Il primo Ottocento – L'autore: Alessandro Manzoni

  LABORATORIO verso l'esame

La vigna di Renzo

I promessi sposi, cap. 33

Ritornato al paese d’origine, Renzo passa da casa e trova la vigna ridotta in uno stato di estremo disordine.

E andando, passò davanti alla sua vigna; e già dal di fuori poté subito argomentare1 

in che stato la fosse. Una vetticciola,2 una fronda d’albero di quelli che ci aveva 

lasciati, non si vedeva passare il muro; se qualcosa si vedeva, era tutta roba venuta 

in sua assenza. S’affacciò all’apertura (del cancello non c’eran più neppure i gangheri);3 

5 diede un’occhiata in giro: povera vigna! Per due inverni di seguito, la gente 

del paese era andata a far legna «nel luogo di quel poverino», come dicevano. Viti, 

gelsi, frutti d’ogni sorte, tutto era stato strappato alla peggio, o tagliato al piede.4 Si 

vedevano però ancora i vestigi dell’antica coltura: giovani tralci, in righe spezzate, 

ma che pure segnavano la traccia de’ filari desolati; qua e là, rimessiticci o getti 

10 di gelsi, di fichi, di peschi, di ciliegi, di susini; ma anche questo si vedeva sparso, 

soffogato, in mezzo a una nuova, varia e fitta generazione, nata e cresciuta senza

 l’aiuto della man dell’uomo. Era una marmaglia5 d’ortiche, di felci, di logli,6 di 

gramigne, di farinelli,7 d’avene salvatiche, d’amaranti verdi, di radicchielle, d’acetoselle,8 

di panicastrelle9 e d’altrettali piante; di quelle, voglio dire, di cui il contadino 

15 d’ogni paese ha fatto una gran classe a modo suo, denominandole erbacce, o 

qualcosa di simile. Era un guazzabuglio10 di steli, che facevano a soverchiarsi l’uno 

con l’altro nell’aria, o a passarsi avanti, strisciando sul terreno, a rubarsi in somma 

il posto per ogni verso; una confusione di foglie, di fiori, di frutti, di cento colori, 

di cento forme, di cento grandezze: spighette, pannocchiette, ciocche, mazzetti, capolini 

20 bianchi, rossi, gialli, azzurri. Tra questa marmaglia di piante ce n’era alcune 

di più rilevate e vistose, non però migliori, almeno la più parte: l’uva turca, più alta 

di tutte, co’ suoi rami allargati, rosseggianti, co’ suoi pomposi foglioni verdecupi, 

alcuni già orlati di porpora, co’ suoi grappoli ripiegati, guarniti di bacche paonazze 

al basso, più su di porporine, poi di verdi, e in cima di fiorellini biancastri; il 

25 tasso barbasso,11 con le sue gran foglie lanose a terra, e lo stelo diritto all’aria, e le 

lunghe spighe sparse e come stellate di vivi fiori gialli: cardi, ispidi ne’ rami, nelle 

foglie, ne’ calici, donde uscivano ciuffetti di fiori bianchi o porporini, ovvero si 

staccavano, portati via dal vento, pennacchioli argentei e leggieri. Qui una quantità 

di vilucchioni12 arrampicati e avvoltati a’ nuovi rampolli d’un gelso, gli avevan 

30 tutti ricoperti delle lor foglie ciondoloni, e spenzolavano dalla cima di quelli le lor 

campanelle candide e molli: là una zucca salvatica, co’ suoi chicchi vermigli, s’era 

avviticchiata ai nuovi tralci d’una vite; la quale, cercato invano un più saldo sostegno, 

aveva attaccati a vicenda i suoi viticci a quella; e, mescolando i loro deboli 

steli e le loro foglie poco diverse, si tiravan giù, pure a vicenda, come accade spesso 

35 ai deboli che si prendon l’uno con l’altro per appoggio. Il rovo era per tutto; andava 

da una pianta all’altra, saliva, scendeva, ripiegava i rami o gli stendeva, secondo gli 

riuscisse; e, attraversato13 davanti al limitare stesso, pareva che fosse lì per contrastare 

il passo, anche al padrone.

