non solo l'intelletto mio, ma tutti i sentimenti, ancora del corpo, sono (per un
modo di dire strano, ma accomodato al caso) pieni di questa vanità.12 E qui primieramente
non mi potrai dire che questa mia disposizione non sia ragionevole:
30 se bene io consentirò facilmente che ella in buona parte provenga da qualche
mal essere corporale. Ma ella nondimeno è ragionevolissima: anzi tutte le altre
disposizioni degli uomini fuori di questa, per le quali, in qualunque maniera,
si vive, e stimasi che la vita e le cose umane abbiano qualche sostanza; sono,
qual più qual meno, rimote dalla ragione, e si fondano in qualche inganno e in
35 qualche immaginazione falsa.13 E nessuna cosa è più ragionevole che la noia.
I piaceri sono tutti vani. Il dolore stesso, parlo di quel dell'animo, per lo più è
vano: perché se tu guardi alla causa ed alla materia, a considerarla bene, ella è
di poca realtà o di nessuna. Il simile dico del timore; il simile della speranza.
Solo la noia, la qual nasce sempre dalla vanità delle cose, non è mai vanità, non
40 inganno; mai non è fondata in sul falso. E si può dire che, essendo tutto l'altro
vano, alla noia riducasi, e in lei consista, quanto la vita degli uomini ha di sostanzievole
e di reale.14 [...]
PLOTINO Così è veramente, Porfirio mio. Ma con tutto questo, lascia ch'io ti consigli,
ed anche sopporta che ti preghi, di porgere orecchie, intorno a questo tuo
45 disegno, piuttosto alla natura che alla ragione. E dico a quella natura primitiva,
a quella madre nostra e dell'universo; la quale se bene non ha mostrato
di amarci, e se bene ci ha fatti infelici, tuttavia ci è stata assai meno inimica e
malefica, che non siamo stati noi coll'ingegno proprio, colla curiosità incessabile15
e smisurata, colle speculazioni, coi discorsi, coi sogni, colle opinioni e
50 dottrine misere: e particolarmente, si è sforzata ella di medicare la nostra infelicità
con occultarcene, o con trasfigurarcene, la maggior parte. E quantunque
sia grande l'alterazione nostra, e diminuita in noi la potenza della natura; pur
questa non è ridotta a nulla, né siamo noi mutati e innovati tanto, che non
resti in ciascuno gran parte dell'uomo antico. Il che, mal grado che n'abbia la
55 stoltezza nostra,16 mai non potrà essere altrimenti. Ecco, questo che tu nomini
error di computo;17 veramente errore, e non meno grande che palpabile; pur si
commette di continuo; e non dagli stupidi solamente e dagl'idioti, ma dagl'ingegnosi,
dai dotti, dai saggi; e si commetterà in eterno, se la natura, che ha prodotto
questo nostro genere, essa medesima, e non già il raziocinio e la propria
60 mano degli uomini, non lo spegne. E credi a me, che non è fastidio della vita,
non disperazione, non senso della nullità delle cose, della vanità delle cure,
della solitudine dell'uomo; non odio del mondo e di se medesimo; che possa
durare assai: benché queste disposizioni dell'animo sieno ragionevolissime, e
le lor contrarie irragionevoli. Ma contuttociò, passato un poco di tempo; mutata
65 leggermente la disposizione del corpo; a poco a poco; e spesse volte in un