T17 - Arsenio

T17

Arsenio

Composta nel 1927, la poesia venne subito pubblicata su “Solaria” e tradotta sulla rivista del poeta statunitense T.S. Eliot “The Criterion”. È un testo che fa da ponte fra gli Ossi di seppia, dove entrò nella seconda edizione del 1928, nella sezione Meriggi e ombre, e Le occasioni. Una violenta tempesta si avvicina al lungomare di una cittadina balneare. Il poeta esorta il suo alter ego, Arsenio, ad abbandonarsi alla furia degli elementi, per evadere da una quotidianità insostenibile, ma l’illusione è di breve durata.


Metro 5 strofe diseguali, fra i 10 e i 15 versi ciascuna, composte di endecasillabi (ma nella prima strofa il v. 9 è un settenario, i vv. 7 e 11 sono quinari).

I turbini sollevano la polvere

sui tetti, a mulinelli, e sugli spiazzi

deserti, ove i cavalli incappucciati

annusano la terra, fermi innanzi

5      ai vetri luccicanti degli alberghi.

Sul corso, in faccia al mare, tu discendi

in questo giorno

or piovorno ora acceso, in cui par scatti

a sconvolgerne l’ore

10    uguali, strette in trama, un ritornello

di castagnette.


È il segno d’un’altra orbita: tu seguilo.

Discendi all’orizzonte che sovrasta

una tromba di piombo, alta sui gorghi,

15    più d’essi vagabonda: salso nembo

vorticante, soffiato dal ribelle

elemento alle nubi; fa che il passo

su la ghiaia ti scricchioli e t’inciampi

il viluppo dell’alghe: quell’istante

20    è forse, molto atteso, che ti scampi

dal finire il tuo viaggio, anello d’una

catena, immoto andare, oh troppo noto

delirio, Arsenio, d’immobilità…


Ascolta tra i palmizi il getto tremulo

25    dei violini, spento quando rotola

il tuono con un fremer di lamiera

percossa; la tempesta è dolce quando

sgorga bianca la stella di Canicola

nel cielo azzurro e lunge par la sera

30    ch’è prossima: se il fulmine la incide

dirama come un albero prezioso

entro la luce che s’arrosa: e il timpano

degli tzigani è il rombo silenzioso.

Discendi in mezzo al buio che precipita

35    e muta il mezzogiorno in una notte

di globi accesi, dondolanti a riva, –

e fuori, dove un’ombra sola tiene

mare e cielo, dai gozzi sparsi palpita

l’acetilene –

                         finché goccia trepido

40    il cielo, fuma il suolo che s’abbevera,

tutto d’accanto ti sciaborda, sbattono

le tende molli, un frùscio immenso rade

la terra, giù s’afflosciano stridendo

le lanterne di carta sulle strade.


45    Così sperso tra i vimini e le stuoie

grondanti, giunco tu che le radici

con sé trascina, viscide, non mai

svelte, tremi di vita e ti protendi

a un vuoto risonante di lamenti

50    soffocati, la tesa ti ringhiotte

dell’onda antica che ti volge; e ancora

tutto che ti riprende, strada portico

mura specchi ti figge in una sola

ghiacciata moltitudine di morti,

55    e se un gesto ti sfiora, una parola

ti cade accanto, quello è forse, Arsenio,

nell’ora che si scioglie, il cenno d’una

vita strozzata per te sorta, e il vento

la porta con la cenere degli astri.

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Dentro il TESTO

I contenuti tematici

Il nome del protagonista richiama da un lato quello dell’autore reale, Eugenio, e dall’altro contiene il prefisso del termine “arsura”, che abbiamo già incontrato come “chiave climatica” degli Ossi di seppia. Arsenio è una controfigura del poeta, che lo invita ad andare incontro alla tempesta, nella quale si concentra l’idea di fuga da un’atmosfera esistenziale insopportabile. Montale inscena in termini narrativi la dialettica fra due aspetti della propria personalità, divisa tra scetticismo e aspirazione alla rinascita vitale. I rumori minacciosi del temporale si mescolano alla musica di un’orchestrina che suona sul lungomare. Il momento pare propizio alla ricerca di un’altra orbita (v. 12), cioè di un’altra dimensione, rispetto a quella consueta in cui l’io si sente soffocare. Di qui gli imperativi con i quali il poeta esorta Arsenio: tu seguilo (v. 12), Discendi (v. 13), Ascolta (v. 24, che all’acme della tensione apre un momento di tregua) e ancora Discendi (v. 34).

