L’Inferno

Le origini e il Duecento – L'opera: Divina Commedia

L’Inferno

La discesa nell’Inferno mette Dante nella condizione di vedere quale sia il destino dei peccatori, che egli incontra suddivisi in nove cerchi concentrici, sempre più piccoli: l’Inferno si presenta, infatti, come un cono rovesciato, formato dalla Terra stessa per evitare il contatto con Lucifero, un tempo il più caro a Dio tra gli angeli, il quale, macchiatosi del peccato di superbia, fu scaraventato nel centro del pianeta, dove rimase conficcato all’altezza della vita.

I cerchi dell’Inferno sono popolati dalle anime dei peccatori, che scontano una pena comminata sulla base della legge del contrappasso , per la quale esse subiscono un tormento che – per antitesi o per analogia – richiama il peccato compiuto.
Tuttavia le pene infernali non sono di tipo soltanto materiale, bensì anche morale: privati della grazia del pentimento, i dannati persistono nelle passioni malvagie che in vita li hanno corrotti e che, eternamente insoddisfatte, diventano a loro volta fonte di rabbia e angoscia. La gravità dei peccati aumenta a mano a mano che ci si avvicina al centro della Terra, e ci si allontana, quindi, dal cielo.

La visita dei gironi infernali colpisce nel profondo Dante, che si trova spesso nella condizione di excessus mentis (cioè del venir meno della coscienza, per esempio attraverso gli svenimenti): da una parte perché l’esperienza vissuta dal personaggio è davvero sconvolgente, dall’altra perché l’autore ha talvolta bisogno di una sorta di effetto speciale di tipo narrativo per passare da un cerchio all’altro.

Dopo una zona chiamata comunemente dai commentatori “vestibolo” o Antinferno, dove sono puniti gli ignavi (vale a dire i pusillanimi, condannati a correre incessantemente dietro a uno stendardo e a essere martoriati da vespe e mosconi), troviamo il fiume Acheronte, presso le cui sponde si raccolgono tutte le anime dannate che poi il demonio Caronte (il nocchiero infernale) trasporta su una barca da una riva all’altra.
Il primo cerchio è costituito dal Limbo, dove sono le anime dei bambini morti prima di avere ricevuto il battesimo e di coloro che, virtuosi, vissero prima della venuta di Cristo (eccetto gli antichi del “popolo eletto” che credettero nella venuta del Messia, liberati dal Limbo da Gesù dopo la sua resurrezione con la discesa agli Inferi). Una particolare categoria di abitanti del Limbo è costituita dai grandi dell’antichità (scrittori, filosofi ed eroi), ospitati in un castello sfolgorante di luce: da qui proviene Virgilio, la guida di Dante. La pena del Limbo non è di tipo materiale, ma puramente morale: il desiderio (senza speranza di realizzazione) di vedere Dio.
Dopo il Limbo ha inizio l’Inferno vero e proprio, diviso in due parti. Nella prima (cerchi 2-5), detta alto Inferno, sono puniti i peccati di incontinenza cioè l’incapacità di dominare le passioni (meno gravi); nella seconda (cerchi 6-9), detta basso Inferno, sono puniti i peccati di malizia, cioè di malvagità (più gravi). L’alto e il basso Inferno sono separati dalle mura della città di Dite.

