In base a un'etimologia greca, il titolo Decameron (oggi è invalso l'uso di pronunciarlo Decàmeron, mentre in passato si diceva per lo più Decameròn, proprio in omaggio all'accentazione etimologica) significa "dieci
giorni". Esso indica la durata del primo dei piani narrativi: le dieci giornate durante le quali
dieci giovani narratori, tutti di condizione sociale elevata, rifugiatisi in una villa fuori
città per scampare all'infuriare della peste a Firenze nel
1348, decidono di trascorrere il tempo dell'"esilio" tra banchetti e feste, dedicandosi, inoltre, all'attività del narrare.
Si tratta di sette donne (Pampinea, Filomena, Elissa, Neifile, Emilia, Lauretta e Fiammetta) e tre
uomini (Panfilo, Filostrato e Dioneo). Essi passano insieme, in realtà, quattordici giorni, da un mercoledì al martedì di due settimane dopo, perché il venerdì e il sabato l'attività narrativa è sospesa per il riposo e la preghiera. Così vengono raccontate dieci novelle ogni giorno per dieci giorni, per un totale di cento.
Le sette ragazze e i tre ragazzi raccontano
quotidianamente una novella ciascuno, sotto il «reggimento» di un narratore diverso che
decide il tema della giornata, con le eccezioni della Prima e della Nona, entrambe a tema libero. Al solo Dioneo – tra i novellatori quello più "anarchico" e fuori dagli schemi – è consentito di trattare gli argomenti che preferisce (è il «privilegio di Dioneo»).
1 - Il titolo e la struttura
Il Trecento – L'opera: Decameron
PER APPROFONDIRE
Nomi e cognomi del Decameron
L’operaNoi lo chiamiamo semplicemente Decameron, ma in verità il titolo che Boccaccio assegna al proprio libro è piuttosto esteso: Comincia il libro chiamato Decameron, cognominato prencipe Galeotto, nel quale si contengono cento novelle in diece dì dette da sette donne e da tre giovani uomini. Soffermiamoci sulla prima parte. Se il titolo Decameron è, in qualche modo, il "nome" dell’opera, essa ha anche un "cognome". Quest’ultimo si riferisce al principe Galehaut, l’intermediario degli amori tra Lancillotto e Ginevra nella leggenda di re Artù. Ma Boccaccio si riferisce anche, con tutta evidenza, al celebre verso dantesco del canto V dell’Inferno (v. 137): «Galeotto fu ’l libro e chi lo scrisse». In tal modo, citando le parole di Francesca (che si riferiva alla lettura all’origine del primo bacio di Paolo), Boccaccio vuole indicare un’opera che si legge «per diletto», come accadeva in Dante (Inferno, V, 127). In questo caso, però, in un’accezione positiva, senza rischio di dannazione eterna.
Alcuni dei nomi dei membri della «brigata» sono ripresi dalla tradizione letteraria (per esempio Lauretta da Petrarca, mentre Elissa è la Didone virgiliana e Neifile, "la nuova innamorata", sembra celare un riferimento alla Vita nuova di Dante), altri da precedenti opere di Boccaccio (Fiammetta, Panfilo, Filostrato, Emilia, Filomena, Dioneo e Pampinea).
Ciascuno dei novellatori ha una personalità semplice, caratterizzata da pochi tratti: Panfilo è l’amante felice, Filostrato l’amante infelice, Dioneo (il cui nome deriva da Dione, la madre di Venere) è galante e lussurioso, Neifile sensuale e spensierata, Lauretta gelosa, Fiammetta è oggetto d’amore (ha il nome della donna amata da Boccaccio), Pampinea è "la rigogliosa", cioè un’amante opulenta e felice, Elissa la ragazza che ama senza essere ricambiata, Filomena l’amante ardente, Emilia, infine, la vanitosa e lusingatrice. I nomi dei personaggi delle novelle sono invece desunti per lo più dalla realtà storica o contemporanea.
Nelle introduzioni e nelle conclusioni delle giornate – oltre che nel Proemio – Boccaccio parla in prima persona come narratore eterodiegetico onnisciente (cioè esterno alla narrazione, che domina dall'alto in ogni suo aspetto), mentre nel resto del Decameron, vale a dire nelle novelle, cede la parola ai suoi personaggi-narratori.
