D’altronde, l’interpretazione degli eventi umani è affidata esclusivamente all’intelligenza e alla perspicacia dell’individuo: privo di una salda coscienza religiosa, Ariosto esclude ogni intervento provvidenziale. Le vicende si svolgono tutte, per così dire, su un piano
terreno (eccezion fatta per l’episodio di Astolfo sulla Luna). Se l’assenza di un fine ultimo priva i paladini di un punto di arrivo definitivo, costringendoli a continui cambi di direzione, consente, d’altra parte, la loro libertà. Ma la libertà è anche un rischio, perché, quando diventa assoluta, può portare alla schiavitù delle passioni e degli istinti.
È tipico, quindi, vedere un cavaliere (magari impegnato in un duello con il nemico) che si distrae al passaggio di Angelica e abbandona le armi per intraprendere l’ennesimo inseguimento. Ed è altrettanto frequente veder prevalere la logica terrena su quella trascendente: nel poema Dio è lontano, non negato né discusso, ma semplicemente assente.
I personaggi non si muovono per rispondere a un progetto divino, ma spinti soltanto dalle passioni, dagli istinti e dall’amore per la vita.
A tale proposito appare significativa la salita di Astolfo sulla Luna per recuperare il senno smarrito da Orlando. Tale salita non rappresenta un movimento di tensione verso l’alto e verso la sede della verità, appare soltanto come una sorta di viaggio fantastico (non a caso Astolfo si muove a cavallo di esseri immaginari, magici destrieri alati) verso il mondo “alla rovescia” rappresentato dalla Luna, che contiene tutto ciò che, di umano, è stato smarrito sulla Terra.
Quello del poema ariostesco è dunque un universo laico, basato su una visione del mondo non più teocentrica (cioè con Dio al centro, come accadeva nel Medioevo), bensì antropocentrica (ovverosia con al centro l’uomo, padrone di sé e della propria esistenza, sebbene sottoposto a mille rischi e insidie).