T16 - A Silvia

T16

A Silvia

Canti, 21

Composta a Pisa nel 1828, questa canzone inaugura la serie dei cinque componimenti pisano-recanatesi o “grandi idilli”, nei quali dal quadro d’ambiente si passa alla nostalgica rie­vocazione di quelle dolci illusioni poi perdute a contatto con l’«arido vero».


Metro Canzone libera composta da 6 strofe di diversa misura, formate da endecasillabi e settenari liberamente rimati.

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Audiolettura

Silvia, rimembri ancora

quel tempo della tua vita mortale,

quando beltà splendea

negli occhi tuoi ridenti e fuggitivi,

5      e tu, lieta e pensosa, il limitare

di gioventù salivi?

Sonavan le quiete

stanze, e le vie dintorno,

al tuo perpetuo canto,

10    allor che all’opre femminili intenta

sedevi, assai contenta

di quel vago avvenir che in mente avevi.

Era il maggio odoroso: e tu solevi

così menare il giorno.

15    Io gli studi leggiadri

talor lasciando e le sudate carte,

ove il tempo mio primo

e di me si spendea la miglior parte,

d’in su i veroni del paterno ostello

20    porgea gli orecchi al suon della tua voce,

ed alla man veloce

che percorrea la faticosa tela.

Mirava il ciel sereno,

le vie dorate e gli orti,

25    e quinci il mar da lungi, e quindi il monte.

Lingua mortal non dice

quel ch’io sentiva in seno.

Che pensieri soavi,

che speranze, che cori, o Silvia mia!

30    Quale allor ci apparia

la vita umana e il fato!

Quando sovviemmi di cotanta speme,

un affetto mi preme

acerbo e sconsolato,

35    e tornami a doler di mia sventura.

O natura, o natura,

perché non rendi poi

quel che prometti allor? perché di tanto

inganni i figli tuoi?

40    Tu pria che l’erbe inaridisse il verno,

da chiuso morbo combattuta e vinta,

perivi, o tenerella. E non vedevi

il fior degli anni tuoi;

non ti molceva il core

45    la dolce lode or delle negre chiome,

or degli sguardi innamorati e schivi;

né teco le compagne ai dì festivi

ragionavan d’amore.

Anche peria fra poco

50    la speranza mia dolce: agli anni miei

anche negaro i fati

la giovanezza. Ahi come,

come passata sei,

cara compagna dell’età mia nova,

55    mia lacrimata speme!

Questo è quel mondo? questi

i diletti, l’amor, l’opre, gli eventi

onde cotanto ragionammo insieme?

Questa la sorte dell’umane genti?

60    All’apparir del vero

tu, misera, cadesti: e con la mano

la fredda morte ed una tomba ignuda

mostravi di lontano.

 >> pagina 107 

Il mito di Proserpina 

Secondo il mito classico, Persefone, o nel mondo latino Proserpina, fu rapita dallo zio Ade/Plutone che la portò negli inferi, dove, per essersi cibata di sei semi di melograno, fu costretta a rimanere per sei mesi l’anno. Nel corso della sua carriera, il pittore e poeta inglese Dante Gabriel Rossetti (1828-1882) sembra ossessionato da questo mito: produce infatti otto dipinti che hanno per soggetto la fanciulla intrappolata nell’aldilà, con in mano il melograno fatale, e dedica alla vicenda un sonetto in italiano. Proserpina è immobile, assorta nei suoi pensieri, ma percorsa da una sottile energia: il suo collo si torce in modo innaturale, le mani s’intrecciano nervose in una posizione che è difficile mantenere a lungo. Nella sua espressione malinconica e nei lunghi capelli castani è possibile leggere un nascosto omaggio alla moglie dell’amico e artista William Morris, Jane Burden, di cui Rossetti era infatuato.

