PALESTRA di SCRITTURA

  PALESTRA di scrittura

Il ritorno di Mattia Pascal

Il fu Mattia Pascal, cap. 18

Siamo alle pagine conclusive del romanzo. Dopo un’assenza di due anni, il protagonista è tornato nel suo paese natale, Mignano, dove però nessuno sulle prime sembra riconoscerlo.

Sceso giù in istrada, mi trovai ancora una volta sperduto, pur qui, nel mio stesso

paesello nativo: solo, senza casa, senza mèta.

«E ora?» domandai a me stesso. «Dove vado?»

Mi avviai, guardando la gente che passava. Ma che! Nessuno mi riconosceva?

5       Eppure ero ormai tal quale: tutti, vedendomi, avrebbero potuto almeno pensare:

«Ma guarda quel forestiero là, come somiglia al povero Mattia Pascal! Se avesse

l’occhio un po’ storto,1 si direbbe proprio lui». Ma che! Nessuno mi riconosceva,

perché nessuno pensava più a me. Non destavo neppure curiosità, la minima sorpresa… 

E io che m’ero immaginato uno scoppio, uno scompiglio, appena mi fossi

10    mostrato per le vie! Nel disinganno profondo, provai un avvilimento, un dispetto,

un’amarezza che non saprei ridire; e il dispetto e l’avvilimento mi trattenevano dallo 

stuzzicar l’attenzione di coloro che io, dal canto mio, riconoscevo bene: sfido!

dopo due anni… Ah, che vuol dir morire! Nessuno, nessuno si ricordava più di

me, come se non fossi mai esistito…

15    Due volte percorsi da un capo all’altro il paese, senza che nessuno mi fermasse.

Al colmo dell’irritazione, pensai di ritornar da Pomino,2 per dichiarargli che i patti

non mi convenivano e vendicarmi sopra lui dell’affronto che mi pareva tutto il paese 

mi facesse non riconoscendomi più. Ma né Romilda con le buone mi avrebbe

seguito, né io per il momento avrei saputo dove condurla. Dovevo almeno prima

20    cercarmi una casa. Pensai d’andare al Municipio, all’ufficio dello stato civile, per

farmi subito cancellare dal registro dei morti; ma, via facendo, mutai pensiero e

mi ridussi a questa biblioteca di Santa Maria Liberale, dove trovai al mio posto il

reverendo don Eligio Pellegrinotto, il quale non mi riconobbe neanche lui, lì per

lì. Don Eligio veramente sostiene che mi riconobbe subito e che soltanto aspettò

25    ch’io pronunziassi il mio nome per buttarmi le braccia al collo, parendogli impossibile 

che fossi io, e non potendo abbracciar subito uno che gli pareva Mattia

Pascal. Sarà pure così! Le prime feste me le ebbi da lui, calorosissime; poi egli volle

per forza ricondurmi seco in paese per cancellarmi dall’animo la cattiva impressione 

che la dimenticanza dei miei concittadini mi aveva fatto.

30    Ma io ora, per ripicco,3 non voglio descrivere quel che seguì alla farmacia del

Brìsigo prima, poi al Caffè dell’Unione, quando don Eligio, ancor tutto esultante,

mi presentò redivivo. Si sparse in un baleno la notizia, e tutti accorsero a vedermi

e a tempestarmi di domande. Volevano sapere da me chi fosse allora colui che

s’era annegato alla Stìa,4 come se non mi avessero riconosciuto loro: tutti, a uno

35    a uno. E dunque ero io, proprio io: donde tornavo? dall’altro mondo! che avevo

fatto? il morto! Presi il partito di non rimuovermi da queste due risposte e lasciar

tutti stizziti nell’orgasmo della curiosità, che durò parecchi e parecchi giorni. 

più fortunato degli altri fu l’amico Lodoletta che venne a “intervistarmi” per il

Foglietto. Invano, per commuovermi, per tirarmi a parlare mi portò una copia del

40    suo giornale di due anni avanti, con la mia necrologia. Gli dissi che la sapevo a

memoria, perché all’Inferno il Foglietto era molto diffuso.