 >> pag. 765 

Ma questo non si curava d’entrare in una tal vigna; e forse non istette tanto a 

40 guardarla, quanto noi a farne questo po’ di schizzo. Tirò di lungo: poco lontano 

c’era la sua casa; attraversò l’orto, camminando fino a mezza gamba tra l’erbacce 

di cui era popolato, coperto, come la vigna. Mise piede sulla soglia d’una delle due 

stanze che c’era a terreno: al rumore de’ suoi passi, al suo affacciarsi, uno scompiglìo, 

uno scappare incrocicchiato di topacci, un cacciarsi dentro il sudiciume che 

45 copriva tutto il pavimento: era ancora il letto de’ lanzichenecchi. Diede un’occhiata 

alle pareti: scrostate, imbrattate, affumicate. Alzò gli occhi al palco: un parato14 di 

ragnateli. Non c’era altro. Se n’andò anche di là, mettendosi le mani ne’ capelli; 

tornò indietro, rifacendo il sentiero che aveva aperto lui, un momento prima; dopo 

pochi passi, prese un’altra straducola a mancina, che metteva ne’ campi; e senza 

50 veder né sentire anima vivente, arrivò vicino alla casetta dove aveva pensato di 

fermarsi. Già principiava a farsi buio. L’amico era sull’uscio, a sedere sur un panchetto 

di legno, con le braccia incrociate, con gli occhi fissi al cielo, come un uomo 

sbalordito dalle disgrazie, e insalvatichito dalla solitudine. Sentendo un calpestìo, 

si voltò a guardar chi fosse, e, a quel che gli parve di vedere così al barlume, tra i 

55 rami e le fronde, disse, ad alta voce, rizzandosi e alzando le mani: «non ci son che 

io? non ne ho fatto abbastanza ieri? Lasciatemi un po’ stare, che sarà anche questa 

un’opera di misericordia». 

Renzo, non sapendo cosa volesse dir questo, gli rispose chiamandolo per nome. 

«Renzo…!» disse quello, esclamando insieme e interrogando. 

60 «Proprio», disse Renzo; e si corsero incontro. 

«Sei proprio tu!» disse l’amico, quando furon vicini: «oh che gusto ho di vederti! 

Chi l’avrebbe pensato? T’avevo preso per Paolin de’ morti,15 che vien sempre a 

tormentarmi, perché vada a sotterrare. Sai che son rimasto solo? solo! solo, come 

un romito!».16 

65 «Lo so pur troppo», disse Renzo. E così, barattando e mescolando in fretta saluti, 

domande e risposte, entrarono insieme nella casuccia. E lì, senza sospendere 

i discorsi, l’amico si mise in faccende per fare un po’ d’onore a Renzo, come si 

poteva così all’improvviso e in quel tempo. Mise l’acqua al fuoco, e cominciò a 

far la polenta; ma cedé poi il matterello a Renzo, perché la dimenasse; e se n’andò 

70 dicendo: «son rimasto solo; ma! son rimasto solo!». Tornò con un piccol secchio 

di latte, con un po’ di carne secca, con un paio di raveggioli,17 con fichi e pesche; 

e posato il tutto, scodellata la polenta sulla tafferìa,18 si misero insieme a tavola, 

ringraziandosi scambievolmente, l’uno della visita, l’altro del ricevimento. E, dopo 

un’assenza di forse due anni, si trovarono a un tratto molto più amici di quello che 

75 avesser mai saputo d’essere nel tempo che si vedevano quasi ogni giorno; perché 

all’uno e all’altro, dice qui il manoscritto, eran toccate di quelle cose che fanno conoscere 

che balsamo sia all’animo la benevolenza; tanto quella che si sente, quanto 

quella che si trova negli altri.