Sull’orizzonte marino, dove turbina una tromba d’aria, la luce dei gozzi (v. 38) sembra indicare un altrove, come sarà la luce della «petroliera» nella Casa dei doganieri ( T2, p. 186), composta qualche anno più tardi. La natura, colta in un momento eccezionale, sembra indicare la possibilità di un «varco»: ma, ancora una volta, l’illusione è destinata a svanire.

Arsenio è un indeciso, roso dai dubbi, come lo Zeno di Italo Svevo, che proprio Montale aveva da poco contribuito a far conoscere in un celebre articolo del 1925. La sua drammatica passeggiata verso il mare non approda né a una liberazione né a un esito tragico, ma solo a un acuirsi della percezione della propria fragilità e solitudine. Il tentativo fallito di strapparsi alle vecchie, frustranti abitudini è reso tramite la metafora del giunco (v. 46) che trascina con sé le proprie radici, non mai / svelte (vv. 47-48). La metamorfosi vegetale di questo antieroe, più che al panismo di Alcyone, va riconnessa al canto XIII dell’Inferno, in cui Dante si inoltra fra gli sterpi dove dimorano le anime dei suicidi, in un luogo deserto eppure percorso da gemiti, che Montale riecheggia ai vv. 49-50 nel vuoto risonante di lamenti / soffocati. In seguito, la ghiacciata moltitudine di morti (v. 54) in cui il protagonista è ricacciato dal “ritorno” degli oggetti consueti (elencati per asindeto come in Forse un mattino andando in un’aria di vetro, T14, p. 228) rimanda a Cocito, il lago ghiacciato del canto XXXII dove sono confitti i traditori. È da notare come negli stessi anni anche Thomas Stearns Eliot, nel poemetto La terra desolata (The Waste Land, 1922), faccia largo ricorso a Dante per conferire agli scenari quotidiani una patina infernale.

Il fulmineo e misterioso cenno d’una / vita strozzata per te sorta (vv. 57-58) introduce in extremis un riferimento a una figura femminile: Arletta. Donna morta troppo giovane, è il corrispettivo della Silvia leopardiana, e tornerà nella Casa dei doganieri. Qui il contatto con Arsenio pare dovuto, più che a una volontà, all’azione del fato: il gesto (v. 55) lo sfiora, la parola gli cade accanto (v. 56), ma il protagonista non ha la forza, la sensibilità, la prontezza di raccoglierla. Il vento, che all’inizio del componimento aveva aperto le porte alla speranza, la disperde ora irrevocabilmente.

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Le scelte stilistiche

La figura retorica dominante è l’ossimoro*, chiamato a tradurre sul piano stilistico la condanna al dubbio in cui si macera il protagonista nel suo immoto andare, oh troppo noto / delirio, Arsenio, d’immobilità (vv. 22-23). Ancora, sono in rapporto oppositivo la tempesta dolce (v. 27), e il rombo silenzioso (v. 33) dei tuoni, surrogato dal timpano (v. 32), in un perfetto scambio tra suoni della natura e suoni prodotti dall’uomo (l’orchestrina tzigana), che si ripercuote nella sinestesia* per cui l’arpeggio dei violini è definito getto tremulo (v. 24), quasi si trattasse di un liquido. Alla stessa maniera, poco dopo, la stella di Canicola non spunta, ma sgorga (v. 28).

La moltitudine di morti (v. 54) in cui da ultimo Arsenio si ritrova è costituita, in realtà, dagli uomini che gli stanno intorno: vivendo senza accorgersene un’esistenza inautentica, essi non sono più che arredi dei luoghi che frequentano, a loro volta compressi in un elenco asindetico, strada portico / mura specchi (vv. 52-53).

L’intenzione di creare un’atmosfera suggestiva e drammatica guida anche le scelte foniche. In primo luogo va notato il sistematico contrappunto fra il ritmo dettato dalla punteggiatura e la metrica. A dissolvere la regolare cadenza dell’endecasillabo* contribui­scono – oltre ai numerosi enjambement – le parole sdrucciole*, che compaiono con frequenza assai superiore alla media dell’italiano, cadendo sovente in luoghi privilegiati: in particolare ricorrono alla fine dei versi d’apertura delle strofe (polvere, v. 1; seguilo, v. 12; tremulo, v. 24; precipita, v. 34).

