Il Trecento – L'autore: Giovanni Boccaccio

L'AUTORE NEL TEMPO

Un successo immediato 
Le novelle di Boccaccio cominciano a circolare molto presto, prima ancora che il Decameron sia concluso. Ancora vivente l'autore, il suo libro ottiene una fortuna straordinaria, grazie alla capillare diffusione presso le classi mercantili dell'intera Europa. Il Decameron viene trascritto, tradotto e imitato. Evidentemente il pubblico dei lettori borghesi apprezza il fatto di ritrovare, nelle pagine di quel libro, sé stesso, le sue storie, i suoi valori, oltre ad altri temi di fantasia: l'opera assolve al duplice compito di far sì che i lettori vi si rispecchino e che ne siano piacevolmente intrattenuti. 

Le perplessità degli umanisti 
In epoca umanistica (XV secolo) il Decameron continua a essere letto e apprezzato da un vasto pubblico borghese, toscano ma non solo, alieno da intenti di formazione culturale, ma non viene allo stesso modo valorizzato dai letterati. Per gli umanisti, infatti, esso non partecipa del rinnovato culto della classicità, giacché si svolge sul piano immediato di una rappresentazione realistica. Presso i letterati del Quattrocento – almeno fino alla metà del secolo (cioè fino alla crisi del latino umanistico e alla diffusione del volgare) – a godere di maggiore fortuna sono i trattati in latino di Boccaccio. Casomai del Decameron si decide di tradurre in latino qualche novella: pratica, questa, inaugurata nel secolo precedente da Petrarca, che come si è visto nel 1373 aveva tradotto l'ultima novella della raccolta. 
Non mancano, tuttavia, altri autori che scrivono novelle in volgare, ispirandosi al Decameron, evidentemente riconosciuto come un modello: il Pecorone di ser Giovanni Fiorentino, le Novelle di Giovanni Sercambi e il Trecentonovelle di Franco Sacchetti. 

Il trionfo nel Rinascimento 
Il Cinquecento segna, anche sul piano critico, il trionfo di Boccaccio. La consacrazione viene sancita dalle Prose della volgar lingua di Pietro Bembo, il quale pone il Decameron come il modello di prosa volgare da imitare (allo stesso modo in cui addita nel Canzoniere di Petrarca il modello della lirica). Nel Decameron Bembo scorge il traguardo finale e perfetto di tutta la precedente produzione in volgare, anche laddove l'opera espone fatti licenziosi o situazioni realistiche, che contrastano con gli ideali di bellezza e armonia tipici del XVI secolo. 
Così la narrativa del Cinquecento (dalle Novelle di Matteo Bandello a Belfagor arcidiavolo di Niccolò Machiavelli, dagli Ecatommiti di Giambattista Giraldi Cinzio alle Piacevoli notti di Gianfrancesco Straparola) attinge a piene mani da Boccaccio: nella prima parte del secolo indirizzandosi soprattutto verso le novelle licenziose, nella seconda (nel clima di controllo morale tipico dell'età della Controriforma) rivolgendo la scelta a quelle più nobili e avventurose, mosse da propositi didascalici ed educativi. 
L'influsso di Boccaccio non si limita però alla narrativa in senso stretto, ma coinvolge la trattatistica (nel Galateo di Giovanni Della Casa vengono ripresi dal Decameron esempi di comportamenti quotidiani), l'epica cavalleresca (si pensi alle inserzioni novellistiche nella trama dell'Orlando furioso di Ludovico Ariosto) e il teatro (commedie come la Calandria del Bibbiena e Il filosofo di Pietro Aretino sono fondate su trame del Decameron). 

L'epurazione della Controriforma 
I profondi mutamenti socio-culturali legati al clima della Controriforma determinano, negli ultimi decenni del XVI secolo, una diversa, meno positiva valutazione dell'opera boccacciana. Il moralismo censorio controriformistico non può non esercitarsi su un testo come il Decameron, ricco di situazioni licenziose e di spunti anticlericali. 
Papa Pio V concede a Firenze il permesso della ristampa soltanto a patto che «per niuno modo si parlasse entro alle novelle in male o scandalo de' preti, frati, abbati, abbadesse, monaci, monache, piovani, proposti, vescovi o altre cose sacre; ma si mutassero i nomi o si facesse in altro modo»: il lavoro di epurazione, sostituzione e snaturamento (o di "rassettatura", come si diceva allora) a cui viene sottoposto il testo risulta impietoso. 