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Dentro il TESTO

I contenuti tematici

Il poeta rievoca la figura di Silvia, una giovane coetanea di Recanati: ripensa a quando lei lavorava al telaio e faceva risuonare del suo canto tutte le case intorno; contemporaneamente egli studiava e faticava sui libri, ed entrambi erano accomunati dal sogno di un dolce avvenire, quando ancora, nella primavera della vita (non a caso siamo nel maggio odoroso, v. 13) è possibile nutrire un’aspettativa di felicità. Il sopraggiungere del vero (v. 60) ha spento però i comuni sogni della giovinezza: per la ragazza è giunta presto la morte, a troncare ogni illusione di felicità; al poeta la natura ha invece consentito di continuare a vivere, ma vedendo cadere a una a una le promesse da essa ricevute (O natura, o natura, / perché non rendi poi / quel che prometti allor? perché di tanto / inganni i figli tuoi?, vv. 36-39), senza conforto e senz’altra certezza che quella della fine incombente.

Nonostante la costruzione poetica del canto sia condotta intorno alla figura femminile, invocata nell’incipit come se fosse presente, il suo ruolo, ben oltre ogni riferimento autobiografico, acquista progressivamente un significato universale. Anche gli accenni alla realtà della vita vissuta presenti nelle prime strofe (Sonavan le quiete / stanze, vv. 7-8; Io gli studi leggiadri / talor lasciando, vv. 15-16), che sembrano conferire al componimento l’atmosfera dell’idillio, trascendono in una dimensione allegorica. Non a caso, come ha osservato il critico Marco Antonio Bazzocchi, «le caratteristiche di Silvia, l’atto di tessere e di cantare, vengono riprese dal famoso passo virgiliano, più volte ricordato da Leopardi, del canto di Circe al telaio»: proprio come Circe, e anche come Persefone, la ragazza incarna la divinità che mette in contatto i vivi e i morti, rappresentando il ciclico ritorno della primavera e quindi, nel sistema filosofico del poeta, delle illusioni.

Allo stesso tempo, però, la morte di Silvia le conferisce anche un altro valore simbolico: la vicenda esemplare della ragazza emblematizza la separazione dell’uomo moderno dalla vita della natura, non più benigna ma «matrigna», secondo la visione cosmica del pessimismo elaborata da Leopardi. In tal modo, il destino della giovane prematuramente scomparsa riassume quello di tutte le umane genti (v. 59): Silvia diventa una sorta di allegoria della morte stessa, non solo di quella fisica, ma anche di quella delle speranze e delle illusioni.

Le scelte stilistiche

Le sei strofe, di diversa lunghezza, si focalizzano su particolari aspetti o motivi, essendo alternativamente dedicate ora a Silvia ora al poeta stesso, ma con sottili richiami dall’una all’altra, in modo che il discorso lirico fluisca con un efficace sviluppo parallelo.

La prima strofa è interamente occupata da un’apostrofe* a Silvia, che il poeta invita a ricordare il tempo felice della giovinezza. Con pochi aggettivi, distribuiti in due coppie, la seconda delle quali costituisce un ossimoro (ridenti e fuggitivi, v. 4; lieta e pensosa, v. 5), Leopardi offre un ritratto psicologico concentrato di una fanciulla che si affaccia alla vita con gioia e insieme con trepidazione. L’idealizzazione delle speranze giovanili avviene mediante l’uso del lessico tipico della tradizione lirica, specialmente petrarchesca (rimembri, v. 1; beltà, v. 3; mentre gli occhi ridenti, v. 4, richiamano un’immagine tipica dello Stilnovo) e una accentuata musicalità, ottenuta dalle allitterazioni in v e s (Silvia, vita, splendea, fuggitivi, pensosa, salivi), oltre che dal gioco anagrammatico tra Silvia e salivi (v. 1 e v. 6).