La penuria di rime perfette (notevole però inciampi : scampi, vv. 18 e 20, che correla la salvezza a un intralcio nella regolarità quotidiana) è compensata dagli accordi fonici che di volta in volta impostano una tonalità dominante. Evidente è per esempio la sequenza or che si impone a partire dal v. 6 (corso, giorno, or piovorno ora acceso, ore, ritornello, e nella strofa successiva orbita, orizzonte, gorghi, vorticante), la sequenza nasale + dentale a partire dal v. 13 (Discendi, orizzonte, tromba, piombo, vagabonda, nembo, vorticante, elemento ecc.) e l’insistenza sulla t che connota l’ultima strofa, fitta di allitterazioni.

Verso le COMPETENZE

Comprendere

1 Dai un titolo a ciascuna strofa e sintetizzane il contenuto.


2 Perché Arsenio può essere considerato una controfigura dell’autore?


3 Che cos’è il salso nembo / vorticante (vv. 15-16)?

Analizzare

4 Individua le allitterazioni presenti nel componimento.


5 Elenca nella tabella i vocaboli tecnici, quelli prosaici e quelli letterari presenti nel componimento.


Vocaboli tecnici

Vocaboli prosaici

Vocaboli letterari

     
     
     

6 In che cosa consiste la “tregua” espressa nella terza strofa, e come è connotata dal punto di vista stilistico?

Interpretare

7 Quale significato assume il temporale?

COMPETENZE LINGUISTICHE

8 Distingui, nel componimento, i verbi alla seconda persona dell’indicativo presente e quelli alla seconda persona dell’imperativo presente: in che modo questi due modi verbali contribuiscono alla creazione del “personaggio” di Arsenio?


Indicativo

Imperativo

 


 

Produrre

9 Scrivere per argomentare. In questa e in altre poesie Montale fa riferimento a una serie di oggetti, di abitudini e di circostanze che ci inchiodano alla vita di sempre, impedendoci di aprirci a possibilità diverse. Quali sono a tuo avviso questi oggetti e questi comportamenti che nella vita di ciascuno funzionano come “radici” che ci legano all’esistenza consueta? Rispondi in un testo argomentativo di circa 30 righe, facendo riferimento alle tue esperienze e alle tue osservazioni.

Per approfondire Montale e la musica

Montale baritono

In campo artistico il primo amore di Montale non è la letteratura, bensì la musica, più precisamente il canto. Dall’adolescenza fino al 1923 infatti egli studia con il maestro Ernesto Sivori, nella speranza – vanificata dalla morte dell’insegnante – di esibirsi come baritono nei teatri d’opera. L’esperienza gli tornerà utile tanti anni più tardi, nel secondo dopoguerra, quando eserciterà il ruolo di critico musicale per il “Corriere d’Informazione”. Ma la sua formazione musicale ha importanza anche su altri piani, come lascia intendere egli stesso nell’Intervista immaginaria, sottolineando come esista «un problema d’impostazione anche fuori dal canto in ogni opera umana».

Accordi e Movimenti

Negli anni in cui studiava musica, Montale aveva già composto i primi versi, tra i quali spicca il ciclo degli Accordi (Sensi e fantasmi di una adolescente), pubblicato sulla rivista “Primo tempo” nel 1922 e costituito da sette liriche, ciascuna dedicata a un diverso strumento: Violini, Violoncelli, Flauti-Fagotti, Contrabbasso, Oboe, Corno inglese, Ottoni. Negli Ossi di seppia l’autore salverà solo il penultimo, inserito in una suite di quattro componimenti dal titolo Movimenti, dove si trova anche un pezzo dal titolo Minstrels, ispirato da Claude Debussy.

Un affascinante paesaggio sonoro

Suggestioni musicali si possono individuare in tutta l’opera di Montale, nella quale si compone uno dei paesaggi sonori più complessi e affascinanti della letteratura italiana moderna. Nella serie dei Mottetti, compresa nelle Occasioni, si alternano per esempio in rapida successione una «cadenza di carioca», danze movimentate come la «furlana» e il «rigodone», una voce che intona «do re la sol sol», Clizia che finge il trillo di «Lakmé nell’Aria delle Campanelle» e infine un «suono di cornetta» che «dialoga con gli sciami del querceto». Beninteso, la musica non è soltanto tematizzata, ma dappertutto perseguita con efficacia tramite gli accordi fonici su cui si è insistito nell’analisi dei singoli componimenti.

Volti e luoghi della letteratura - volume 3B
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Dalla Prima guerra mondiale a oggi