 >> pag. 766 

COMPRENSIONE E ANALISI

1 Riassumi il contenuto del brano in circa 10 righe.


2 Perché nessun albero della vigna oltrepassava l’altezza del muro?


3 Che cosa trova Renzo nella sua casa abbandonata?


4 Perché l’amico incontrato sull’uscio ha gli occhi fissi al cielo (r. 52)?


5 All’interno dei lunghi elenchi botanici, osservi delle rime? Secondo te, quale funzione hanno?


6 Che tipo di lessico è impiegato dall’autore? In che rapporto si pone con l’irrazionalità e la selvatichezza della natura?


7 Individua le espressioni che mettono in rapporto il disordine della natura lasciata crescere da sola con quello della società. Che giudizio emerge di quest’ultima?


8 Quale significato assume l’incontro di Renzo con il vecchio amico dopo la visita alla vigna?

INTERPRETAZIONE

Scegli e sviluppa una delle seguenti tracce. 

  • La descrizione della vigna, disordinata e inselvatichita, suggerisce considerazioni sul rapporto tra natura e civiltà, nei Promessi sposi e non solo. A Manzoni è evidentemente estranea una visione idilliaca della natura. Commenta il brano in relazione a questo tema e al problema dell’origine del male nell’ottica manzoniana. 
  • Oggi tendiamo ad avere una visione positiva della natura, in contrapposizione alla negatività di certi interventi dell’uomo (che determinano devastazione del paesaggio, inquinamento dell’aria e delle acque, riscaldamento globale ecc.). Al contrario, qui Manzoni presenta la natura come un sistema disordinato e, in qualche modo, violento: è la natura, in questo caso, a devastare, con la propria scriteriata vitalità, l’ordine di quanto prodotto dall’uomo. Commenta il brano riflettendo sulla contraddizione tra le due diverse concezioni.

Renzo, Lucia e io. Perché, per me, I promessi sposi è un romanzo meraviglioso

Lo scrittore Marcello Fois (n. 1960) sostiene l’importanza della lettura scolastica del romanzo manzoniano in una riflessione che si allarga, in senso più generale, ai compiti delle istituzioni formative.

Qualche tempo fa un mio amico scrittore gioiva con me del fatto che la figlia adolescente 

avesse portato avanti una sorta di class action contro la sua giovane professoressa 

di italiano che aveva preannunciato di non avere intenzione di spiegare

Promessi Sposi in classe, nonostante i programmi ministeriali perché a suo dire, cito 

5 testualmente, “I Promessi Sposi sono una barba”. Ora, non credo che un arbitrio del 

genere sia lecito o concesso, ma sta di fatto che l’eroica figlia del mio amico scrittore, 

dotata di una evidente qualità carismatica, ha osato eccepire davanti a tutti a quell’affermazione 

banale, specialmente in bocca a un’insegnante d’italiano, ricordando alla 

medesima che I Promessi Sposi, semplicemente, “si devono fare”. 

10 Questa breve storiella introduttiva dimostra che nell’intransigenza di certi adolescenti 

spesso si cela il valore aggiunti del pretendere che ognuno faccia il proprio 

mestiere, svolga il proprio compito, navighi nella generazione che gli compete. 

Qualsiasi insegnante d’italiano che afferma impunemente davanti alla sua classe 

che “I Promessi Sposi sono una barba”, infatti, non torce un capello al classico Manzoni, 

15 ma mina senza rimedio la sua autorevolezza e quella dei suoi colleghi agli occhi 

di quegli alunni adolescenti che, a buon diritto, sono gli unici a dover e poter fare 

un’affermazione del genere.

 >> pag. 767 

È una questione di ruoli, insomma: l’insegnante che occupa il livello del suo 

alunno perde la sua credibilità specifica. I ragazzi da sempre sanno svolgere al meglio 

20 il loro mestiere, sono specchi dei tempi, hanno fretta di bruciare le tappe, considerano 

la scuola spesso come un freno ad altre faccende assai più piacevoli. Se anche gli 

insegnanti pensano lo stesso forse è meglio che cambino mestiere. 

