3 - I grandi temi

Il primo Ottocento – L'autore: Alessandro Manzoni

3 I grandi temi

La formazione illuministica

Sebbene nipote di Cesare Beccaria, Manzoni durante l'infanzia viene a contatto solo superficialmente con i princìpi cardine dell'Illuminismo milanese: la fiducia nel potere della ragione, la lotta contro le superstizioni, il pragmatismo («cose e non parole») che avevano guidato l'avventura della rivista "Il Caffè" e dell'Accademia dei Pugni, la difesa della giustizia e della dignità dell'uomo (condensata esemplarmente dal nonno Cesare nel celebre trattato Dei delitti e delle pene), l'enfasi sulla funzione educatrice dell'arte, che aveva trovato un'altissima attuazione nell'opera di Giuseppe Parini.
Alessandro viene infatti affidato dal conte Manzoni a collegi religiosi tradizionalisti e votati alla più severa disciplina: per contrasto scaturisce nel giovane una veemente volontà di ribellione, espressa nei versi Del trionfo della Libertà, scritti a sedici anni e pervasi dall'entusiasmo per gli ideali della Rivoluzione francese e dal disprezzo verso il Vaticano, i privilegi nobiliari e l'assolutismo politico.

Durante gli anni trascorsi a Parigi con la madre (1805-1810), ai furori giacobini si sostituisce una meditata assimilazione delle idee illuministe, grazie al rapporto con il circolo degli idéologues (tra i massimi protagonisti del dibattito intellettuale francese): Antoine Destutt de Tracy, Pierre Cabanis, Augustin Thierry e soprattutto Claude Fauriel, che dell'Illuminismo danno un'interpretazione liberale, mossi da un'ostilità di fondo all'autoritarismo napoleonico. Il loro modello di apertura culturale, impegno civile e rigore morale agisce a fondo sullo spirito di Manzoni, che dimostrerà sempre insofferenza dinanzi ai rigidi schemi precostituiti, tanto in ambito politico quanto in ambito letterario.

In quest'ottica la conversione al cattolicesimo non rappresenta per Manzoni una frattura radicale, ma l'evoluzione di opinioni già consolidate: da un lato egli si allontana dai concetti dell'Illuminismo in contrasto con le verità di fede, per cui rigetta il materialismo e il ricorso in letteratura alla mitologia classica, ritenuto una forma di «idolatria»; dall'altro si mantiene fedele agli ideali di libertà, uguaglianza e giustizia, vedendo nel Vangelo la loro più alta realizzazione.
Esiste dunque una continuità nella riflessione di Manzoni, data dalla fedeltà agli ideali democratici, nella convinzione – già nutrita dagli Illuministi lombardi – che l'intellettuale debba confrontarsi con le più scottanti questioni del proprio tempo e battersi contro i privilegi ingiustificati. La fede, in altre parole, non impedisce l'uso critico della ragione, che continua a essere strumento fondamentale per analizzare la realtà e la Storia, così da riconoscervi la presenza della falsità, dell'ipocrisia o della superstizione.

 >> pag. 687 

Manzoni, divenuto cattolico praticante, non modifica le proprie idee politiche in senso conservatore, restando anzi nemico delle commistioni fra religione e politica, in cui vede un ostacolo alla trasposizione terrena del messaggio cristiano, prima ancora che all'edificazione della nazione italiana.
Fermamente convinto che l'intellettuale debba assumersi una responsabilità nei confronti del popolo, egli difende l'idea di letteratura come umile e utile servizio civile. Le pretese di autosufficienza delle belle lettere che dilagano nel secondo Ottocento, riassumibili nel motto «l'arte per l'arte», suonano assurde alle orecchie di Manzoni, indifferente alle lusinghe di una gloria solo letteraria. La letteratura a suo parere non può e non deve ridursi a piacevole intrattenimento per le classi agiate: se ciò avvenisse, agli scrittori bisognerebbe allora anteporre i cantastorie che nelle fiere allietano i contadini distraendoli dalla loro vita di stenti.

 T1 

In morte di Carlo Imbonati

Vv. 165-215


Il carme viene scritto dal poeta ventenne, verso la fine del 1805, a consolazione della madre, che da poco aveva perso il compagno, il ricco nobiluomo milanese Carlo Imbonati, con il quale conviveva a Parigi da una decina d’anni. Pur senza averlo conosciuto personalmente, Manzoni fa di Imbonati un supremo modello di virtù laica: a lui si rivolge per ottenere consigli sul cammino da percorrere, sebbene all’epoca fosse ancora in vita il padre ufficiale, che l’aveva instradato in collegi religiosi, verso i quali egli mostra in altra parte del componimento un fiero disprezzo. Tutto ciò, dopo la conversione, indurrà Manzoni a rifiutare questi versi, così come gli altri componimenti giovanili di stampo classicista.


