T13 - L’infinito

T13

L’infinito

Canti, 12

Questa celebre lirica, composta nel 1819, apre la serie dei cinque “piccoli idilli”. Essa non descrive e non racconta situazioni o fatti specifici, ma si presenta piuttosto come la rivelazione di un momento intimo della vita spirituale del poeta, che è indotto dalla presenza di un limite (la siepe che impedisce la visione di ciò che sta al di là) a spaziare senza confini con l’immaginazione, figurandosi cose che non troverebbe nella realtà se la vista potesse estendersi liberamente.


Metro Endecasillabi sciolti

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Audiolettura

Sempre caro mi fu quest’ermo colle,

e questa siepe, che da tanta parte

dell’ultimo orizzonte il guardo esclude.

Ma sedendo e mirando, interminati

5      spazi di là da quella, e sovrumani

silenzi, e profondissima quiete

io nel pensier mi fingo; ove per poco

il cor non si spaura. E come il vento

odo stormir tra queste piante, io quello

10    infinito silenzio a questa voce

vo comparando: e mi sovvien l’eterno,

e le morte stagioni, e la presente

e viva, e il suon di lei. Così tra questa

immensità s’annega il pensier mio:

15    e il naufragar m’è dolce in questo mare.

Dentro il TESTO

I contenuti tematici

Nello spazio di quindici versi, la poesia racchiude un’esperienza del pensiero e una sublime sensazione dell’anima, preannunciandole nel titolo e riaffermandole nel corso dello svolgimento (infinito silenzio, v. 10; l’eterno, v. 11; immensità, v. 14). Al poeta, solo sul monte Tabor a Recanati, una collina dove pare si recasse spesso a meditare, una siepe impedisce la vista di buona parte dell’orizzonte: è proprio questo ostacolo tuttavia a suscitare in lui l’immaginazione di ciò che sta al di là e, al contempo, la riflessione, tipica della filosofia sensistica, sull’ebbrezza dello smarrirsi in un’immensità che si può percepire senza poterla abbracciare.

Leopardi esprime all’inizio il passaggio dallo spazio circoscritto allo spazio indefinito (interminati / spazi, vv. 4-5): la siepe infatti gli limita la visuale, ma gli rende più facile il fantasticare; essa rappresenta una barriera tra lui e il mondo esterno, capace però di innescare la fantasia e attivare un gioco o, se si preferisce, un percorso della mente, illusorio ma fonte di inesauribile piacere. Stando seduto a osservare, il poeta immagina, oltre la siepe, spazi smisurati, silenzi che superano ogni possibilità di comprensione da parte dell’essere umano e una quiete assoluta. In tale percezione di un’esperienza straordinaria, il cuore prova un senso di inebriante smarrimento (ove per poco / il cor non si spaura, vv. 7-8).

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Il v. 8 – spezzato a metà, con forte cesura*, dal punto fermo e dalla successiva congiunzione E (E come il vento) – divide in modo netto il componimento e introduce il recupero anche della dimensione dell’infinito sul piano temporale. L’improvviso stormire del vento tra le foglie riporta il poeta alla realtà e alla riflessione sulle cose terrene, che nascono e muoiono. Allo stesso tempo, però, come la siepe gli aveva suggerito l’idea dell’infinito spaziale, così il passaggio da una sensazione acustica reale (il suono prodotto dal vento: come il vento odo stormir, vv. 8-9) a un’altra indeterminata (infinito silenzio, v. 10) gli suscita l’idea dell’eternità, cioè di un infinito temporale, che grava sul presente e lo annulla (e mi sovvien l’eterno, / e le morte stagioni, e la presente / e viva, e il suon di lei, vv. 11-13). Si tratta di una sensazione che perde ogni aggancio logico con la realtà: una sensazione di infinitezza a cui il poeta si abbandona, emancipandosi temporaneamente dal pensiero razionale (e quindi dai ristretti confini del “finito” e della vita presente), quasi dissolvendo la propria identità.