Se cioè non si chiarisce il discrimine tra l’intrattenimento e la formazione è probabile 

che questa nostra storiella fuori dai canoni diventi solo il segnale di una tendenza 

25 assai problematica. 

I Promessi Sposi è un territorio eccezionale dove può essere misurata questa tendenza. 

Al ragazzo, all’alunno, si promette una scuola “divertente”, ma non gli si spiega 

che “divertente” è una parola per niente leggera. “Divertente” è un’accezione che 

attiene alla capacità di farsi un’idea propria delle cose, e cioè devèrtere, saper guardare 

30 altrove, misurare l’area in cui l’informazione che si è appena ricevuta può esercitare 

un potere comunicativo nella vita di tutti i giorni. Divertirsi, sotto certi aspetti, significa 

fare propria una nozione e renderla organica: mangiarla, masticarla, digerirla, 

evacuarla. Questo processo non assicura sempre un’esperienza piacevole, da ciò l’equivoco 

secondo cui solo quello che fa ridere è divertente. Molte volte, specialmente 

35 in corso di apprendimento, è vero l’opposto. Ora qualcuno può dimostrare che 

farsi gli addominali, o depilarsi le sopracciglia, o svolgere un’equazione algebrica, o 

imparare a memoria la perifrastica o parafrasare una terzina dantesca, o sottoporsi 

a una sessione di tatuaggio, piercing, eccetera siano esperienze “piacevoli”? Non lo 

sono eppure sono “divertenti”, contribuiscono cioè a incrementare lo strumentario 

40 fisico e mentale con cui possiamo affrontare le cose del mondo. 

Ergo: chi l’ha detto che I Promessi Sposi debba piacere? Il punto non è che piaccia, 

ma che “diverta” che racconti cioè nell’ordine: che nazione siamo, che cos’è un 

classico, fino a che punto ci conosciamo. Niente di direttamente piacevole insomma. 

Ma la piacevolezza diretta è una categoria che attiene all’intrattenimento e non alla 

45 formazione. Quella che noi stiamo cercando, anche attraverso il romanzo di Manzoni, 

è una piacevolezza a rilascio lento, spesso lentissimo. L’istruzione è un materiale 

di cui spesso si raccolgono i frutti dopo anni. 

La piacevolezza è un’eccezione: a nessuno piace alzarsi presto per andare a lavorare. 

Anzi mi spingerei ad affermare che c’è una percentuale altissima di persone che 

50 non amano affatto andare a lavorare, per vari motivi, ma pure ci vanno, separano 

cioè l’utopia dalla realtà. 

Attraverso la diatriba sui Promessi Sposi, come sull’insegnamento del latino o della 

storia dell’arte, si può misurare la maturità di una cultura, persino millenaria come 

la nostra. La scuola in quanto skolé, vacanza per i greci, non dovrebbe occuparsi della 

55 vita in sé quanto degli strumenti per affrontarla, la vita. Ecco perché quella stagione 

in cui l’unico compito era di apprendere, cioè di accumulare, cioè di immagazzinare, 

era definita dai greci “vacanza”, skolé. Dopo quella vacanza arriva la vita, cioè lo 

spazio dove mettere in gioco tutto quello che si è imparato. Skolé (vacanza)/vita: il 

peso delle parole non prevede sprechi, una buona scuola insegna un’economia del 

60 linguaggio, il che non significa usare poche parole, ma saper usare quelle giuste, nel 

giusto contesto. 