METRO Endecasillabi sciolti.

165  «Or dimmi, e non ti gravi,
         se di te vero udii che la divina
         de le Muse armonia poco curasti».
         Sorrise alquanto, e rispondea: «qualunque
         di chiaro esempio, o di veraci carte
170  giovasse altrui, fu da me sempre avuto
         in onor sommo. E venerando il nome
         fummi di lui, che ne le reggie primo
         l'orma stampò dell'italo coturno:
         e l'aureo manto lacerato ai grandi,
175  mostrò lor piaghe, e vendicò gli umìli;
         e di quel, che sul plettro immacolato
         cantò per me: Torna a fiorir la rosa.

 >> pag. 688 

         Cui, di maestro a me poi fatto amico,
         con reverente affetto ammirai sempre
180  scola e palestra di virtù. Ma sdegno
         mi fero i mille, che tu vedi un tanto
         nome usurparsi, e portar seco in Pindo
         l'immondizia del trivio e l'arroganza,
         e i vizj lor; che di perduta fama
185  vedi, e di morto ingegno, un vergognoso
         far di lodi mercato e di strapazzi.

         Stolti! Non ombra di possente amico,
         né lodator comprati avea quel sommo
         d'occhi cieco, e divin raggio di mente,
190  che per la Grecia mendicò cantando.
         Solo d'Ascra venian le fide amiche
         esulando con esso, e la mal certa
         con le destre vocali orma reggendo:
         cui poi, tolto a la terra, Argo ad Atene,
195  e Rodi a Smirna cittadin contende:
         e patria ei non conosce altra che il cielo.
         Ma voi, gran tempo ai mal lordati fogli
         sopravissuti, oscura e disonesta
         canizie attende». E tacque; e scosso il capo,
200  e sporto il labbro, amaramente il torse,
         com'uom cui cosa appare ond'egli ha schifo.

         Gioja il suo dir mi porse, e non ignota
         bile destommi; e replicai: «deh! vogli
         la via segnarmi, onde toccar la cima
205  io possa, o far che, s'io cadrò su l'erta,
         dicasi almen: "su l'orma propria ei giace"».
         «Sentir», riprese, «e meditar: di poco
         esser contento: da la meta mai
         non torcer gli occhi: conservar la mano
210  pura e la mente: de le umane cose
         tanto sperimentar, quanto ti basti
         per non curarle: non ti far mai servo:
         non far tregua coi vili: il santo Vero
         mai non tradir: né proferir mai verbo,
215  che plauda al vizio, o la virtù derida».

 >> pag. 689 

      Dentro il testo

I contenuti tematici

L'espediente del dialogo con i defunti – prima che nella Divina Commedia – ricorre in celebri passi di Omero e Virgilio. Viene più volte sfruttato nel Settecento in ambito classicistico e preromantico (per esempio da Vincenzo Monti), in genere al centro di una visione onirica, movimentata appunto dallo scambio di battute tra chi scrive e l'anima che gli appare in sogno. È ciò che accade nel carme manzoniano, in cui Imbonati si manifesta nottetempo al poeta, che per rispetto si trattiene dall'abbracciarlo. Inizia allora la conversazione, nella quale al deludente bilancio dell'educazione ricevuta da Manzoni in istituti religiosi Imbonati contrappone – nel passo qui riportato – un programma per il futuro, al quale segue il risveglio del poeta in lacrime.

Carlo Imbonati è chiamato dall'autore a denunciare la corruzione dei tempi: il suo profilo di giusto solitario, disgustato dal mondo che ha appena abbandonato, deve molto alla suggestione dell'opera di Vittorio Alfieri, allora venerato dai giovani letterati, come testimoniano i versi che Foscolo gli dedica nei Sepolcri. Simile è anche la reverenza con cui lo stesso Foscolo e Manzoni guardano al magistero di Parini, sebbene qui Manzoni si distacchi dal gusto dell'orrido notturno, di matrice preromantica, presente nei passi foscoliani sulla sepoltura dello stesso Parini (► T11, p. 517).
Imbonati ebbe come precettore, scola e palestra di virtù (v. 180), proprio Parini, che gli dedicò l'ode L'educazione, il cui inizio è citato al v. 177 (Torna a fiorir la rosa). Agli occhi di Manzoni egli è dunque erede del rigore morale tipico della migliore intellettualità lombarda: un «giovin signore» che ha saputo fare tesoro degli insegnamenti ricevuti, ed è perciò degno d'emulazione da parte sua, nobile scrittore alle prime armi, nipote del marchese Cesare Beccaria.

