I grandi temi

I grandi temi

1 La visione politica

La scoperta di Marx Gli anni trascorsi da Pasolini a Casarsa – nell’ultima fase della guerra e poi nell’immediato dopoguerra – segnano per lui il momento dell’acquisizione di una consapevolezza ideologica. Una tematica apertamente politica compare nelle poesie degli anni successivi, raccolte nei volumi La meglio gioventù (1954) e L’usignolo della Chiesa Cattolica (1958). La sezione finale (del 1949) di quest’ultimo volume si intitola La scoperta di Marx: ciò prelude alla centralità della tematica politica che sarà propria della raccolta successiva, significativamente intitolata Le ceneri di Gramsci (1957), la quale comprende componimenti degli anni Cinquanta. Il comunismo di Pasolini sarà sempre, però, piuttosto eterodosso. Quello che gli interessa, infatti, non è tanto il proletariato, cui si rivolge il Pci, ma il sottoproletariato, ovvero il popolo prima dell’avvento di una coscienza di classe.

Di fronte a Gramsci Nel poemetto che dà il titolo alla raccolta Le ceneri di Gramsci, in un immaginario colloquio con l’urna dell’autore dei Quaderni del carcere, Pasolini esprime tutta l’ambiguità della propria appartenenza politica: «Lo scandalo del contraddirmi, dell’essere / con te e contro te; con te nel cuore, / in luce, contro te nelle buie viscere». E alcuni versi più avanti il poe­ta spiega tale contraddizione: «attratto da una vita proletaria / a te anteriore, è per me religione // la sua allegria, non la millenaria / sua lotta: la sua natura, non la sua / coscienza».

Davanti a Gramsci, assurto a simbolo dell’ortodossia marxista, Pasolini dichiara che il suo amore per il mondo popolare è viscerale, estraneo a ogni ideologia. La conquista della coscienza di classe, che il comunismo indicava come l’obiettivo prioritario, in quanto preliminare alla possibilità di una lotta di massa finalizzata alla rivoluzione proletaria, avrebbe significato per il proletariato una maggiore consapevolezza politica, civile e culturale. Ma questo avrebbe finito con il compromettere l’autenticità, la genialità, la spontaneità, la libertà che Pasolini vedeva come caratteristiche fondamentali di quel popolo che nei suoi anni friulani prima e in quelli romani poi aveva imparato a conoscere. Da qui la sua sofferta posizione politica: da una parte razionalmente desidera, insieme con il Partito e aderendo al suo programma, l’evoluzione culturale e il miglioramento delle condizioni materiali di vita dei lavoratori; ma dall’altra intimamente teme che quel processo di cambiamento possa determinare la corruzione, in senso borghese, della candida essenza popolare.

T1

Il pianto della scavatrice

Le ceneri di Gramsci

Nella seconda parte delle sei di cui è costituita la lirica Il pianto della scavatrice, in alcuni dei suoi versi più belli ed emotivamente più intensi, Pasolini rievoca l’esperienza delle borgate romane e soprattutto illumina il lettore sulla propria particolare concezione del popolo.


Metro Terzine di endecasillabi non rimati. Sono frequenti versi ipometri o ipermetri (cioè con un minore o maggiore numero di sillabe rispetto alla misura endecasillabica).

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Audiolettura

Povero come un gatto del Colosseo,

vivevo in una borgata tutta calce

e polverone, lontano dalla città


e dalla campagna, stretto ogni giorno

5      in un autobus rantolante:

e ogni andata, ogni ritorno


era un calvario di sudore e di ansie.

Lunghe camminate in una calda caligine,

lunghi crepuscoli davanti alle carte


10    ammucchiate sul tavolo, tra strade di fango,

muriccioli, casette bagnate di calce

e senza infissi, con tende per porte…


Passavano l’olivaio, lo straccivendolo,

venendo da qualche altra borgata,

15    con l’impolverata merce che pareva


frutto di furto, e una faccia crudele

di giovani invecchiati tra i vizi

di chi ha una madre dura e affamata.


