Anche in questo caso la strategia retorica dominante è l'ironia*. In tale chiave vanno lette l'umanizzazione e poi addirittura la divinizzazione della cagnetta: essa è de le
Grazie alunna (vv. 519 e 541); ai suoi guaiti risponde la ninfa Eco, emotivamente partecipe del suo dramma (a lei l'impietosita
Eco rispose, v. 529); come una divinità, infine, è placata soltanto da sacrifici umani (idol placato / da le vittime
umane, vv. 555-556). Non a caso, il servo che ha osato mancarle di rispetto viene definito empio (v. 542) e il suo piede sacrilego (v. 523).
Ironica è anche la ripresa di moduli propri dell'epica classica in riferimento a una materia non certo eroica, ma anzi decisamente prosaica se non addirittura comica: il modulo deprecativo del v. 503 (Pera
colui che), peraltro tipico della poesia pariniana (si trova per esempio al v. 25 della Salubrità
dell'aria, ► T2, p. 345); l'esclamazione ai vv. 517-518, con la ripetizione dello stesso termine (Or le sovviene il
giorno, / ahi fero
giorno!); la formula omerica della ripetizione del numero al v. 524 (tre volte
rotolò; tre volte
scosse), simmetricamente richiamata, in relazione non più alla cagnetta ma alla dama che risponde al suo grido d'aiuto, al v. 538 (chiamò tre volte la sua
cuccia); l'epiteto formulare de le Grazie
alunna, al v. 519 e poi di nuovo al v. 541.
Ancora, nella perifrasi* eufemistica – che rimanda all'ipocrita punto di vista della dama – con cui viene indicato il morso dato dalla vergine cuccia al servo (il piede / villan del
servo con l'eburneo dente / segnò di
lieve nota, vv. 520-522), si possono notare il valore nobilitante dell'aggettivo
eburneo, oltre che del singolare per il plurale (dente anziché "denti"), e l'attenuazione di derivazione classica di lieve
nota. Sarcastico, infine, è l'aggettivo pietose riferito alle dame al v. 549: la loro pietà, infatti, si esercita unicamente verso gli animali, tanto da esaurirsi prima di potersi indirizzare verso gli esseri umani.