Chi tenta la strada del piacere della lettura in quanto tale, a scuola è destinato 

a soccombere. Il piacere della lettura è una conquista, spesso privata, spesso dettata 

da un amalgama esistenziale imponderabile, spesso totalmente extrascolastico. La 

65 scuola dovrebbe occuparsi della lettura. Dovrebbe occuparsi del contenitore, senza 

interferire sul contenuto. La scuola dovrebbe produrre un lettore che sappia distinguere 

tra il valore formativo di ciò che legge e il suo valore ludico, o confortante, o 

consolatorio. Con autorevolezza, senza inganni, senza ricatti. Mi spingerei a dire che 

un educatore, nello svolgimento delle sue mansioni, non ha diritto a un gusto personale. 

70 Il destino dell’insegnante, come del genitore, è l’inattualità e l’impopolarità. 

Esattamente come il destino di un grande classico. 


Marcello Fois, Renzo, Lucia e io. Perché, per me, «I promessi sposi» è un romanzo meraviglioso, add editore, Torino 2018

 >> pag. 768 

COMPRENSIONE E ANALISI

1 Di che cosa è stato contento l’amico scrittore citato da Fois all’inizio del brano?


2 Individua gli argomenti sulla base dei quali l’autore critica l’insegnante che “snobbi” I promessi sposi.


3 Spiega con parole tue il concetto, alto e non banale, di “divertimento” sostenuto da Fois.


4 Per l’autore, che cosa possono insegnare a un adolescente di oggi I promessi sposi?


5 In che cosa consiste per Fois la differenza tra “intrattenimento” e “formazione”? A quale dei due obiettivi dovrebbe guardare maggiormente la scuola? Perché?


6 Quale destino unisce genitori e insegnanti?


7 Sintetizza la tesi fondamentale del brano in circa 5 righe.

PRODUZIONE

Nel suo saggio, Fois difende a spada tratta Manzoni da chi vorrebbe togliere il suo libro dalle scuole. A chi obietta che si tratta di un romanzo “ostico”, la cui difficoltà rischia di allontanare i giovani lettori di oggi dal “piacere della lettura”, Fois replica: Chi tenta la strada del piacere della lettura in quanto tale, a scuola è destinato a soccombere. Il piacere della lettura è una conquista, spesso privata (rr. 62-63). Sei d’accordo con questa affermazione oppure no? Chiarisci il tuo punto di vista, facendo riferimento anche alla tua esperienza scolastica.

Perché non dobbiamo rinunciare ai «Promessi sposi»

La lettura dei Promessi sposi in ambito scolastico è spesso oggetto di discussione. Nell’articolo che riportiamo, l’autore riflette sul tema, sostenendo l’irrinunciabilità di questo grande classico.

In un suo recente articolo, Susanna Tamaro elencava alcune ragioni della sua predilezione 

per I promessi sposi: l’«incandescenza» dei nuclei tematici, lo spessore esistenziale, 

la ricchezza dello stile, l’ironia. Ma al tempo stesso denunciava l’esperienza 

deprimente che ne aveva fatto da studentessa all’istituto magistrale, aggiungendo di 

5 essere così giunta a ritenere che «far leggere i classici della letteratura a scuola sia un 

vero e proprio incitamento ad abbandonare quanto prima il piacere della lettura». 

Perché, dunque, a scuola continuiamo a leggere Manzoni? non rischiamo di fargli 

un dispetto? Devo dire che è da alcuni anni che me lo chiedo, già prima di leggere le 

stimolanti riflessioni di Susanna Tamaro. Chiaramente se mi propongo di trasmettere 

10 i lineamenti fondamentali della storia letteraria non posso prescindere da Manzoni. 

Ma per quanto riguarda la lingua? Non c’è dubbio che esistano centinaia di romanzi 

più adatti dei Promessi sposi per insegnare l’italiano oggi, visto che il lessico di Manzoni 

è sempre più, per i ragazzi, “straniero”, ostico se non addirittura incomprensibile. [...] 

Tuttavia penso che l’idea di un’eventuale sostituzione dei Promessi sposi con un altro 

15 romanzo, magari più recente, non debba essere un tabù (discutiamone, per carità), 

ma ritengo anche che abbiamo almeno tre buone ragioni per contrastarla.

