2 - La vita contadina

2 La vita contadina

Le condizioni geostoriche Già in molti racconti dei Ventitre giorni della città di Alba si trovano ampi squarci della rappresentazione della vita contadina, ben nota a Fenoglio.

L’autore narra delle Langhe, il territorio collinoso del Piemonte meridionale che si estende fra i fiumi Bormida e Tanaro, una zona rurale in cui ancora nell’immediato dopoguerra le condizioni di vita erano così dure da poter essere accostate a quelle della campagna siciliana descritte da Verga, a causa della scarsa produttività e dell’eccessiva parcellizzazione dei fondi: chi possedeva terreni riusciva a stento a soddisfare le proprie esigenze materiali, e chi non ne possedeva doveva necessariamente andare a lavorare sotto padrone.

L’abbrutimento della povertà È ciò che accade appunto ad Agostino, il protagonista del romanzo breve La malora (1954): viene preso a contratto, per servire alla cascina del Pavaglione. Il padrone è un uomo della Bassa Langa che al mercato di Alba, prima di sceglierlo, gli «ha tastato le braccia e misurato a spanne la schiena» come se fosse una bestia da soma.

Nell’opera una scena in particolare mostra la miseria dei personaggi, quella del pranzo e della cena costituiti sempre dalla solita polenta, come racconta Fenoglio, «da insaporire a turno contro una acciuga che pendeva per un filo dalla travata», e che veniva ancora strofinata per diversi giorni anche dopo che «l’acciuga non aveva più nessuna forma di acciuga», mentre il capofamiglia si sporgeva sulla tavola per picchiare «chi strofinava più dell’onesto».

Violenza e alienazione L’altra faccia della povertà – per come è rappresentata nella Malora, ma anche in alcuni racconti dei Ventitre giorni della città di Alba e di Un giorno di fuoco – è costituita dalla violenza, che spesso diventa, paradossalmente, una modalità comunicativa, l’unica possibile in questo mondo di uomini duri come la terra che abitano e soprattutto di poche parole: in una condizione di vita ridotta all’essenziale, anche le parole possono sembrare un lusso, così che le reazioni sono per lo più soltanto fisiche.

D’altra parte la violenza è una risposta istintiva all’alienazione di cui sono vittime queste persone, sfruttate per il lavoro come se fossero macchine: specialmente le donne, che però non si ribellano con i gesti eclatanti degli uomini, subendo invece la propria sorte senza lamentarsi, sino a quando si fermano logore e sfinite.

Un racconto dall’interno Le condizioni materiali ed esistenziali che Fenoglio descrive sono quelle da lui in parte sperimentate prima e dopo la guerra partigiana. Pur migliorata rispetto a quella degli anni attorno al 1920 (nei quali è ambientata La malora), la situazione nell’Alta Langa era ancora lontana dal poter essere considerata accettabile. Ed è forse proprio per la sua conoscenza diretta che Fenoglio riesce a offrire una rappresentazione credibile di quel mondo, che egli guarda dall’interno e in modo oggettivo, senza filtrarlo cioè attraverso suggestioni mitiche, simboliche o memoriali come accadeva invece al conterraneo Pavese.

È questo un dato che venne colto – ma come aspetto negativo – già da Vittorini, il quale accompagnò il libro con un polemico risvolto di copertina, che metteva in guardia «questi giovani scrittori dal piglio moderno e dalla lingua facile» da una narrazione costruita per «spaccati» e «fette» di vita, «senza saper farne il simbolo di storia universale». Fenoglio ne fu contrariato e, sebbene l’amicizia con Calvino (testimoniata anche da un significativo carteggio) restasse solida, da quel momento i rapporti con la casa editrice Einaudi si fecero più difficili.

Volti e luoghi della letteratura - volume 3B
Volti e luoghi della letteratura - volume 3B
Dalla Prima guerra mondiale a oggi