La via indicata da Imbonati è quella che contraddistinguerà, prima ancora che la carriera letteraria, tutta la vita di Manzoni: impegno, riserbo, riflessione, disprezzo di ogni servilismo. Il defunto interlocutore afferma di non avere disprezzato la poesia in quanto tale, come sostenevano voci malevole, ma chi la esercita senza tener conto del rapporto strettissimo che deve legarla all'utile morale e al santo Vero (v. 213). Questa rivendicazione della necessaria azione pedagogica della letteratura fa di Imbonati una "controfigura" dell'autore e avvicina il suo testamento morale a un documento di poetica.

Le scelte stilistiche

Come si è visto, i precetti di Imbonati non riguardano l'eleganza formale ma la coscienza dei doveri propri di un intellettuale all'altezza dei tempi. Tuttavia la scrittura del carme appare molto elaborata, in accordo con i dettami del Classicismo, nell'ambito del quale Manzoni aveva sviluppato la sua vocazione poetica. Troviamo dunque richiami al patrimonio letterario, mitologico e geografico greco, a cominciare dai toponimi: il monte Pindo e le città o località di Argo, Ascra, Atene, Rodi, Smirna. I riferimenti sono spesso indiretti ed espressi tramite perifrasi* nobilitanti, con frequenti iperbati*: non Omero, dunque, ma quel sommo d'occhi cieco (vv. 188-189); non le Muse ma d'Ascra [...] le fide amiche (v. 191); non la poesia, ma la divina de le Muse armonia (vv. 166-167).

II tono, solenne e impostato, si giova di forme verbali auliche (come mi fero) e latinismi (veraci, aureo, trivio). Anche l'impianto retorico è molto elaborato, con il ricorso alla sineddoche* (plettro immacolato, v. 176, per la poesia; canizie, v. 199, per la vecchiaia) e al chiasmo* (plauda al vizio, o la virtù derida, v. 215). Solo di rado la frase presenta l'ordine naturale soggetto-verbo-complemento oggetto; più spesso Manzoni predilige costruzioni sintattiche complesse e latineggianti, influenzate dall'esempio di Parini, che dunque è un punto di riferimento anche su questo versante. Lo conferma la scelta, sul piano della metrica, degli endecasillabi* sciolti già utilizzati nel Giorno, con studiate alternanze ritmiche.

 >> pag. 690 

      Verso le competenze

COMPRENDERE

1 Riassumi i consigli di Imbonati a Manzoni.


2 Quali scrittori loda Imbonati? Per quali motivi?


3 A chi viene profetizzata una oscura e disonesta canizie (vv. 198-199)?

ANALIZZARE

4 Far di lodi mercato e di strapazzi (v. 186): di quale figura retorica si tratta?

INTERPRETARE

5 La concezione di poesia di Manzoni emerge, nei discorsi di Imbonati, sia per via negativa (ciò che non deve essere), sia con esempi e insegnamenti positivi. Tenendo conto di entrambi gli aspetti, descrivi la posizione dell’autore.


6 Sentir [...] e meditar (v. 207): partendo dal significato letterale dei due termini, sei in grado di spiegare il senso che attribuisce a essi Imbonati?

PRODURRE

La tua esperienza

7 Immagina che ti appaia in sogno una figura di riferimento per darti consigli relativi alla tua vita. Chi sceglieresti? Come e dove ambienteresti l’apparizione? Quali consigli ti darebbe? Scrivi un testo narrativo di circa 30 righe.


La conversione religiosa

Come detto, Manzoni viene educato in istituti gestiti da religiosi cattolici, fautori di una dura disciplina. Per reazione, in molti componimenti giovanili egli esprime un polemico rifiuto nei confronti dei metodi che ha subito, ma anche della dottrina cattolica in sé, in nome dei princìpi illuministi. La conversione non cancella questi orientamenti teorici, ma li reinterpreta nel segno della fede.
Manzoni è convinto che la parola evangelica contenga un messaggio rivoluzionario, in grado di dare un senso più profondo agli ideali di libertà, giustizia, uguaglianza promossi dai filosofi illuministi francesi. Il suo approdo al Cattolicesimo si fonda sul tentativo di conciliare ragione e fede: è un "credo per capire", che indaga i fatti della Storia e i comportamenti umani alla luce della fede, che in questo senso viene elevata a strumento di conoscenza e giudizio.

La religiosità manzoniana non presenta concessioni al misticismo o direzioni irrazionalistiche, né assume mai aspetti pacificanti e consolatori, come in tanti intellettuali vicini al movimento romantico, e nemmeno si rasserena nella contemplazione, o nella rassegnazione in attesa di compensi ultraterreni. Al severo rigorismo morale con cui vive le sue convinzioni non sono estranei il modello del calvinismo secondo il quale era stata educata la moglie Enrichetta e soprattutto l’insegnamento dei direttori spirituali a cui Manzoni si affida, ovvero il padre Eustachio Dègola a Parigi e il canonico Luigi Tosi a Milano, entrambi sensibili alle istanze del giansenismo.

