T11 - Non chiederci la parola

T11

Non chiederci la parola

Scritta nel 1923 e collocata in apertura della sezione Ossi di seppia, è una delle poesie più celebri della letteratura italiana del Novecento. Montale vi definisce la sua poetica per via negativa, nella convinzione che sia possibile esprimere soltanto ciò che non siamo, ciò che non vogliamo.


Metro 3 quartine polimetriche, con prevalenza di endecasillabi; le prime due a rima incrociata (ABBA, CDDC), l’ultima a rima alternata (EFEF). Ai vv. 6-7 la rima è ipermetra (amico : canicola).

Non chiederci la parola che squadri da ogni lato

l’animo nostro informe, e a lettere di fuoco

lo dichiari e risplenda come un croco

perduto in mezzo a un polveroso prato.


5      Ah l’uomo che se ne va sicuro,

agli altri ed a se stesso amico,

e l’ombra sua non cura che la canicola

stampa sopra uno scalcinato muro!


Non domandarci la formula che mondi possa aprirti,

10    sì qualche storta sillaba e secca come un ramo.

Codesto solo oggi possiamo dirti,

ciò che non siamo, ciò che non vogliamo.

Analisi ATTIVA

I contenuti tematici

Non chiederci la parola apre la sezione degli “ossi brevi” che dà il titolo all’intera raccolta. Montale colloca il componimento in questa posizione privilegiata enfatizzandone così la funzione di “manifesto”, in cui sinteticamente espone il suo modo di intendere la poesia. Per farlo sceglie una modalità dialogica, rivolgendosi a un “tu” non meglio precisato, da parte di un “noi” che vorrebbe sottintendere un’intera generazione di uomini e di artisti, privi delle certezze ideologiche che avevano sostenuto l’opera dei loro predecessori, come Carducci, Pascoli e soprattutto d’Annunzio. Ai proclami di quest’ultimo il poeta oppone un sapere solo negativo, che respinge sul piano filosofico-conoscitivo prima ancora che politico le verità positive e il vitalismo allora dominante, andando molto al di là del semplice, sia pur significativo, rifiuto nei confronti della dittatura fascista, da poco al potere.


1 Già nella prima strofa l’io lirico indica che cosa non si può chiedere ai poeti. Di che si tratta?


2 Quali osservazioni puoi fare sull’antitesi tra la parola che squadri (v. 1) e l’animo nostro informe (v. 2)?

 >> pagina 222 

Montale mutua da Leopardi e Schopenhauer un pessimismo inflessibile, che dà origine a una visione del mondo al tempo stesso scettica e stoica, vale a dire insieme rinunciataria e coraggiosa. Se il «male di vivere» è la norma, infranta soltanto dallo sporadico sbocciare di un laico «miracolo», compito del poeta non è consolare gli afflitti o rimettersi a una fede pacificante, ma squarciare il velo dell’apparenza e stabilire con il lettore una solidarietà fondata sulla comune consapevolezza di una realtà amara e irriducibile a una formula (v. 9) precostituita.

Tale approccio è sintomo di uno stato di crisi personale e storica, in cui qualunque dogma finirebbe con il somigliare a un fiore dalle tinte troppo vivaci nel polveroso prato (v. 4) dell’esistenza. Eppure esistono uomini che non vedono la propria ombra, che non vivono cioè la sofferenza di una divisione interiore e procedono per la loro strada noncuranti e sereni, in armonia con sé stessi e con il prossimo. Nei confronti della loro inconsapevolezza il poeta prova quel misto di compassione e ironia riservato a Esterina in Falsetto ( T10, p. 218). Il suo relativismo gli impedisce di credere che la poesia possa offrire soluzioni o formule chiarificatrici. Eppure Montale non si abbandona a un nichilismo compiaciuto, e si dispone comunque a lasciare aperta una porta: Codesto solo oggi possiamo dirti, / ciò che non siamo, ciò che non vogliamo (vv. 11-12). La porta aperta è quell’oggi: domani, chissà, potrebbe apparire un «varco».


3 Quale tono può avere, secondo te, l’Ah che apre il v. 5?


4 Spiega che cosa intende secondo te il poeta con l’espressione ad altri e a se stesso amico (v. 6).


5 Nel componimento può essere individuata una continua contrapposizione tra due opposte concezioni della vita, l’apparire e l’essere: quali elementi ed immagini puoi associare all’una e all’altra? Individuali: puoi formare una serie di coppie oppositive? quali?

