in disadorno ammanto. Vale a dire: puoi essere bravo, intelligente, onesto, virtuoso, ma se hai un aspetto fisico non conforme ai canoni estetici dominanti, nessuno è disposto a riconoscere i tuoi pregi e a valorizzarli. Ti sembra che nel mondo di oggi questa "legge" sia valida? Rispondi con un testo argomentativo di circa 30 righe illustrando il tuo punto di vista attraverso esempi tratti dall’osservazione della realtà sociale contemporanea.


I colori della letteratura ed. NUOVO ESAME DI STATO - volume 2
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Dal Seicento al primo Ottocento