 >> pag. 769 

La prima: non esiste un altro romanzo che abbia per i nostri connazionali lo 

stesso rilievo storico-culturale. Se da sempre i popoli e le nazioni costruiscono la propria 

identità anche a partire da certe opere letterarie (pensiamo ai poemi omerici per 

20 la Grecia classica), I promessi sposi hanno formato generazioni di italiani, grazie alla 

presenza di questo testo a scuola, ma anche in virtù della straordinaria personalità 

del suo autore, che ha saputo sintetizzare istanze patriottiche e cattolicesimo [...]. E 

questo a partire da una fede autentica e coraggiosa, anche a costo di più di un’incomprensione 

con le gerarchie ecclesiastiche del tempo. 

25 Seconda ragione: è difficile individuare, negli ultimi due secoli, un’altra opera 

italiana di narrativa che possieda la medesima profondità morale dei Promessi sposi

in cui davvero troviamo l’umanità rappresentata e scandagliata a tutti i livelli, nei 

sentimenti positivi come in quelli negativi, nella dimensione spirituale come in quella 

passionale, dal coraggio (padre Cristoforo) alla pusillanimità (don Abbondio), 

30 dall’irruenza giovanile (Renzo) alla fiducia nella Provvidenza (Lucia), dall’arroganza 

del potere (don Rodrigo) alla perdita dei riferimenti etici (Gertrude). Ho schematizzato 

all’estremo, e di questo mi scuso (soprattutto con Manzoni): perché in realtà 

nessun personaggio del romanzo è “piatto”, sono tutti “dinamici” [...]. Insomma: la 

vita resa in tutta la sua drammatica, affascinante complessità. 

35 C’è, infine, un terzo motivo: il valore artistico di questo romanzo. Trovatemi un 

altro testo italiano in prosa scritto tra Otto e Novecento che possieda un’analoga ricchezza 

stilistica, retorica ed espressiva. Per spiegare una sola pagina ai miei studenti ci 

posso mettere anche un’ora. Non solo e non tanto per le difficoltà di comprensione 

cui accennavo sopra: è facilmente intuibile che adolescenti abituati a comunicare su 

40 Whatzapp o su Instagram trovino quanto meno complicato l’ampio periodare manzoniano, 

condotto peraltro in una lingua ormai in gran parte lontana dall’uso. Quanto 

piuttosto per il fatto che da ogni frase, da ogni battuta, da ogni parola puoi tirar 

fuori tantissime cose, molte nuove anche per me ogni volta che vi torno sopra. Come 

avviene – appunto – soltanto con i grandi classici. Quelli a cui sarebbe davvero un 

45 peccato rinunciare. 


Roberto Carnero, “I promessi sposi” e la scuola? Una sfida per renderli attuali, “Avvenire”, 29 gennaio 2015

COMPRENSIONE E ANALISI

1 Secondo l’autore dell’articolo, I promessi sposi sono in grado di offrire un modello linguistico ottimale agli adolescenti di oggi? Perché?


2 Individua la frase in cui l’autore formula la sua tesi e sintetizza in poche righe (2-3 per ciascuno) gli argomenti proposti per sostenerla.


3 Che cosa significa che nessun personaggio del romanzo è “piatto” e che invece sono tutti “dinamici” (rr. 33-34)?


4 Quali difficoltà si presume che i ragazzi di oggi possano incontare nella lettura del romanzo manzoniano?

PRODUZIONE

Sulla base del tuo recente studio di Manzoni e della lettura del suo romanzo, ritieni che I promessi sposi siano un testo fondamentale (dal punto di vista storico, culturale, letterario) e ancora attuale, e dunque che esso vada mantenuto nei programmi scolastici, oppure no? Sostieni la tua tesi in proposito con argomenti opportuni.

I colori della letteratura ed. NUOVO ESAME DI STATO - volume 2
I colori della letteratura ed. NUOVO ESAME DI STATO - volume 2
Dal Seicento al primo Ottocento