Le scelte stilistiche

La struttura della lirica si basa su due strofe dichiarative che ne incorniciano una descrittiva. Il dominio della negatività è stabilito dagli imperativi che all’inizio della prima e della terza strofa anticipano le intenzioni dell’interlocutore (Non chiederci, Non domandarci) e viene fissato definitivamente dalla sentenza dell’ultimo verso, in cui i due non tornano rinforzati dal corsivo. All’argomentazione fa riscontro un’esemplificazione condotta, come di consueto, in termini estremamente concreti. Il polveroso prato del v. 4 attiva infatti la descrizione della strofa successiva: un uomo che cammina e la sua ombra proiettata su un muro scalcinato. Quest’uomo tranquillo e indifferente, che non si preoc­cupa della propria ombra (vale a dire, fuor di metafora, della condizione problematica dell’uomo nel mondo, del suo essere interiormente diviso), assomiglia agli «uomini che non si voltano» di Forse un mattino andando in un’aria di vetro ( T14, p. 228): anche qui è la negazione a caratterizzarne l’atteggiamento. In altre parole, il poeta non vuole essere come coloro che si sottragono a una conoscenza lucida della realtà.


6 Per quale motivo il poeta si esprime al plurale?


7 Come puoi interpretare il polveroso prato (v. 4)?


8 L’immagine della storta sillaba e secca come un ramo (v. 10) è, a tuo parere, da intendersi in senso negativo oppure no? perché?

 >> pagina 223 

Il messaggio di Montale si modella in qualche storta sillaba e secca come un ramo (v. 10): l’allitterazione* della s e l’iperbato concorrono a sottolineare la natura aspra della parola poetica. Quest’idea è ribadita dagli elementi del paesaggio, che rimandano alla sfera semantica dell’aridità: il prato polveroso, la canicola, lo scalcinato muro, che anche in Meriggiare pallido e assorto ( T12, p. 223) mostrano in maniera emblematica la condizione umana.

Sul piano metrico, la mancanza di regolarità sillabica è compensata dal sistematico ricorso a rime perfette, quasi a riprodurre la dialettica tra “informe” e geometrico su cui si regge il componimento.


9 Individua almeno tre versi in cui compaiano delle evidenti allitterazioni: quale significato vogliono sottolineare?


10 Quale registro lessicale prevale, quello aulico o quello colloquiale? Rispondi facendo riferimento al testo.

T12

Meriggiare pallido e assorto

Scritto dal poeta a soli vent’anni, nel 1916, e rivisto nel 1922, il componimento in origine si intitolava Tra gli orti, poi Rottami, titolo che per qualche tempo Montale pensò di estendere all’intera raccolta. Contenuto nella sezione Ossi di seppia, è il primo testo maturo del poeta ligure, che vi “trova” il suo paesaggio: l’arsa e desolata natura mediterranea in cui si riflette la condizione umana.


Metro 3 quartine e una strofa di 5 versi liberi, con misure oscillanti tra il novenario e l’endecasillabo. Le rime si dispongono secondo lo schema AABB CDC(ipermetra)D EEFF GHG(imperfetta)GH.

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Audiolettura

Meriggiare pallido e assorto

presso un rovente muro d’orto,

ascoltare tra i pruni e gli sterpi

schiocchi di merli, frusci di serpi.


5      Nelle crepe del suolo o su la veccia

spiar le file di rosse formiche

ch’ora si rompono ed ora s’intrecciano

a sommo di minuscole biche.


Osservare tra frondi il palpitare

10    lontano di scaglie di mare

mentre si levano tremuli scricchi

di cicale dai calvi picchi.


E andando nel sole che abbaglia

sentire con triste meraviglia

15    com’è tutta la vita e il suo travaglio

in questo seguitare una muraglia

che ha in cima cocci aguzzi di bottiglia.

 >> pagina 224 

Dentro il TESTO

I contenuti tematici

L’annullarsi del tempo, al culmine di un assolato giorno estivo, è una situazione tipica di Alcyone, dove contribuisce a determinare la fusione tra l’uomo e il sensuale paesaggio tirrenico. Montale riprende questo motivo imprimendogli una forte torsione: al panismo subentra una sensazione di irrimediabile «disarmonia» trasposta in un luogo brullo e scosceso, teatro di un’amara meditazione sul significato della vita, paragonata a un insensato procedere lungo un invalicabile rovente muro d’orto (v. 2). La natura non si presta qui a un contatto sereno, ma rispecchia l’aridità dello spirito, quasi intorpidito nel suo monotono viaggio su terreni screpolati dal calore, coperti di pruni e sterpi (v. 3), circondati da calvi picchi (v. 12). La luminosità accecante si rifrange sulla superficie del mare, che scintilla in lontananza come un ristoro potenzialmente consolante, ma in real­tà remoto e perciò intangibile.

Il frenetico movimento delle formiche, nella seconda strofa, allude alla condizione umana e ricorda una celebre pagina dello Zibaldone, dove Giacomo Leopardi si china a osservare «un giardino di piante, d’erbe, di fiori», scoprendovi una miniatura dell’universale sofferenza in cui si dibatte il creato. Anche Montale rovescia il topos tradizionale classico del locus amoenus, senza ricavarne però, come Leopardi, un moto di ribellione, ma soltanto un senso di avvilita impotenza. Lo sguardo del poeta progressivamente si alza, dalle crepe del suolo (v. 5) alle onde del mare, e di qui ai calvi picchi (v. 12) che si ergono nei paraggi. Infine l’osservazione attenta cede il campo a una riflessione, che ne è conseguenza: la progressione dei verbi percettivi (ascoltare, spiar, Osservare…) culmina nel sentire della quarta strofa, che indica al tempo stesso una sensazione fisica e un sentimento interiore. Il rovente muro d’orto (v. 2) diviene muraglia (v. 16) insuperabile: vivere equivale a costeggiarla, sapendo che ogni tentativo di scavalcarla è impedito dai cocci aguzzi di bottiglia (v. 17) che la sormontano, suggellando l’irrimediabile destino di solitudine dell’uomo.