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Due secoli di oblio e la rivalutazione romantica 
Se il Seicento rappresenta senza dubbio il punto più basso della fortuna di Boccaccio, anche il Settecento non lo ama particolarmente: la sua opera rimane sostanzialmente lontana dalla cultura prima arcadica (l'Arcadia è un'accademia letteraria all'origine di un movimento che punta al recupero di temi e di stili classici) e poi illuminista. 
I temi del Decameron sono ritenuti troppo lascivi e superficiali, e anche lo stile viene tacciato di arcaismo. Qualche concessione viene fatta soltanto alla lingua boccacciana, disposta ad accogliere francesismi e provenzalismi, e dunque apprezzabile per questa sua apertura transnazionale (quello del cosmopolitismo è uno dei valori cardine della cultura illuministica). 
Con il Romanticismo, invece, si profila la definitiva rinascita della fortuna di Boccaccio. Nel 1825 Ugo Foscolo premette un importante intervento critico a un'edizione del Decameron da lui curata a Londra, un'introduzione nella quale mette in luce i pregi linguistici, stilistici e letterari della prosa boccacciana. Sebbene da lettore romantico egli giudichi piuttosto fredda la spinta fantastica dell'opera, tuttavia perviene a una valutazione positiva, anticipando nuove interpretazioni e nuovi apprezzamenti che la critica svilupperà e argomenterà soltanto nei decenni successivi. 
Con Francesco De Sanctis, nella seconda metà dell'Ottocento, si inizia ad avvicinare la storia della letteratura italiana alla storia più generale della civiltà. Entro tale lettura storiografica, Boccaccio – che viene dopo l'impegno morale di Dante e il tormento spirituale di Petrarca – appare quale testimone fedele dell'indifferenza della gente del suo tempo nei riguardi dei valori cristiani tradizionali. De Sanctis contrappone così la Divina Commedia di Dante a quella "commedia umana" che è il Decameron, presentato come il «teatro dei fatti umani abbandonati al libero arbitrio e guidati nei loro effetti dal caso». 

Boccaccio nel Novecento 
Il Novecento è il secolo dell'approfondimento critico dell'opera di Boccaccio, sia sul piano filologico (per allestire edizioni attendibili del Decameron, ma anche delle opere minori) sia su quello interpretativo. 
Nella prima metà del secolo Attilio Momigliano, superando la riduzione desanctisiana di Boccaccio ad autore comico e licenzioso, ne rivendica la serietà artistica e la «sapienza umana», cioè la raffinata capacità di indagine psicologica. In quegli stessi anni, tra il 1920 e il 1930, anche Benedetto Croce sottolinea la qualità estetica della rappresentazione del Decameron, un'opera che – scrive – ritrae «la vita nella sua varietà e nelle sue infinte gradazioni». Successivamente altri studiosi, tra i quali Vittore Branca e Mario Baratto, approfondiscono lo studio dei legami tra l'opera di Boccaccio e il suo tempo. 
Ma forse, più che i critici, sono stati gli scrittori a vivificare, negli ultimi decenni, l'immagine di Boccaccio, che ha trovato accoglienza nella letteratura, nell'arte, nel cinema e nel costume. Autori come i siciliani Vitaliano Brancati ed Ercole Patti hanno fatto interagire alcuni intrecci del novelliere trecentesco con i loro ricordi personali, nella chiave della satira sociale, mentre i napoletani Giuseppe Marotta e Domenico Rea hanno reinterpretato la carica di spregiudicatezza tipica dei personaggi decameroniani trasferendola nella loro città, insieme aristocratica e popolare. E non vanno dimenticati due scrittori quali Riccardo Bacchelli e Alberto Moravia, che hanno trovato nel realismo e nelle trame del capolavoro di Boccaccio diversi spunti per la loro produzione. 
Infine – a riprova della stimolante freschezza con cui viene recepito oggi il Decameron – va fatta menzione delle versioni delle novelle di Boccaccio in italiano contemporaneo realizzate da scrittori affermati come Piero Chiara, Aldo Busi e Bianca Pitzorno. 

I colori della letteratura ed. NUOVO ESAME DI STATO - volume 1
I colori della letteratura ed. NUOVO ESAME DI STATO - volume 1
Dalle origini al Cinquecento