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Nel secondo cerchio, guardato da Minosse (che esamina e giudica le colpe di tutti i peccatori), sono condannati i lussuriosi, battuti e travolti da una tremenda bufera.
Nel terzo cerchio, sotto una lurida pioggia mista di acqua e fango, sono puniti i golosi, sorvegliati e straziati da Cerbero, mostro dalle tre teste.
Nel quarto cerchio, guardato da Plutone (il dio pagano della ricchezza, qui un demone), stanno gli avari e i prodighi, costretti a spingere con il petto enormi massi e a insultarsi continuamente a vicenda.
Il quinto cerchio è costituito dalla palude Stigia, dove gli iracondi e gli accidiosi, immersi nel fango, si straziano crudelmente tra di loro, gorgogliando parole di dolore che fanno ribollire l’acqua in superficie. Il traghettatore Flegias vigila dall’alto della sua navicella.
Nel sesto cerchio (e siamo così nel basso Inferno), dentro le mura della città di Dite sorvegliate dalle Furie, sono puniti gli eretici, posti in tombe infuocate.
Nel settimo cerchio, guardati dal Minotauro, stanno i violenti, distribuiti in tre gironi: 1) violenti contro il prossimo e le sue sostanze (tiranni, omicidi, predoni), immersi nel sangue bollente del Flegetonte e colpiti con saette dai centauri; 2) violenti contro sé stessi e le proprie sostanze (suicidi e scialacquatori), i primi trasformati nelle piante di una selva, i secondi costretti a correre attraverso di essa inseguiti da cagne fameliche; 3) violenti contro Dio (bestemmiatori), natura (sodomiti) e arte (usurai), condannati a un deserto su cui si riversa una pioggia di fuoco.
Nell’ottavo cerchio (Malebolge), diviso in dieci bolge, con a guardia il mostro Gerione, simbolo dell’inganno, sono condannate dieci specie di fraudolenti: 1) ruffiani e seduttori: sferzati da demoni; 2) adulatori: tuffati nel letame; 3) simoniaci (coloro che hanno fatto commercio delle cose sacre): conficcati a terra con la testa all’ingiù e con le piante dei piedi bruciate da fiamme; 4) indovini: con il volto girato dalla parte della schiena; 5) barattieri (coloro che si sono arricchiti illecitamente in virtù degli incarichi pubblici ricoperti): immersi nella pece bollente e uncinati da diavoli; 6) ipocriti: gravati da pesantissime cappe di piombo dorate e costretti a camminare lentissimamente; 7) ladri: continuamente trasformati in serpenti e altri esseri mostruosi; 8) consiglieri fraudolenti: avvolti da fiamme; 9) seminatori di scandali e scismi: straziati da un demonio a colpi di spada; 10) falsari: lebbrosi, rabbiosi, idropici (malati di idropisia), febbricitanti.
Nel nono e ultimo cerchio, formato da un lago (il Cocito) ghiacciato dal vento freddo prodotto dall’agitarsi delle ali di Lucifero, sono puniti i traditori, divisi in quattro zone concentriche che prendono il nome da personaggi dell’antichità tristemente famosi: 1) Caina (da Caino, assassino del fratello Abele): traditori dei parenti; 2) Antenora (da Antenore, l’eroe troiano che, secondo una leggenda medievale, avrebbe consegnato ai greci il Palladio, la statua di Atena che garantiva protezione alla città): traditori della patria; 3) Tolomea (da Tolomeo di Gerico, personaggio biblico che uccise alcuni parenti durante un banchetto; secondo altri, da Tolomeo re d’Egitto, che fece assassinare Pompeo, rifugiatosi presso di lui per sfuggire a Cesare): traditori degli ospiti; 4) Giudecca (da Giuda, il traditore di Cristo): traditori dei benefattori.
Confitto al centro è Lucifero, con tre facce; ognuna delle sue orribili bocche stritola e maciulla con i denti un traditore: Giuda (traditore di Cristo), Bruto e Cassio (traditori di Cesare, simbolo dell’autorità imperiale).

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Il Purgatorio

Dopo la visione terribile di Lucifero, Dante e Virgilio passano attraverso il centro della Terra per approdare alla base della montagna del Purgatorio, formata dall’accumulo della terra ritiratasi per evitare il contatto con Lucifero; sulla vetta, piatta, è la sede dell’Eden (o Paradiso terrestre).

L’isola è sorvegliata da Catone l’Uticense: Dante lo assume, sebbene suicida, quale simbolo della libertà interiore (perché ha preferito la morte al vivere in uno Stato privo di libertà), che rimanda alla libertà dal peccato, obiettivo perseguito dalle anime purganti. Anche nel Purgatorio le anime espiano le loro colpe sulla base della legge del contrappasso, mediante atti di penitenza opposti ai peccati commessi.
Le anime passano in tutte le cornici (disposte, specularmente all’Inferno, dal peccato più grave al meno grave), ma si soffermano solo in quelle in cui devono scontare i peccati compiuti in vita. Tutte quante gioiscono ogniqualvolta una di loro è pronta a salire in Paradiso: tale evento è segnalato da una sorta di terremoto che scuote la montagna del Purgatorio.
Il Purgatorio, unico dei tre regni, ha caratteristiche “umane”: vi scorre il tempo, vi è condivisione delle esperienze, vi sono paesaggi realistici. Qui, in almeno due occasioni, Dante partecipa in modo molto sentito alle pene scontate dalle anime purganti, camminando e pregando con loro: nella cornice dei superbi e in quella dei lussuriosi, rispettivamente la prima e l’ultima, quasi a voler sottolineare la chiara consapevolezza della propria fragilità umana.

Dopo che i due hanno visitato le sette cornici in cui è suddivisa la montagna, Virgilio deve lasciare Dante perché, non avendo ricevuto il battesimo, non può salire oltre. Sulla sommità del monte il poeta incontra finalmente Beatrice, che lo condurrà in Paradiso, non prima però che egli abbia compiuto un rito di purificazione che si svolge nel Paradiso terrestre, una tappa comune a tutte le anime pronte alla salita in Cielo.