Le scelte stilistiche

Inizialmente alla figura del poeta nella lirica fanno diretto riferimento soltanto due aggettivi, pallido e assorto (v. 1), che sottolineano il suo distacco emotivo da ciò che lo circonda. Nella quarta strofa il sentire con triste meraviglia del v. 14 indica però un mutato atteggiamento: all’inizio il poeta è in quella condizione di fiacca meditazione, un po’ sbalordita, tipica dei pomeriggi estivi; ma, dopo aver percorso con lo sguardo il paesaggio circostante, come riscuotendosi dal proprio torpore si accorge che quell’ambiente assomiglia al suo stato d’animo, e tira le fila del confronto attraverso l’immagine del cammino lungo la muraglia sormontata dai cocci di vetro (che vengono inquadrati per ultimi e si presume scintillino nella luce del sole).

Anche sul piano stilistico siamo agli antipodi della fusione con gli elementi della natura più volte messa in scena in Alcyone. L’enunciazione, interamente condotta tramite verbi all’infinito, realizza il secondo principio del Manifesto tecnico della letteratura futurista: «Si deve usare il verbo all’infinito, perché si adatti elasticamente al sostantivo e non lo sottoponga all’io dello scrittore che osserva o immagina». Gli atti percettivi (ascoltare, spiar, Osservare, sentire), sottratti all’emotività del soggetto e a uno sviluppo cronologico, acquistano portata universale e contribuiscono a creare l’idea di un ritmo ripetitivo, prestabilito e immodificabile. Anche il verbo seguitare (v. 16) contiene in sé l’idea di un moto obbligato e privo di senso. Il poeta è ridotto a semplice soggetto percipiente.

 >> pagina 225 

In un passaggio dell’Intervista immaginaria (1946), Montale sostiene di aver tentato di comporre, negli Ossi di seppia, «un verso che aderisse a ogni fibra di quel suolo» in cui era cresciuto. Nessuna poesia meglio di Meriggiare pallido e assorto conferma questa intenzione: tutto il componimento è accordato sul tono stridulo delle cicale (v. 12), protagoniste del paesaggio sonoro insieme ai merli e alle serpi fruscianti (v. 4). In questa scelta si sente l’influenza del modello delle «rime aspre e chiocce» di Dante (cioè dei suoni più duri e “infernali” della Commedia), che governa la mescolanza plurilinguistica fra termini letterari (come pruni e frondi) e prosaici (come i cocci aguzzi di bottiglia). Non meno importante è la memoria del fonosimbolismo* di Pascoli: la disarmonia esistenziale si traduce infatti nella prevalenza di suoni duri e dissonanti, in cui primeggiano la c velare e la r (schiocchi, scricchi, merli, frusci, tremuli, frondi ecc.). Numerose sono anche le rime difficili (sterpi : serpi, l’ipermetra veccia : intrecciano, formiche : biche). Va poi notata la virtuosistica sequenza dell’ultima strofa, tutta condotta sulla ricorrenza del gruppo gl: abbaglia : meraviglia : travaglio : muraglia : bottiglia. È un caso singolare: in seguito Montale cercherà combinazioni altrettanto raffinate, ma meno vistose.

Verso le COMPETENZE

Comprendere

1 Che cosa fanno le formiche nella seconda strofa?


2 Elenca i verbi all’infinito presenti nel testo e indica quali esprimono un’azione e quali una percezione.


3 Il poeta compie particolari azioni? Se sì, quali? Se no, perché?

Analizzare

4 Individua i riferimenti a suoni e rumori della natura presenti nel componimento.


5 Elenca nella tabella gli elementi visivi e quelli sonori.


Elementi visivi

Elementi sonori

   
   
   
   

Interpretare

6 La lirica è costruita sulla successione di immagini concrete che acquistano, secondo la prospettiva del correlativo oggettivo, valenze simboliche. Precisa tali significati, riassumendoli nella tabella.


Immagini concrete

Valenze simboliche

   
   
   
   

Produrre

7 Scrivere per raccontare. Immagina una continuazione del componimento. Dove va il poeta? Qual è la sua meta? Scrivi un testo narrativo di circa 30 righe.

Dibattito in classe

8 Discuti con i compagni delle differenze tra il meriggiare montaliano e il Meriggio dannunziano, sia sotto l’aspetto del paesaggio descritto che sotto quello della concezione generale dell’esistenza.

Volti e luoghi della letteratura - volume 3B
Volti e luoghi della letteratura - volume 3B
Dalla Prima guerra mondiale a oggi