Nonostante la costruzione poetica del canto sia condotta intorno alla figura femminile, invocata nell’incipit come se fosse presente, il suo ruolo, ben oltre ogni riferimento autobiografico, acquista progressivamente un significato universale. Anche gli accenni alla realtà della vita vissuta presenti nelle prime strofe (Sonavan le quiete / stanze, vv. 7-8; Io gli studi leggiadri / talor lasciando, vv. 15-16), che sembrano conferire al componimento l’atmosfera dell’idillio, trascendono in una dimensione allegorica. Non a caso, come ha osservato il critico Marco Antonio Bazzocchi, «le caratteristiche di Silvia, l’atto di tessere e di cantare, vengono riprese dal famoso passo virgiliano, più volte ricordato da Leopardi, del canto di Circe al telaio»: proprio come Circe, e anche come Persefone, la ragazza incarna la divinità che mette in contatto i vivi e i morti, rappresentando il ciclico ritorno della primavera e quindi, nel sistema filosofico del poeta, delle illusioni.
Allo stesso tempo, però, la morte di Silvia le conferisce anche un altro valore simbolico: la vicenda esemplare della ragazza emblematizza la separazione dell’uomo moderno dalla vita della natura, non più benigna ma «matrigna», secondo la visione cosmica del pessimismo elaborata da Leopardi. In tal modo, il destino della giovane prematuramente scomparsa riassume quello di tutte le umane genti (v. 59): Silvia diventa una sorta di allegoria della morte stessa, non solo di quella fisica, ma anche di quella delle speranze e delle illusioni.