Il giudizio severo dei contemporanei
La valutazione di Leopardi e della sua poesia fu assai controversa presso i contemporanei. Infatti accanto all’apprezzamento di intellettuali quali l’amico Pietro Giordani, il primo a comprenderne il genio e a definirlo «sommo filologo, sommo poeta, sommo filosofo», molti Romantici espressero giudizi di condanna, accusando il poeta di materialismo, pessimismo e irreligiosità. I più generosi limitarono il proprio elogio solo alle prime canzoni, di cui condividevano lo slancio educativo e patriottico.
Pesò sulla limitata fortuna di Leopardi fra i contemporanei l’eccentricità del suo pensiero rispetto al moderatismo liberal-cattolico egemone presso la borghesia intellettuale di quegli anni. Lo stesso Manzoni, che incontrò il poeta a Firenze senza – pare – degnarlo di particolari attenzioni, non si espresse sul valore delle poesie e si limitò a dire delle Operette morali che «quanto a stile, probabilmente c’è di meglio nella prosa dei nostri giorni».
Nel 1880 viene pubblicato un libro di memorie, Sette anni di sodalizio con Giacomo Leopardi, del letterato napoletano Antonio Ranieri (1806-1888), che era stato accanto al poeta negli ultimi anni di vita, assistendolo affettuosamente sino alla morte insieme alla sorella Paolina. In esso Ranieri cerca di offrire di sé l’immagine del mecenate, più che, come invece era in effetti, del compagno di vita e di traversie di Leopardi, né vi mancano, accanto a dettagli e pettegolezzi biografici di scarso o nullo interesse, recriminazioni ingiuste e meschine, dettate dal desiderio di attenuare un’immagine di Ranieri stesso non sempre positiva, che Leopardi aveva affidato ad alcune lettere.