 >> pag. 691 

Sebbene in molti l'abbiano ritenuto tale, Manzoni non è tuttavia giansenista in senso stretto, soprattutto sul piano dogmatico e teologico, dove manifesta sempre la più stretta osservanza ai princìpi cattolici. In una lettera del 1828 indirizzata al padre Antonio Cesari, per esempio, scrive: «Non capisco come ella abbia potuto dubitare s'io riconosco nel Sommo Pontefice la qualità di vero Capo della Chiesa [...]. Colla Chiesa dunque sono e voglio essere, in questo come in ogni altro oggetto di Fede; con la Chiesa voglio sentire, esplicitamente, dove conosco le sue decisioni; implicitamente, dove non le conosco: sono e voglio essere con la Chiesa, fin dove lo so, fin dove veggo, e oltre».
Tutto ciò non impedisce a Manzoni di guardare con occhio critico all'operato del Vaticano, quando non gli sembri in linea con i princìpi evangelici, a causa dell'infinita debolezza dell'animo umano, che dà luogo alla brama di potere. In questo atteggiamento e nella consapevolezza dei limiti e delle imperfezioni degli uomini, da cui deriva una visione fortemente pessimistica della Storia (evidente nelle tragedie), si riconoscono le tracce più significative lasciate nel suo animo dal giansenismo.

Sul piano politico tale impostazione si traduce nell'avversità al potere temporale del papa, visto come un ostacolo rispetto al vero compito della Chiesa, ossia l'azione nel campo della cura delle anime. Si tratta di una posizione condivisa da altri cattolici liberali, come Antonio Rosmini, con il quale alla metà del secolo Manzoni stabilisce un intenso scambio intellettuale.
Amareggiato dall'alleanza in chiave reazionaria fra "trono e altare" (cioè tra il potere politico e la Chiesa) che caratterizza la Restaurazione, in vecchiaia Manzoni approverà l'annessione all'Italia dello Stato pontificio e il trasferimento della capitale a Roma, suscitando l'ira dei cattolici intransigenti, contrari all'Unità d'Italia, e l'entusiasmo di quanti accettavano invece la celebre formula di Cavour: «Libera Chiesa in libero Stato».

PER APPROFONDIRE

Il giansenismo

Il giansenismo è un movimento teologico, religioso e politico, che prende nome da Giansenio (forma italianizzata del nome di Cornelius Otto Jansen, 15851638), teologo olandese, il cui trattato Augustinus, uscito postumo, fu condannato come eretico con un decreto dell’Inquisizione nel 1641 per le teorie in esso contenute sulla Grazia e sul libero arbitrio, sul peccato universale e sulla redenzione. 

La dottrina: Grazia e predestinazione 
Giansenio estremizzava l’idea di Agostino secondo cui l’uomo, dopo il peccato originale, non è più in grado di voler compiere il bene con le sole sue forze. La venuta di Cristo avrebbe dato all’uomo la possibilità di salvarsi, ma solo in quanto, dopo di essa, Dio concede la Grazia, senza la quale l’uomo non sarebbe in grado di intraprendere neppure il cammino iniziale verso il bene. All’uomo peccatore Dio non è tenuto a concedere la Grazia: questa è data soltanto a coloro che Dio, nella sua volontà imperscrutabile, ha predestinato, indipendentemente e prima di ogni previsione dei meriti. Tale predestinazione non è concessa neppure a tutti i battezzati, ma soltanto a coloro che Dio ha scelto. Senza la Grazia, l’uomo non può volere e fare altro che male; con essa, invece, non può volere e fare altro che bene: questo forte accento sulla predestinazione ha fatto accostare il giansenismo al calvinismo. Altri suoi aspetti rilevanti sono il rigorismo morale e l’importanza fondamentale attribuita alla Bibbia e agli scritti dei Padri della Chiesa. 

La diffusione in Francia 
Il giansenismo, sviluppatosi inizialmente in Belgio e in Olanda, ebbe il suo centro nell’abbazia francese di Port-Royal, dove operarono il teologo Antoine Arnauld e il filosofo Blaise Pascal, e di lì si diffuse in tutto il paese, entrando in contrasto, oltre che con il Papato, anche con la monarchia francese; le monache di Port-Royal furono disperse con la forza nel 1709 e l’abbazia distrutta nel 1712. Tuttavia il giansenismo rimase vitale per tutto il XVIII secolo come movimento politico e culturale oltre che religioso, contestando il primato papale (in favore dell’autorità dei vescovi) e l’assolutismo monarchico, poiché si avvicinava all’opposizione parlamentare verso il re.

I colori della letteratura ed. NUOVO ESAME DI STATO - volume 2
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Dal Seicento al primo Ottocento