Rinnovato dal mondo nuovo,

20    libero – una vampa, un fiato

che non so dire, alla realtà


che umile e sporca, confusa e immensa,

brulicava nella meridionale periferia,

dava un senso di serena pietà.


25    Un’anima in me, che non era solo mia,

una piccola anima in quel mondo sconfinato,

cresceva, nutrita dall’allegria


di chi amava, anche se non riamato.

E tutto si illuminava, a questo amore.

30    Forse, ancora di ragazzo, eroicamente,


e però maturato dall’esperienza

che nasceva ai piedi della storia.

Ero al centro del mondo, in quel mondo


di borgate tristi, beduine,

35    di gialle praterie sfregate

da un vento sempre senza pace,


venisse dal caldo mare di Fiumicino,

o dall’agro, dove si perdeva

la città fra i tuguri; in quel mondo


40    che poteva soltanto dominare,

quadrato spettro giallognolo

nella giallognola foschia,


bucato da mille file uguali

di finestre sbarrate, il Penitenziario

45    tra vecchi campi e sopiti casali.


Le cartacce e la polvere che cieco

il venticello trascinava qua e là,

le povere voci senza eco


di donnette venute dai monti

50    Sabini, dall’Adriatico, e qua

accampate, ormai con torme


di deperiti e duri ragazzini

stridenti nelle canottiere a pezzi,

nei grigi, bruciati calzoncini,


55    i soli africani, le piogge agitate

che rendevano torrenti di fango

le strade, gli autobus ai capolinea


affondati nel loro angolo

tra un’ultima striscia d’erba bianca

60    e qualche acido, ardente immondezzaio…

era il centro del mondo, com’era

al centro della storia il mio amore

per esso: e in questa


maturità che per essere nascente

65    era ancora amore, tutto era

per divenire chiaro – era,


chiaro! Quel borgo nudo al vento,

non romano, non meridionale,

non operaio, era la vita


70    nella sua luce più attuale:

vita, e luce della vita, piena

nel caos non ancora proletario,


come la vuole il rozzo giornale

della cellula, l’ultimo

75    sventolio del rotocalco: osso


dell’esistenza quotidiana,

pura, per essere fin troppo

prossima, assoluta per essere


fin troppo miseramente umana.

 >> pagina 621 

Dentro il TESTO

I contenuti tematici

In questi versi l’autore rievoca il momento del suo primo contatto con il mondo delle borgate romane e con la loro grande carica umana. La borgata è una zona intermedia, lontana dalla città / e dalla campagna (vv. 3-4), che non possiede la struttura dell’agglomerato urbano né quella della comunità rurale. Essa è una sorta di terra di nessuno, abbandonata dalla politica e dalle istituzioni, disinteressate alla vita e ai problemi di chi vi abita.

Pasolini, invece, sceglie di condividere l’esistenza di queste persone. Lo fa perché in tale ambiente egli può finalmente ritrovare sé stesso e una nuova gioia di vivere, all’insegna di una condizione di libertà dai vincoli moralistici piccolo-borghesi (Rinnovato dal mondo nuovo, v. 19). L’istintiva allegria (v. 27) della gente del popolo si comunica al poeta, che si sente intimamente vicino a quel mondo sottoproletario al quale si accosta. In lui, così, cresce il senso di appartenenza all’anima popolare (Un’anima in me, che non era solo mia, […] cresceva, vv. 25-27). Poco importa se il suo amore (che andrà inteso qui anche in senso erotico, nei confronti dei ragazzi del popolo) non è del tutto ricambiato (di chi amava, anche se non riamato, v. 28), perché tutto si illuminava, a questo amore (v. 29).

