Così nel mio parlar voglio esser aspro
Rime
Rime
Così nel mio parlar voglio esser aspro
com’è ne li atti questa bella petra,
la quale ognora impetra
maggior durezza e più natura cruda,
5 e veste sua persona d’un dïaspro
tal che per lui, o perch’ella s’arretra,
non esce di faretra
saetta che già mai la colga ignuda;
ed ella ancide, e non val ch’om si chiuda
10 né si dilunghi da’ colpi mortali,
che, com’avesser ali,
giungono altrui e spezzan ciascun’arme:
sì ch’io non so da lei né posso atarme.
Non trovo scudo ch’ella non mi spezzi
15 né loco che dal suo viso m’asconda;
ché, come fior di fronda,
così de la mia mente tien la cima.
Cotanto del mio mal par che si prezzi,
quanto legno di mar che non lieva onda;
20 e ’l peso che m’affonda
è tal che non potrebbe adequar rima.
Ahi angosciosa e dispietata lima
che sordamente la mia vita scemi,
perché non ti ritemi
25 sì di rodermi il core a scorza a scorza
com’io di dire altrui chi ti dà forza?
Ché più mi triema il cor qualora io penso
di lei in parte ov’altri li occhi induca,
per tema non traluca
30 lo mio penser di fuor sì che si scopra,
ch’io non fo de la morte, che ogni senso
co li denti d’Amor già mi manduca:
ciò è che ’l pensier bruca
la lor vertù, sì che n’allenta l’opra.
35 E’ m’ha percosso in terra, e stammi sopra
con quella spada ond’elli ancise Dido,
Amore, a cui io grido
merzé chiamando, e umilmente il priego:
ed el d’ogni merzé par messo al niego.
Egli alza ad ora ad or la mano, e sfida
la debole mia vita, esto perverso,
che disteso a riverso
mi tiene in terra d’ogni guizzo stanco:
allor mi surgon ne la mente strida;
45 e ’l sangue, ch’è per le vene disperso,
fuggendo corre verso
lo cor, che ’l chiama; ond’io rimango bianco.
Elli mi fiede sotto il braccio manco
sì forte che ’l dolor nel cor rimbalza:
50 allor dico: «S’elli alza
un’altra volta, Morte m’avrà chiuso
prima che ’l colpo sia disceso giuso».
Così vedess’io lui fender per mezzo
lo core a la crudele che ’l mio squatra;
55 poi non mi sarebb’atra
la morte, ov’io per sua bellezza corro:
ché tanto dà nel sol quanto nel rezzo
questa scherana micidiale e latra.
Omè, perché non latra
60 per me, com’io per lei, nel caldo borro?
ché tosto griderei: «Io vi soccorro»;
e fare ’l volentier, sì come quelli
che ne’ biondi capelli
ch’Amor per consumarmi increspa e dora
65 metterei mano, e piacere ’le allora.
S’io avessi le belle trecce prese,
che fatte son per me scudiscio e ferza,
pigliandole anzi terza,
con esse passerei vespero e squille:
70 e non sarei pietoso né cortese,
anzi farei com’orso quando scherza;
e se Amor me ne sferza,
io mi vendicherei di più di mille.
Ancor ne li occhi, ond’escon le faville
75 che m’infiammano il cor, ch’io porto anciso,
guarderei presso e fiso,
per vendicar lo fuggir che mi face;
e poi le renderei con amor pace.
Canzon, vattene dritto a quella donna
80 che m’ha ferito il core e che m’invola
quello ond’io ho più gola,
e dàlle per lo cor d’una saetta,
ché bell’onor s’acquista in far vendetta.
