2 - La polemica antiborghese

2 La polemica antiborghese

La caricatura di Milano A fare da sfondo a molte pagine gaddiane è la Milano tra le due guerre, una città in cui si aggirano individui provenienti da ambienti diversi: da una nobiltà decadente e cialtrona a un ceto popolare insulso e bestiale. Sfila così una galleria caricaturale di commercianti, professionisti, impiegati, contadini inurbati e cameriere, depositari – ma solo a parole – di virtù collettive (quelle, soprattutto, tipiche della retorica lombarda) quali il risparmio, la dedizione al lavoro, l’educazione morale.

La «somaresca tribù» borghese Il bersaglio prediletto dalla tagliente vivacità linguistica di Gadda è però la borghesia, di cui descrive le manie, le ipocrisie, i falsi moralismi. Non si tratta certamente del vecchio ceto medio, solido e sobrio custode di valori autentici spazzati via dalla guerra, ma di una nuova classe sociale, formata da arricchiti dell’ultim’ora e da volgari esibizionisti di un lusso sfrenato e di un insanabile cattivo gusto.

Con la sua satira corrosiva, Gadda infierisce soprattutto sugli arricchiti dell’industria e del commercio, che si muovono tra «le fabbriche e le fabbrichette, le officine e le officinette, le maniglie e le manigliette». I «Disegni milanesi» dell’Adalgisa, così come molti degli Accoppiamenti giudiziosi, mettono in scena una classe sociale utilitaristica e ottusa, che mira solo al proprio interesse senza badare a quello comune.

Descritta nei luoghi di ritrovo (come i concerti di musica lirica o le cene al ristorante) nell’atto rituale di rispecchiarsi in sé stessa e di rafforzare la propria identità di gruppo solidale, la borghesia gaddiana ha una concezione superficiale della cultura, che la porta a ostentare ipocriti interessi artistici solo per celare una sconcertante grettezza di vedute. Gadda non perde occasione per metterne in evidenza la vacuità e soprattutto il perbenismo che trapela dall’ossequio formale a modelli di comportamento virtuosi e apparentemente impeccabili, ma nei fatti subdoli e grossolani.

La lingua delle frasi fatte Il risentimento si riversa anche sul piano linguistico, laddove Gadda schernisce e demistifica una comunicazione verbale conformista, «puntuale, miseramente apodittica, stenta, scolorata, tetra, eguale, come piccoletto grembiule casalingo da rigovernare le stoviglie»: una lingua, dunque, che tende alla povertà lessicale e alle frasi fatte. Anche il dialetto, usato dai borghesi lombardi, è svilito al livello di un gergo anonimo e convenzionale, che ne evidenzia al tempo stesso il sentimento di appartenenza e la mentalità angusta e meschina: i discorsi riportati non trattano mai temi importanti, ma si soffermano sugli aspetti esteriori e più leggeri della vita.

Volti e luoghi della letteratura - volume 3B
Volti e luoghi della letteratura - volume 3B
Dalla Prima guerra mondiale a oggi