Le sette cornici del Purgatorio, a ciascuna delle quali è preposto un angelo che rappresenta la virtù opposta al peccato punito, sono precedute da un Antipurgatorio e sovrastate dal Paradiso terrestre.
Nell’Antipurgatorio sono relegati quattro gruppi di peccatori negligenti a pentirsi, cioè riconciliatisi con Dio soltanto negli ultimi momenti della loro vita: i morti scomunicati, i pigri, i morti di morte violenta, i principi negligenti. Essi rimangono nell’Antipurgatorio tanti anni quanti hanno vissuto, tranne i morti scomunicati, che vi debbono rimanere trenta volte gli anni in cui hanno vissuto sotto scomunica.
Le sette cornici possono essere raggruppate in tre specifici gruppi relativi alle caratteristiche (origine e qualità) delle colpe che vi si espiano: peccati commessi rispettivamente per amore rivolto al male (cornici 1-3), scarso amore del bene (cornice 4), smodato amore dei beni terreni (cornici 5-7).
Nella prima cornice, tutta istoriata sulle pareti e sul pavimento con esempi di umiltà premiata e di superbia punita, espiano la loro colpa i superbi, costretti a camminare ricurvi sotto pesanti macigni. Vi si trova l’Angelo dell’umiltà.
Nella seconda cornice sono puniti gli invidiosi, addossati gli uni agli altri, ricoperti di un vile cilicio e con le palpebre cucite con filo di ferro. In alto risuonano voci misteriose di amore e di carità verso il prossimo e si ricordano esempi di invidia punita. Vi si trova l’Angelo della misericordia.
Nella terza cornice, in cui appaiono visioni di mansuetudine e di ira punita, espiano la loro colpa gli iracondi, costretti ad aggirarsi in mezzo a un fumo denso che li acceca e li affanna. Vi si trova l’Angelo della pace.

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Nella quarta cornice sono gli accidiosi, cioè coloro i quali ebbero scarso amore verso le cose divine, che corrono incessantemente e ascoltano esempi di sollecitudine e di accidia punita, recitati da alcuni di loro. Vi si trova l’Angelo della sollecitudine.
Nella quinta cornice troviamo gli avari e i prodighi, che giacciono bocconi con mani e piedi legati, ascoltando esempi di liberalità e di avarizia punita, gridati da alcuni di loro. Vi si trova l’Angelo della giustizia.
Nella sesta cornice stanno i golosi, pallidi, magrissimi, tormentati da lungo digiuno. Da due alberi carichi di frutti profumati escono voci che gridano in un caso esempi di astinenza, nell’altro di intemperanza. Vi si trova l’Angelo della temperanza.
Nella settima cornice, l’ultima, in mezzo a fiamme ardenti, proclamano esempi di castità i lussuriosi. Vi si trova l’Angelo della castità.
Dalla settima cornice si passa al Paradiso terrestre, una selva verdeggiante e fiorita, luogo di ogni delizia, attraversato da due limpidi fiumi, il Lete e l’Eunoè, dove si immergono e bevono le anime, dopo aver espiato le loro colpe, prima di salire al Paradiso celeste. Il Lete cancella il ricordo del male, l’Eunoè ravviva quello del bene.

Il Paradiso

Di tutt’altro tenore è l’esperienza vissuta da Dante in Paradiso, dove una luce progressivamente più forte lo accompagna, con la guida di Beatrice, a una finale e rapidissima visione di Dio, che l’autore confesserà di non avere gli strumenti per descrivere in modo adeguato. È proprio la potenza dello sguardo di Beatrice a consentirgli di essere trasportato di cielo in cielo sino all’Empireo: il cielo incorporeo, immobile, infinito, sede del Paradiso celeste.

Gli altri cieli, tra loro concentrici, sono invece corporei, mobili e finiti; girano su sé stessi tanto più velocemente quanto più sono vicini all’Empireo e quindi a Dio. A ciascun cielo è preposto un coro angelico.
Le anime dei beati si mostrano a Dante nei diversi cieli dove egli di volta in volta si trova (ciascuna nel cielo che rappresenta la sua specifica e peculiare virtù morale), ma hanno tutte la loro sede nell’Empireo. Esse appaiono sempre in forma di luci, tanto più splendenti quanto più si avvicinano a Dio.

L’atmosfera del Paradiso – regno eterno, nel quale, come nell’Inferno, è assente lo scorrere del tempo – è molto più rarefatta e astratta; assai meno numerose sono le anime incontrate da Dante; più complessi, sia linguisticamente sia per quanto riguarda i contenuti, i dialoghi con i beati; più lunga e meditata la sosta nei vari cieli.
La salita attraverso i cieli avviene senza che il poeta-pellegrino ne abbia alcuna percezione fisica, sebbene egli compia tutto il viaggio con il suo corpo mortale, particolare costantemente ricordato ai lettori.

