La vita

La vita

  Gli anni della formazione

La giovinezza Cesare Pavese nasce nel 1908 a Santo Stefano Belbo (Cuneo), in una cascina di proprietà del padre, luogo di residenza estiva dei Pavese, una famiglia piccolo-borghese ma di origini contadine che viveva a Torino. In seguito alla prematura scomparsa del marito nel 1914, la madre, donna dura ed energica, deve mandare avanti la famiglia da sola.

Cesare frequenta le scuole elementari prima a Santo Stefano, poi a Torino, dove compie anche gli studi ginnasiali. Entrato al liceo D’Azeglio nel 1923, ha come professore Augusto Monti, intellettuale torinese noto per il suo antifascismo. Ottenuta nel 1926 la maturità classica, si iscrive alla facoltà di Lettere dell’Università di Torino, dove si laurea nel 1930 con una tesi sull’opera del poeta statunitense Walt Whitman (1819-1892). Nello stesso anno muore la madre.

Una profonda infelicità Non sono anni felici. Il giovane Pavese è tormentato dall’angoscia: vorrebbe vedersi virile, integro e generoso come il suo mito Whitman, ma si autoaccusa di debolezza e di irresolutezza. Lo sfiorano propositi di suicidio, che si ripresentano ogniqualvolta naufragano i suoi amori precoci per giovani donne, soprattutto attrici di varietà e ballerine, di cui si invaghisce senza speranza di essere ricambiato. Scrive a un amico nel 1927: «Sono infrollito, tumefatto, incretinito e sopra tutto letterato, irrimediabilmente letterato. Perché devi sapere che le mie donne io le chiamo tutte “bambola” e veramente sono io la bambola, il fantoccio».

La vocazione letteraria Nel 1932, evitato il servizio militare, Pavese comincia a insegnare in scuole private e serali; pubblica inoltre alcuni saggi sulla letteratura americana e traduce dall’inglese grandi classici, tra cui Moby Dick di Herman Melville; sogna di poter visitare gli Stati Uniti, ma tale desiderio non si realizzerà mai. In questo stesso periodo inizia una feconda produzione poetica e narrativa.

  Dalla dittatura alla guerra

L’arresto per antifascismo Nel 1934 Pavese si iscrive al Partito nazionale fascista (Pnf), per poter insegnare liberamente nelle scuole statali, ma nel 1935 viene arrestato per antifascismo in seguito alla delazione di una spia, Dino Segre (1893-1975), ovvero il popolare scrittore Pitigrilli, regolare collaboratore della polizia segreta fascista e responsabile dell’arresto di numerosi altri intellettuali torinesi. Dopo una breve detenzione alle Carceri nuove di Torino e a Regina Coeli a Roma, viene inviato al confino a Brancaleone Calabro dove, giunto nell’agosto di quell’anno, rimane fino al marzo 1936, quando ottiene il condono e può rientrare a Torino.

La guerra e il lavoro editoriale A partire dal 1942 Pavese lavora presso la casa editrice Einaudi, della quale nel 1943 dirige per alcuni mesi la sede romana. Il 26 luglio di quello stesso anno, subito dopo la caduta di Mussolini, rientra a Torino e lavora nella sede torinese fino a quando, dopo l’8 settembre, l’Einaudi viene posta sotto la tutela di un commissario della Repubblica sociale italiana (Rsi).

Mentre la maggior parte dei suoi amici si unisce alla Resistenza, Pavese rimane solo e si rifugia prima presso la sorella, sfollata a Serralunga di Crea nel Monferrato, quindi nel collegio Trevisio di Casale Monferrato, retto dai padri Somaschi, dove dà lezioni private agli studenti, sotto falso nome fino alla Liberazione.

La permanenza nel collegio coincide con il momento di massimo avvicinamento di Pavese alla religione, nonché con importanti letture filosofiche, mistiche e mitografiche. Intanto però egli matura il suo avvicinamento al comunismo.