1 Riassumi il contenuto del componimento in circa 5 righe.
2 Come si comporta la donna nei confronti del poeta? E come si comporta quest’ultimo nei confronti di lei?
3 Spiega il perché dell’espressione questa bella petra (v. 2).
4 Al v. 19 legno è usato come figura retorica: quale?
5 Individua alcune parole ed espressioni che contribuiscono a rendere “aspra” la scrittura di Dante.
6 Dal punto di vista metrico di quale tipo di componimento si tratta? Fornisci lo schema delle rime.
Scegli e sviluppa una delle seguenti tracce.
Vita nuova, 21
Collocata subito dopo la canzone Donne ch’avete intelletto d’amore (cap. 19), è una delle rime in lode di Beatrice. Il poeta descrive la capacità della donna amata di suscitare sentimenti anche sui cuori meno nobili.
Ne li occhi porta la mia donna Amore,
per che si fa gentil ciò ch’ella mira;
ov’ella passa, ogn’om ver lei si gira,
4 e cui saluta fa tremar lo core,
sì che, bassando il viso, tutto smore,
e d’ogni suo difetto allor sospira:
fugge dinanzi a lei superbia ed ira.
8 Aiutatemi, donne, farle onore.
Ogne dolcezza, ogne pensero umile
nasce nel core a chi parlar la sente,
11 ond’è laudato chi prima la vide.
Quel ch’ella par quando un poco sorride,
non si pò dicer né tenere a mente,
14 sì è novo miracolo e gentile.
1 Fai la parafrasi del componimento.
2 Elenca le azioni compiute dalla donna.
3 Quali sono gli effetti prodotti dalla donna su chi la incontra?
4 L’espressione ella par (v. 12) ricorda un’immagine simile presente in Tanto gentile e tanto onesta pare. Quale collegamento è possibile istituire tra i due testi?
5 Il v. 13 allude a un motivo chiave della poetica stilnovistica: l’ineffabilità dell’amore. Illustra questa tematica, a partire dal presente componimento.
6 Quali funzioni vengono attribuite alla donna?
Rifletti sul motivo degli occhi presente in questo componimento dantesco e mettilo a confronto con quello delle poesie di Guido Cavalcanti. A partire da tali osservazioni, sviluppa un commento che illustri la teoria amorosa stilnovistica e che argomenti il tuo pensiero rispetto a essa, facendo riferimento anche a testi e canzoni che fanno parte del tuo personale bagaglio.
Il seguente brano del critico letterario Filippo La Porta (n. 1952) rilegge la concezione dantesca del peccato sullo sfondo di alcune questioni, etiche e sociali, oggetto di dibattito nel mondo di oggi.
L’uomo contemporaneo è incapace di “fermarsi” e, anzi, non vede perché dovrebbe
farlo (si tratti della soddisfazione immediata di un istinto o della sperimentazione
sugli embrioni o del saccheggio della natura). In nome di che cosa: di
Dio? Del sacro? Di un ordine metafisico? Dell’utilità collettiva? Della felicità del
5 maggior numero di persone? Della razionalità della Storia? Del futuro delle nuove
generazioni? In Dante il peccato nasce proprio dal non sapersi fermare, dall’indiscrezione
(intesa in un senso forte, etimologico: incapacità di discernere – di
distinguere tra sé e l’altro –, mancanza di misura), dalla hybris, dall’oltrepassare un
limite (Ulisse). Non si tratta tanto e solo di impulsività, di offuscamento a causa
10 di un desiderio impellente.
E, anzi, nella prima cantica l’incontinenza, che riguarda lussuriosi, golosi e
iracondi, viene considerata meno grave («e come incontenenza / men Dio offende
e men biasimo accatta»1, Inf. XI, 83-84) rispetto ai peccati di “malizia”, e cioè
di consenso all’azione cattiva, di malvagità consapevole, attraverso il calcolo e la
15 riflessione (e infatti la malizia è punita nel basso inferno, in Malebolge). Piuttosto
qui Dante si riferisce all’attitudine a giustificare razionalmente ogni desiderio.