«Eh, altro! Grazie caro! Anche della lapide… Andrò a vederla, sai?»

Rinunzio a trascrivere il suo nuovo pezzo forte della domenica seguente che

recava a grosse lettere il titolo: mattia pascal è vivo!

45    Tra i pochi che non vollero farsi vedere, oltre ai miei creditori, fu Batta Malagna,5 

che pure – mi dissero – aveva due anni avanti mostrato una gran pena per il

mio barbaro suicidio. Ci credo. Tanta pena allora, sapendomi sparito per sempre,

quanto dispiacere adesso. Sapendomi ritornato alla vita. Vedo il perché di quella

e di questo.

50    E Oliva?6 L’ho incontrata per via, qualche domenica, all’uscita dalla messa, col

suo bambino di cinque anni per mano, florido e bello come lei: «mio figlio! Ella

mi ha guardato con occhi affettuosi e ridenti, che m’han detto in un baleno tante

cose…»

Basta. Io ora vivo in pace, insieme con la mia vecchia zia Scolastica, che mi ha

55    voluto offrir ricetto7 in casa sua. La mia bislacca avventura m’ha rialzato d’un tratto

nella stima di lei. Dormo nello stesso letto in cui morì la povera mamma mia, e

passo gran parte del giorno qua, in biblioteca, in compagnia di don Eligio, che è

ancora ben lontano dal dare assetto8 e ordine ai vecchi libri polverosi.

Ho messo circa sei mesi a scrivere questa mia strana storia, ajutato da lui. Di

60    quanto è scritto qui egli serberà il segreto, come se l’avesse saputo sotto il sigillo

della confessione.

Abbiamo discusso a lungo insieme su i casi miei, e spesso io gli ho dichiarato

di non saper veder che frutto se ne possa cavare.

«Intanto, questo,» egli mi dice: «che fuori della legge e fuori di quelle particolarità, 

65    liete o triste che sieno, per cui noi siamo noi, caro signor Pascal, non è

possibile vivere»

Ma io gli faccio osservare che non sono affatto rientrato né nella legge, né nelle

mie particolarità. Mia moglie è moglie di Pomino, e io non saprei proprio dire

ch’io mi sia.

70    Nel cimitero di Miragno, su la fossa di quel povero ignoto che s’uccise alla Stìa,

c’è ancora la lapide dettata da Lodoletta:


COLPITO DA AVVERSI FATI

MATTIA PASCAL

BIBLIOTECARIO

75    CVOR GENEROSO ANIMA APERTA

QVI VOLONTARIO

RIPOSA

LA PIETÀ DEI CONCITTADINI

QVESTA LAPIDE POSE


80    Io vi ho portato la corona di fiori promessa e ogni tanto mi reco a vedermi

morto e sepolto là. Qualche curioso mi segue da lontano; poi, al ritorno, s’accompagna 

a me, sorride, e – considerando la mia condizione – mi domanda:

«Ma voi, insomma, si può sapere ci siete?»

Mi stringo nelle spalle, socchiudo gli occhi e gli rispondo:

85    «Eh, caro mio… Io sono il fu Mattia Pascal».

COMPRENSIONE E ANALISI

Riassumi il brano in circa 10 righe.


Quale situazione trova il protagonista, una volta tornato al paese?


Perché Mattia, inizialmente intenzionato a recarsi all’ufficio dello stato civile per farsi cancellare dal registro dei morti, successivamente cambia idea?


4 In che modo la comunità paesana apprende della clamorosa “resurrezione” di Mattia?


5 Mattia confessa che finalmente può vivere in pace (r. 54): che cosa significa questa espressione? Quale condizione esistenziale sottintende?


6 Che cosa significa che il protagonista non sa immaginare che frutto (r. 63) si possa ricavare dalla sua storia?


7 Quali sono le tesi contrapposte sostenute da don Eligio e Mattia?


8 Perché Mattia sente l’esigenza di visitare la “sua” tomba al cimitero?


9 Il romanzo si chiude con un celebre e paradossale gioco di parole: Io sono il fu Mattia Pascal (r. 85). Spiegane il significato.