 >> pagina 109

Nella seconda e nella terza strofa il poeta rievoca il contesto quotidiano della vita di Silvia e della propria. Il filtro della memoria suggerisce la messa in pratica della poetica del vago e dell’indefinito grazie ad aggettivi o espressioni quali perpetuo, vago, odoroso, da lungi ecc., tramite cui viene espressa la piacevole sensazione di una realtà trasfigurata. Le promesse della giovinezza affiorano grazie alle immagini di un repertorio solare, quasi idillico: oltre al maggio odoroso (v. 13), abbiamo il ciel sereno, / le vie dorate e gli orti (vv. 23-24).

Nella quarta strofa le speranze coltivate dai due ragazzi si capovolgono in una realtà di sventura: si manifesta così l’inganno perpetrato dalla natura, oggetto di una dura apostrofe (vv. 36-39), in cui il ritmo, in una poesia dalla sintassi piana e dal periodare ampio e musicale, diventa più incalzante, quasi a rendere l’angoscia dell’autore. Il mutamento dei tempi verbali, che abbandonano l’imperfetto iniziale, suggella la verità del presente, spietatamente incaricato di rivelare le illusorie mistificazioni del passato.

Le strofe finali istituiscono apertamente il parallelismo* tra la vicenda di Silvia e quella dell’io lirico, già precipitata o destinata a precipitare verso la morte. Lo svanire nel nulla è introdotto dalla sequenza delle negazioni non (v. 42), non (v. 44), (v. 47); il passato remoto cadesti (v. 61) accomuna Silvia e la speranza, la cara compagna (v. 54) lacrimata (v. 55) come una presenza fisica reale. La gelida presenza della tomba ignuda (v. 62) conferma in conclusione l’unico fine della vita, anzi di tutte le vite.

Verso le COMPETENZE

Comprendere

1 Fai la parafrasi del componimento.


2 Nei versi 36-38, a quali momenti della vita umana si riferiscono gli avverbi poi e allor?


3 Ai versi 47-48 si dice che le compagne di Silvia non parlavano d’amore con lei perché

  • a loro erano fidanzate e lei no.
  • b Silvia era troppo pudica e ritrosa.
  • c Silvia muore prima di raggiungere l’età adatta per questo genere di discorsi.
  • d questo avrebbe potuto far ingelosire il poeta.


4 Traccia un breve ritratto di Silvia, soffermandoti sul suo aspetto fisico (per quanto esso si possa desumere dal testo), sulle caratteristiche psicologiche e sugli altri aspetti ricavabili dal componimento.

Analizzare

Ai versi 15-16 (studi leggiadri sudate carte) e 21-22 (man veloce faticosa tela) troviamo ripetuta la stessa figura retorica. Quale?


6 Ai versi 20-21 il poeta scrive: porgea gli orecchi alla man veloce. Si può “ascoltare una mano”? Di quale figura si tratta?


7 Ai versi 50-52 (agli anni miei / anche negaro i fati / la giovanezza) è presente una figura sintattica: quale? Spiega perché il poeta la utilizza.

interpretare

8 Ripercorrendo i punti del testo dove il poeta si sofferma sulle stagioni, sulla natura, sul paesaggio, spiega in che modo tale rappresentazione si lega ai temi del componimento.


9 A quali caratteristiche di Silvia allude secondo te il vocativo del v. 42 (o tenerella)?

Produrre

10 Scrivere per raccontare. Ripercorrendo con il pensiero la tua esperienza, hai conosciuto solo brevemente una persona che poi non hai più visto, la cui immagine si è però fissata nella tua mente? A distanza di tempo in che modo e per quali ragioni il suo ricordo riaffiora ancora oggi?

Dibattito in classe

11 La giovinezza di Silvia termina improvvisamente all’apparir del vero (r. 60): quali eventi, oggi, possono essere considerati conclusivi del “fior degli anni”, cioè indicativi di una nuova condizione esistenziale, quella della maturità? Discutine con i tuoi compagni.

Volti e luoghi della letteratura - Giacomo Leopardi
Volti e luoghi della letteratura - Giacomo Leopardi