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  Il periodo del dopoguerra

Dopo la fine della guerra Pavese riprende il suo incarico presso Einaudi, lavorando intensamente in qualità di direttore editoriale. Nel frattempo conosce Davide Lajolo, direttore del quotidiano “l’Unità” (l’organo ufficiale del Pci), e comincia a collaborare al giornale, prendendo la tessera del partito. Si trasferisce a Roma, dove si immerge in una solitudine fatta di lavoro intenso e cinematografi serali. Nella capitale continua a risiedere fino all’autunno del 1946, quando fa definitivamente ritorno a Torino.

L’ultimo periodo Gli anni successivi sono caratterizzati da un lavoro intensissimo, diviso tra l’impegno di direttore editoriale e la pubblicazione di articoli militanti e teorici: l’accumulo di lavoro incide evidentemente sul sistema nervoso di Pavese, che comincia a soffrire di numerosi problemi di salute. «Esaurimento – è una parola – ma che cosa significa?», si domanda nel diario il 28 novembre.

Nel Capodanno romano del 1950 incontra l’attrice statunitense Constance Dowling, la cui conoscenza compromette la sua stabilità psicologica. Lo scrittore la rivede nel marzo del 1950, a Cervinia, e se ne innamora perdutamente. Quando Constance decide di ripartire per New York, per lui sfuma la speranza di sposarla. Pavese muore suicida a Torino pochi mesi dopo, il 26 agosto 1950. Sulla prima pagina di una copia di un suo libro, Dialoghi con Leucò, lascia scritto un messaggio per i posteri: «Perdono a tutti e a tutti chiedo perdono. Va bene? Non fate troppi pettegolezzi».

il CARATTERE

  Un uomo in cerca di sé stesso

Pavese appare come un uomo introverso ed estremamente sensibile. Assume per lui un ruolo fondamentale la letteratura che, almeno per qualche tempo, sembra dare un senso alla sua vita.

I fallimenti sentimentali

C’è tuttavia in lui un vuoto che i libri non possono colmare. Le numerose delusioni sentimentali rappresentano ripetute smentite alla sua sete di pienezza e di felicità. Si invaghisce di artiste di caffè concerto e giovani attrici, che non lo ricambiano. Nel 1932 si innamora di Tina Pizzardo, comunista, insegnante di matematica; quattro anni dopo, di ritorno dal confino a Brancaleone, viene a sapere che Tina si è fidanzata ed è prossima a sposarsi. Entra così in una cupa depressione, documentata nel diario con accenti di estrema violenza. Nella primavera del 1940 rivede Fernanda Pivano, che era stata sua allieva durante le supplenze al liceo D’Azeglio: si è iscritta all’università ed è anche lei un’americanista. Pavese se ne innamora e le chiede di sposarlo, ricevendo un rifiuto. La passione, anche questa non ricambiata, per Constance Dowling sarà l’ultima e quella più distruttiva.

Il pensiero della morte

Le ragioni che spingono un uomo a togliersi la vita sono sempre, almeno in parte, misteriose e insondabili, e bisogna accostarvisi con discrezione e delicatezza. Nel caso di Pavese, tuttavia, si può ritenere che abbia influito sulla decisione di porre fine alla propria esistenza il profondo turbamento da lui provato sul finire del 1926 in seguito al suicidio dell’amico Elico Baraldi: già allora il futuro scrittore confida la propria angoscia alle pagine di un diario. Ci sono poi, durante la Resistenza, le morti eroiche in giovane età di alcuni suoi compagni, come Leone Ginzburg, Giaime Pintor, Gaspare Pajetta, che infondono nel suo animo una sorta di “rimorso del sopravvissuto”. Neppure il temporaneo accostarsi alla fede religiosa riesce a dissuaderlo dal suo proposito.

L’immagine che resta di Pavese, al di là delle varie speculazioni sulla sua vita e sulla sua morte, è comunque quella di un uomo «vitale, complesso e drammaticamente lacerato ma sostanzialmente unitario nella tensione continua di conoscersi» (Venturi-Di Cicco).

Volti e luoghi della letteratura - volume 3B
Volti e luoghi della letteratura - volume 3B
Dalla Prima guerra mondiale a oggi