Nel primo cielo, quello della Luna (mosso dalla gerarchia celeste degli angeli), appaiono, sotto forma di immagini riflesse, le anime di coloro che vennero meno involontariamente ai voti religiosi.
Nel secondo cielo, quello di Mercurio (mosso dalla gerarchia angelica degli arcangeli), si mostrano gli spiriti di coloro che operarono virtuosamente per amore di fama e di onore nel mondo.
Nel terzo cielo, quello di Venere (mosso dalla gerarchia angelica dei principati), si trovano le luci degli spiriti amanti.
Nel quarto cielo, quello del Sole (mosso dalla gerarchia angelica delle podestà), emettono il loro splendore gli spiriti sapienti (dottori in filosofia e in teologia).

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Nel quinto cielo, quello di Marte (mosso dalla gerarchia angelica delle virtù), fiammeggiano gli spiriti dei guerrieri che combatterono per la fede in Cristo.
Nel sesto cielo, quello di Giove (mosso dalla gerarchia angelica delle dominazioni), sprigionano la loro luminosità gli spiriti giusti, che, per parlare a Dante, si dispongono in forma di aquila (simbolo della giustizia e dell’Impero).
Nel settimo cielo, quello di Saturno (mosso dalla gerarchia dei troni), appaiono, disposte lungo una scala altissima di cui non si vede la fine, le luci degli spiriti contemplanti.
Nell’ottavo cielo, quello delle stelle fisse (mosso dalla gerarchia angelica dei cherubini), Dante contempla il trionfo di Cristo e di Maria. Da san Pietro, san Giacomo e san Giovanni Evangelista viene esaminato sulle virtù teologali.
Nel nono cielo, detto cristallino o Primo Mobile (mosso dalla gerarchia angelica dei serafini), il poeta vede i nove cori angelici che ruotano con rapidità e splendore intorno a un punto luminosissimo che è Dio.
Nell’Empireo, dove può abbracciare con lo sguardo tutto il Paradiso «in forma […] di candida rosa», Dante ha finalmente la visione suprema di Dio e del mistero della Trinità.

Le simmetrie e la numerologia

Quando si percorre la Divina Commedia dall’inizio alla fine, ci si rende conto della straordinaria e complessa coerenza del suo organismo compositivo.

Dante ha immaginato un mondo ultraterreno ordinato e coerente, in cui tutte le parti si rispondono a vicenda: tale armonia è lo specchio di quell’ordine cosmico di cui Dio stesso è garante.
Quest’ordine intrinseco alla creazione divina è reso da Dante, sul piano letterario, attraverso una serie di artifici narrativi, spesso giocati sulla simmetria. Per esempio il Purgatorio rappresenta un simmetrico rovesciamento dell’Inferno: la forma (conica) e le dimensioni sono le stesse; entrambi presentano una selva (la «selva oscura» dell’inizio dell’Inferno e il Paradiso terrestre alla sommità del Purgatorio).
Anche nella struttura della Commedia esistono precisi rimandi tra l’Inferno e il Paradiso: in entrambe le cantiche i primi personaggi con cui Dante parla sono donne, Francesca nell’Inferno e Piccarda Donati nel Paradiso.
Altri legami ancora uniscono le tre cantiche: Inferno, Purgatorio e Paradiso si concludono con la parola «stelle»; tutti i canti sesti sono dedicati a tematiche politiche, in base a un progressivo allargarsi della visuale (nel canto VI dell’Inferno si parla di Firenze, nel VI del Purgatorio dell’Italia e nel VI del Paradiso dell’Impero).

È importante notare anche la fitta simbologia numerologica. I numeri fondamentali del poema sono l’1 e il 3: sono i numeri di Dio, che in base alla teologia cristiana è uno e trino. Altri numeri significativi sono il 9 e il 10: 9 è 3 al quadrato; 10 è 9+1 (cioè la completezza).
Tali numeri vengono chiaramente ripresi nella struttura dell’opera: come abbiamo visto, il metro è la terzina (una strofa di 3 versi); le cantiche sono 3; i canti di ogni cantica 33, più uno di introduzione generale al poema (così 100 sono i canti in totale: 10 al quadrato).
Anche sul piano della costruzione fisico-morale dei 3 regni torna la stessa numerologia. Ogni regno è infatti suddiviso in 10 zone: nell’Inferno abbiamo l’Antinferno più 9 cerchi; nel Purgatorio le 3 zone dell’Antipurgatorio (poiché la prima delle 4 zone dell’Antipurgatorio è in realtà una spiaggia ai piedi del monte) più le 7 cornici (7, peraltro, sono i peccati capitali e le virtù, 4 cardinali e 3 teologali); nel Paradiso 9 cieli più l’Empireo.

I colori della letteratura ed. NUOVO ESAME DI STATO - volume 1
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Dalle origini al Cinquecento