La malizia è sempre intenzionale e implica un’offesa al prossimo (per san Tommaso
chi pecca per malizia pecca più gravemente di chi pecca per debolezza: c’è
volontà e abitudine, come puntualizza nel De malo.2 Ricordo solo come l’originaria
20 tripartizione aristotelica di incontinenza, malizia e («matta bestialitade» (Inf. XI,
82-83) si traduca poi in una bipartizione ciceroniana di incontinenza e malizia,
laddove quest’ultima si esercita sia con la violenza – bestialità, appunto – sia con
la frode.
Così Francesca, nel canto V dell’Inferno, è punita non solo perché ha peccato di
25 lussuria (di incontinenza), violando l’etica civile (che fonda ogni convivenza), e
perché, come vedremo, la sua passione ha una natura libresca, ma anche in quanto
continua a rivendicare ancora il suo peccato e a protestare la propria innocenza
(galeotto fu il libro, lei è senza colpa); giustifica l’incontinenza in modo intellettualistico,
capzioso, utilizzando la sua abilità retorica, attraverso un sillogismo che
30 sembrerebbe inconfutabile, richiamandosi cioè a una necessità assoluta (la corrispondenza
amorosa).
Il diavolo, lo abbiamo visto, è loico.3 E quando l’«argomento de la mente»
si aggiunge al «mal volere» e alla «possa», non c’è rimedio (Inf. XXXI, 55-56).
[...]
35 Oggi l’intera cultura di massa ci spinge continuamente a non trattenerci mai, ad
appagare tutti i desideri, a riconoscere qualsiasi limite come intollerabile censura:
“Just do it”, esorta la Nike, mentre lo slogan dell’Ikea è: “Vivere a modo tuo!”
La controcultura libertaria degli anni Sessanta – “proibito proibire” – stabilisce
una perversa alleanza con il mercato. Perché dovrebbe fermarsi chi approfitta del
40 potere che gli conferisce il suo ruolo professionale (sia egli un medico o un politico
o un giudice)? Perché dovrebbe fermarsi uno scienziato che sperimenta la
clonazione umana (formalmente vietata da tutte le legislazioni)? Ci si dovrebbe
fermare non per un imperativo categorico o per obbedire a un qualche principio
(e neanche solo perché lo vietano le leggi), ma perché altrimenti, se non ci fermiamo,
45 sentiremmo di violare un confine invisibile e di entrare nell’irrealtà. Proprio
perché la realtà è riconoscere un limite, il limite del proprio io, che è soltanto una
parte e non il tutto.
Filippo La Porta, Il bene e gli altri. Dante e un’etica per il nuovo millennio, Bompiani, Milano 2018
1 Il critico inaugura il proprio discorso affermando che l’uomo contemporaneo è incapace di “fermarsi” (r. 1). Che cosa intende dire?
2 Perché l’autore cita la sperimentazione sugli embrioni? Come esempio di che cosa?
3 Quale tendenza dell’animo e della ragione umana viene considerata più peccaminosa da Dante?
4 Qual è il peccato più grave di Francesca? Di quale colpa si è macchiata agli occhi di Dante?
5 Secondo l’autore, il diavolo possiede un’attitudine raziocinante. Come manifesta questo suo carattere?
6 A quale fine vengono citati due slogan pubblicitari di famosi marchi commerciali?
7 Qual è, secondo l’autore, il rapporto tra “controcultura libertaria” e mercato?
8 Qual è la lezione che Dante impartisce a noi contemporanei? Riassumila in non più di cinque righe.
Scrive Filippo La Porta: Oggi l’intera cultura di massa ci spinge continuamente a non trattenerci mai, ad appagare tutti i desideri, a riconoscere qualsiasi limite come intollerabile censura (rr. 35-36). Sei d’accordo con questa affermazione oppure no? Sviluppa il tuo ragionamento toccando, a supporto della tua tesi, i seguenti temi:
I colori della letteratura ed. NUOVO ESAME DI STATO - volume 1
Dalle origini al Cinquecento