Leopardi definisce il “naufragio” dolce (v. 15) proprio per esprimere la gradevolezza fisica dell’esperienza, mediante la quale si spegne la coscienza individuale e si percepisce un godimento che nessun piacere concreto riesce a dargli. Pertanto non va creduto, come la critica romantica e quella idealistica hanno fatto, che l’approdo leopardiano sia di tipo mistico-religioso: l’infinito non simboleggia una dimensione metafisica né allude a un’estasi trascendente. L’intuizione di assoluto e di eternità permette un’ascesi fisica e intellettuale, ma non porta a una certezza positiva, bensì alla negazione del nostro essere concreto e determinato, della nostra individualità e identità reale, che si trova nel tempo e nello spazio e perciò provoca la sofferenza.

Le scelte stilistiche

La struttura sintattica, semplice e lineare, procede attraverso la coordinazione (assai frequente è il ricorso alla congiunzione e). L’uso dei dimostrativi permette al poeta di muoversi tra il finito e l’indefinito, creando una proficua dialettica tra realtà e immaginazione. Se, in linea generale, questo indica vicinanza e quello lontananza, ai vv. 1-3 questo denota il paesaggio, cioè la realtà; quella, al v. 5, indica l’allontanamento dal reale; al v. 9 queste ci riporta alla realtà e quello a una dimensione che la trascende; negli ultimi versi questa (v. 13) e questo (v. 15) segnano il definitivo naufragio della ragione nell’infinito. «Mentre all’inizio questo collega il poeta al paesaggio reale, alla fine collega il poeta all’infinito, cioè a un paesaggio irreale ma ormai vicino al poeta» (Marchese).

Allo stesso modo l’autore fonde abilmente oggetti concreti (il colle, la siepe, le piante) e immagini cosmiche (spazi, silenzi, immensità), nonché parole che indicano assenza di confini e lontananza nello spazio (ultimo orizzonte, v. 3; interminati / spazi, vv. 4-5; immensità, v.14; mare, v. 15) e nel tempo (sempre, v. 1; l’eterno, v. 11; le morte stagioni, v. 12), insistendo sulla percezione della solitudine e del silenzio (ermo, v. 1; quiete, v. 6; sovrumani / silenzi, vv. 5-6; infinito silenzio, v. 10). L’effetto è quello di una ricercata indeterminatezza, come si vede anche dalla scelta di parole quali interminati, sovrumani, infinito, immensità, i cui prefissi di valore negativo capovolgono il senso del concetto positivo corrispondente (vale a dire il termine, l’umano, il finito, il limitato). Infine il frequente ricorso all’enjambement (ben 10 su 15 endecasillabi), dilatando lo spazio del verso, contribuisce a suggerire, anche sul piano metrico, l’idea di un itinerario dell’immaginazione che prosegue senza limiti fino a immergersi nell’infinito.

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Verso le COMPETENZE

Comprendere

1 Quale effetto produce la siepe sul poeta?


2 Quale effetto produce invece il rumore del vento tra gli alberi?


3 Quale sentimento prova Leopardi dinanzi all’infinito spaziale?

Analizzare

4 In quale modo nel componimento sono coinvolti i sensi della vista e dell’udito?


5 Individua i principali enjambement presenti nel testo e spiegane, di volta in volta, la funzione espressiva.


 Verso

Funzione espressiva


 


 


 


 


 


 


 


6 Quale figura sintattica ricorre nei versi dall’11 al 13?


7 Nell’espressione il guardo esclude (v. 3) è presente una figura retorica. Quale?

  • a Allitterazione. 
  • b Anafora.
  • c Anastrofe. 
  • d Anacoluto 


8 La sensazione dell’infinito nasce anche dalla percezione di ciò che è vicino e ciò che è lontano. Individua nel testo gli aggettivi questo e quello: che cosa l’io lirico sente lontano o vicino? Argomenta le tue motivazioni.

Interpretare

9 Ti sembra che il poeta descriva una situazione comune o eccezionale? Motiva la tua risposta.


10 Al v. 4 Leopardi utilizza il gerundio: perché, secondo te?

Produrre

11 Scrivere per raccontare. Se pensi al concetto di “infinito”, qual è l’immagine che ti si affaccia alla mente? È legata all’ambito naturale e scientifico oppure artistico (una canzone, un libro, un’opera d’arte)? Rispondi in un testo di circa 20 righe e, se lo ritieni opportuno, cita anche alcuni versi tratti dalla poesia che hai appena letto. 

Volti e luoghi della letteratura - Giacomo Leopardi
Volti e luoghi della letteratura - Giacomo Leopardi