2 II giardino del piacere
Nel Proemio è contenuta la dedica dell'opera alle donne innamorate: queste ultime appaiono a Boccaccio bisognose di conforto, giacché vivono in una perenne condizione di repressione («ristrette da' voleri, da' piaceri, da' comandamenti de' padri, delle madri, de' fratelli e de' mariti»); l'autore, che ricorda di avere sperimentato in prima persona la sofferenza d'amore, provando «compassione» verso le donne, dedica loro le cento novelle come un'occasione di svago e di consolazione.
Boccaccio afferma di volere così correggere «il peccato della fortuna», che ha posto le donne in una situazione di sottomissione alla volontà maschile, offrendo loro, con il suo libro, un piacevole passatempo. Poiché nel Medioevo le donne erano considerate persone prive di cultura, dedicare a loro la propria opera significava catalogarla come appartenente a un genere
minore: in questo senso si tratterebbe di una sorta di dichiarazione di modestia da parte dell'autore. Tuttavia sembra che sia anche presente, in Boccaccio, l'intenzione di individuare un
nuovo pubblico, un pubblico che legge per piacere e divertimento.
Prima ancora che le vicende, varie e multiformi, narrate nelle novelle, fulcro dell'opera è proprio questo piacere del racconto, cioè il piacere vicendevole del raccontare e del farsi raccontare delle storie.
Firenze è il luogo di una peste fisiologica e, metaforicamente, etica e sociale, perché l'epidemia, con i suoi molteplici effetti negativi, ha determinato nelle persone, accanto alla consunzione fisica, una profonda corruzione morale, minando le basi comuni del vivere civile.
Inoltre, come ha ben evidenziato lo studioso Mirko Bevilacqua, il giardino come luogo reale assurge a simbolo del prestigio sociale della vecchia aristocrazia e della nuova borghesia fiorentina (in quanto i loro membri sono possessori di ville nel contado); come luogo immaginario è quello in cui si realizzano la produzione, il consumo e la ricezione dell'opera letteraria (le novelle), mentre la «brigata» dei narratori svolge, a sua volta, il doppio ruolo di produttrice e fruitrice dell'opera. Ed è il giardino, come luogo del «novellare», a determinare i contenuti stessi delle novelle, ognuna delle quali intrattiene precisi legami semantici con il giardino, vera e propria struttura ideologico-formale del Decameron.
Tra la fine del Trecento e l'inizio del Quattrocento, alcuni temi delle novelle del Decameron, soprattutto quelli legati alla castità e all'esaltazione delle virtù femminili, divennero le figurazioni predilette di un particolare oggetto di arredamento delle case fiorentine, il cassone nuziale, all'interno del quale, in occasione delle nozze, la sposa trasportava in casa del marito il corredo. Le figurazioni del cassone dovevano servire da buon auspicio e insieme fornire una sorta di codice morale che la donna era tenuta a seguire. La novella di Griselda è in questo senso emblematica: l'umile guardiana di pecore, scelta come sposa dal signore del luogo, per tredici anni è sottoposta dal marito a prove crudeli e umilianti. Le vicende della donna sono raffigurate in dettaglio in alcune tavole del pittore fiorentino Francesco di Stefano, detto Pesellino, che provengono da un cassone eseguito intorno alla metà del XV secolo e oggi smembrato. Nella prima scena della storia, a sinistra, sullo sfondo di un porticato cittadino, Gualtieri, marchese di Saluzzo, elegantemente vestito e con un ampio cappello, sta conversando con alcuni cavalieri, che lo incitano a trovarsi una compagna. Al centro della tavola, il marchese ha seguito in campagna Griselda la quale, mentre procede con una brocca sulla testa e con un abito verde che ne esalta la figura sinuosa, ha avvertito la presenza dell'uomo a cavallo dietro di lei e si volta a guardarlo. A destra, Gualtieri, sempre riconoscibile per il largo cappello, sposa Griselda, spogliatasi dei suoi abiti di pastorella.
I colori della letteratura ed. NUOVO ESAME DI STATO - volume 1
Dalle origini al Cinquecento