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Come ha notato Italo Calvino, Forse un mattino si distingue dagli altri “ossi brevi” «in quanto priva di oggetti, di emblemi naturali, priva di un paesaggio determinato, è una poesia d’immaginazione e di pensiero astratti, come raramente in Montale», che per una volta rinuncia a situare l’azione nello scenario ligure. Più consueta è invece l’atmosfera di sospensione e silenzio che propizia il miracolo: la trasparenza dell’aria rende le cose tanto nitide da provocare un effetto d’irrealtà.
È, quest’ultimo, un motivo ricorrente nella cultura europea fra Ottocento e Novecento: pensiamo per esempio alle opere di Luigi Pirandello, o alle idee del filosofo Schopenhauer sul mondo fenomenico, precaria illusione equiparata al “velo di Maya” che nasconde l’essenza delle cose. Montale declina il tema in termini originali, che Calvino paragona a quelli di una leggenda dei boscaioli nordamericani riportata da Jorge Luis Borges nella sua Zoologia fantastica: «C’è un animale che si chiama hide-behind e che sta sempre alle tue spalle, ti segue dappertutto, nella foresta, quando vai per legna; ti volti ma per quanto tu sia svelto lo hide-behind è più svelto ancora e si è già spostato dietro di te; non saprai mai com’è fatto ma è sempre lì. […] Potremmo dire che l’uomo di Montale è quello che è riuscito a voltarsi e a vedere com’è fatto lo hide-behind: ed è più spaventoso di qualsiasi animale, è il nulla. […] Capire è tutta questione d’essere veloci, rivolgersi tutt’a un tratto per sorprendere lo hide-behind, è una giravolta su se stessi vertiginosa ed è in quella vertigine la conoscenza».