La borgata romana diventa così il centro del mondo (vv. 33 e 61), il luogo dove il giovane “di buona famiglia” può finalmente maturare a contatto con un’esperienza che nasceva ai piedi della storia (v. 32), vale a dire la vita degli ultimi in queste borgate tristi, beduine (v. 34), di coloro, cioè, che sono abbandonati a sé stessi da quanti detengono le leve della grande Storia collettiva. E su questo mondo emerge di nuovo l’amore (il vocabolo torna al v. 62) del poeta per il popolo.
 >> pagina 622 

Il popolo per Pasolini è puro nella misura in cui non è contaminato né dai distorti valori borghesi né dalle ideologie politiche. La maturità (v. 64) equivale a un’involuzione interiore e può esprimersi come amore solo finché è allo stato iniziale (per essere nascente / era ancora amore, vv. 64-65). Quando l’ideologia ha il sopravvento e il popolo ne viene corrotto, esso rischia di perdere la propria essenza, fatta di un’ingenuità che è la vita / nella sua luce più attuale (vv. 69-70).

Per Pasolini la forza più viva e autentica della Storia non è dunque il proletariato consapevole della propria condizione e della necessità di rivendicare i propri diritti (come riteneva l’ortodossia comunista, qui emblematizzata dal rozzo giornale / della cellula, vv. 73-74), ma – appunto – questo sottoproletariato primitivo e ignaro, un caos non ancora proletario (v. 72) niente affatto negativo, bensì dotato di una straordinaria energia vitale, pura (v. 77) e assoluta (v. 78).

Le scelte stilistiche

In questa come nelle altre liriche della raccolta Le ceneri di Gramsci Pasolini tenta una sintesi tra lirismo e impegno civile. Infatti egli non rinuncia ad affrontare certi nodi politici e ideologici (come quello relativo alla visione del proletariato e alle prospettive di una sua azione), ma insieme pone sé stesso e il proprio io poetico – con tutte le sue tensioni, le sue angosce, i suoi slanci, i suoi entusiasmi, i suoi sentimenti – in rapporto dialettico con la real­tà che rappresenta. Alla marginalità del sottoproletariato romano corrisponde la marginalità personale del poeta, finché queste due condizioni finiscono quasi con il sovrapporsi.

Dal punto di vista prettamente formale, va notato come a una forma metrica, la terzina, di tipo tradizionale – sebbene rivisitata con una certa libertà – si unisca qui un linguaggio semplice e discorsivo, perfettamente funzionale agli intenti narrativi e dimostrativi che l’autore si propone di perseguire. I due elementi sembrerebbero in contraddizione, ma la scelta pasoliniana risponde a una motivazione precisa: affinché i contenuti concettualmente impegnativi (sul piano storico, logico, razionale) di questi versi potessero trovare una loro poeticità era necessario «imprigionarli dentro istituzioni stilistiche codificate, dentro ritmi, rime e suoni saldamente impiantati nella tradizione, […] preesistenti e tali da costituire un margine alla violenza dell’autobiografia» (Cerami).

Verso le COMPETENZE

Comprendere

1 Riassumi il contenuto del testo in circa 10 righe.

Analizzare

2 Rintraccia tutti i riferimenti alla povertà dell’ambiente e della gente della borgata.


3 Quale figura retorica troviamo nel sintagma frutto di furto (v. 16)?

Interpretare

4 Perché il poeta ripete l’aggettivo “giallognolo” in due versi consecutivi (vv. 41-42)? Che cosa intende sottolineare in questo modo?


5 In che senso il carcere di Rebibbia domina la borgata?

COMPETENZE LINGUISTICHE

6 Nei versi che hai letto Pasolini fa largo uso di alterati. Quale valore connotativo assumono?


polverone (v. 3)  muriccioli (v. 11)  giallognolo (vv. 41-42)  cartacce (v. 46)  venticello (v. 47)  donnette (v. 49)  ragazzini (v. 52).

Produrre

7 Scrivere per argomentare. La critica ha rimproverato a Pasolini di aver mitizzato il sottoproletariato. Sulla scorta della lettura di questo testo, sei d’accordo con tale giudizio? Argomenta la tua risposta in un testo di circa 30 righe.

Volti e luoghi della letteratura - volume 3B
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Dalla Prima guerra mondiale a oggi