T6 - Il giardino del dolore (dallo Zibaldone)

T6

Il giardino del dolore

Zibaldone, [4174-4175]

Il brano appartiene alla fase più acuta del “pessimismo cosmico” leopardiano: tutti gli esseri viventi, senza eccezioni, sono condannati al dolore e all’infelicità, condizione permanente che lega l’uomo a qualsiasi altro essere vivente.

         (19 aprile 1826)

Tutto è male. Cioè tutto quello che è, è male; che ciascuna cosa esista è un male;

ciascuna cosa esiste per fin di male; l’esistenza è un male e ordinata al male; il fine

dell’universo è il male; l’ordine e lo stato, le leggi, l’andamento naturale dell’universo 

non sono altro che male, né diretti ad altro che al male. Non v’è altro bene

5      che il non essere; non v’ha altro di buono che quel che non è; le cose che non son

cose: tutte le cose sono cattive. […]

Non gli uomini solamente, ma il genere umano fu e sarà sempre infelice di

necessità. Non il genere umano solamente ma tutti gli animali. Non gli animali

soltanto ma tutti gli altri esseri al loro modo. Non gl’individui, ma le specie, i generi, 

10    i regni, i globi, i sistemi, i mondi.

Entrate in un giardino di piante, d’erbe, di fiori. Sia pur quanto volete ridente.1

Sia nella più mite stagione dell’anno. Voi non potete volger lo sguardo in nessuna

parte che voi non vi troviate del patimento. Tutta quella famiglia di vegetali è in

istato di souffrance,2 qual individuo più, qual meno. Là quella rosa è offesa3 dal

15    sole, che gli ha dato la vita; si corruga,4 langue, appassisce. Là quel giglio è succhiato 

crudelmente da un’ape, nelle sue parti più sensibili, più vitali. Il dolce mele5 non

si fabbrica dalle industriose, pazienti, buone, virtuose api senza indicibili tormenti

di quelle fibre delicatissime, senza strage spietata di teneri fiorellini. Quell’albero 

è infestato da un formicaio, quell’altro da bruchi, da mosche, da lumache, da

20    zanzare; questo è ferito nella scorza e cruciato6 dall’aria o dal sole che penetra

nella piaga; quello è offeso nel tronco, o nelle radici; quell’altro ha più foglie secche; 

quest’altro è roso, morsicato nei fiori; quello trafitto, punzecchiato nei frutti.

Quella pianta ha troppo caldo, questa troppo fresco; troppa luce, troppa ombra;

troppo umido, troppo secco. L’una patisce incomodo e trova ostacolo e ingombro7

25    nel crescere, nello stendersi; l’altra non trova dove appoggiarsi, o si affatica e stenta

per arrivarvi. In tutto il giardino tu non trovi una pianticella sola in istato di sanità

perfetta. Qua un ramicello è rotto o dal vento o dal suo proprio peso; là un zeffiretto8 

va stracciando un fiore, vola con un brano,9 un filamento, una foglia, una parte

viva di questa o quella pianta, staccata e strappata via. Intanto tu strazi le erbe co’

30    tuoi passi; le stritoli, le ammacchi, ne spremi il sangue, le rompi, le uccidi. Quella

donzelletta10 sensibile e gentile, va dolcemente sterpando11 e infrangendo steli. Il

giardiniere va saggiamente troncando, tagliando membra sensibili, colle unghie,

col ferro.12

 >> pagina 39 

Dentro il TESTO

I contenuti tematici

Il brano è scritto nel 1826, in uno dei momenti più cupi della vita e della riflessione del poeta, quando il suo pessimismo ha assunto dimensioni “cosmiche” e la natura gli si è rivelata come un freddo sistema regolato da leggi meccaniche del tutto disinteressate al dolore degli esseri viventi.

Per dimostrare la vera realtà dell’esistenza umana (tutto ciò che esiste è male e l’unico bene è il non essere, rr. 1-5) e condensarla in un’immagine chiara ed esemplificativa, Leopardi ricorre alla descrizione di un giardino. Il tema sembra abusato: quello della natura come locus amoenus è infatti tra i più ricorrenti motivi letterari. Ma in questo caso l’autore ne rovescia del tutto il significato. Se a prima vista si manifesta come un «soggiorno di gioia», pieno di piante rigogliose e fiori bellissimi, il giardino, visto da dentro, rivela la sofferenza di ogni essere che lo popola. Come ha scritto il critico Walter Binni, il male insito nella condizione umana viene colto e rappresentato proprio nell’«immagine più tradizionalmente emblematica […] della vitalità lieta e rassicurante: quella di un giardino primaverile con tutte le sue presenze più idilliche e distensive, rievocate e capovolte in operazioni e condizioni di ferocia inconsapevole e di patimento totale».

Le scelte stilistiche

Una serie di frasi taglienti e lapidarie, brevi e categoriche inaugura il brano, riassumendo con efficace stringatezza i princìpi della visione del mondo leopardiana. Il ritmo è martellante: la parola male è ripetuta ben nove volte, a significare la sua assillante presenza nella vita umana. Successivamente, a fronte della drammaticità del discorso, Leo­pardi introduce una nota lirica, che tuttavia accentua il contrasto tra la bellezza delle immagini e l’esistenza cosmica del dolore. Il poeta ricorre all’enumerazione dei fiori e delle piante, per dimostrare la comune sorte dei vegetali in quel regno di sofferenza. Infine, un climax angosciante prova come tutti gli esseri siano sottoposti, impietosamente, alla violenza della vita (Intanto tu strazi le erbe co’ tuoi passi; le stritoli, le ammacchi, ne spremi il sangue, le rompi, le uccidi, rr. 29-30).

Verso le COMPETENZE

COMPRENDERE

1 Da quali dettagli si può cogliere la sofferenza del giardino?


2 In che cosa consiste la contraddizione della natura?

Analizzare

3 Nel testo l’aggettivazione svolge una funzione stilistica fondamentale: descrivila fornendo opportuni esempi.


4 Individua i nomi alterati e spiegane lo scopo espressivo.


5 Leopardi rappresenta le piante come esseri sensibili, capaci di provare sofferenza. Ricerca nel testo le espressioni con cui egli le descrive: che cosa noti nella scelta lessicale?

Interpretare

6 Molte parole ed espressioni vengono ripetute più volte: per quale motivo, secondo te?


7 Perché, a tuo giudizio, Leopardi ricorre al termine francese souffrance (r. 14) anziché al corrispondente italiano “sofferenza”?

Produrre

8 Scrivere per confrontare. Hai conosciuto altri giardini letterari, per esempio quello ariostesco di Alcina e quello tassiano di Armida. Confrontali con quello leopardiano, evidenziando analogie e differenze sul piano tematico e stilistico in un testo argomentativo di circa 40 righe.

Volti e luoghi della letteratura - Giacomo Leopardi
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