INTERPRETAZIONE

Elabora una tua interpretazione del brano proposto evidenziando come esso sviluppi alcuni aspetti centrali della poetica pirandelliana: la formazione dell’identità individuale all’interno delle relazioni e delle convenzioni sociali; la mancanza della libertà per l’uomo, vittima del caso; l’umorismo; l’assurdità dell’esistenza. Prosegui poi il commento affrontando almeno uno dei seguenti spunti.

  • La conclusione del Fu Mattia Pascal sancisce un’evoluzione del pensiero pirandelliano: il protagonista sconta sulla propria pelle l’inutilità delle maschere che l’individuo indossa per farsi accettare dagli altri. Soffèrmati su questo aspetto, mettendo in risalto come esso viene affrontato dall’autore in altre opere da te lette e studiate.
  • Proiettando nella tua epoca il pensiero pirandelliano, ritieni che la tua vita e quella dei tuoi conoscenti siano anch’esse soggette ai condizionamenti della società? Esiste, a tuo giudizio, un modo per sottrarsi alle norme collettive false e inautentiche che riducono il nostro essere a un semplice nome, a una pura parvenza? Argomenta la tua risposta attingendo alle tue conoscenze e alla tua esperienza personale.

 >> pagina 726 

Il sé non esiste

Il critico Roberto Gigliucci (n. 1962) riflette su un tema centrale della visione del mondo di Luigi Pirandello: il carattere relativo dell’identità individuale.

Se diciamo Pirandello, oltre all’umorismo, intendiamo vulgatamente anche:

moltiplicazione dell’io, relativismo della verità, vita e forma, maschera nuda ecc.

Non che questi concetti non siano presenti, anzi ossessivi, nell’opera pirandelliana.

Il rischio è di prenderli, diciamo così, come elementi di una sistemazione

5       scolastica, irrigiditi e semplificati, ovvero per nulla pirandelliani.

Consideriamo ad esempio la condizione dell’io. La sua integrità è minacciata

da una serie di fattori interni ed esterni. In un momento ci sentiamo perfettamente

noi stessi, avvertiamo- anzi, neanche ce ne accorgiamo, lo diamo per assodato- che

il nostro io è una realtà precisa e compatta. Ma dopo un breve lasso di tempi il nostro

10    io ha subito delle mutazioni, sono intervenuti nuovi stimoli. Un anno dopo,

dieci anni dopo, una vita dopo, il nostro io è cambiato ancora, ci illudiamo di rimanere

sempre uguali almeno dentro, ma in realtà non siamo più quelli di prima.

Siamo mutati per noi stessi.

La preposizione “per” è onnipresente nel linguaggio pirandelliano. Si è sempre

15    “per”, mai “in”. È il “per” della permutabilità. Dunque per noi stessi il nostro io

cambia, quindi si moltiplica, anche solo nel tempo. In noi stessi non c’è nulla di

stabile, nonostante le nostre illusioni, anzi non c’è proprio nulla. Per noi stessi, c’è

la molteplicità. Ma non soltanto in una linea temporale l’io viene messo in crisi.

Anche in un lampo attimale: basta scorgersi per un istante allo specchio e vedere

20    con sgomento un altro, qualcuno che noi non vediamo mai, ma pur sempre una

forma del nostro io.

Ecco che si prospettano le minacce disgreganti che vengono dall’esterno. Io

sono anche per gli altri, perché la vita relazionale è imprescindibile. Anzi, è considerata

generalmente parte della nostra stessa sostanza identitaria. Ma tutto ciò

25    non è affatto innocente. Infatti gli altri mi percepiscono come io sono per loro, per

ciascuno di loro. Quindi, se il mio o è teoricamente costruito e rafforzato anche

dalle interazioni sociali, amicali, amorose, in realtà scopriamo che quelle relazioni

contribuiscono a frammentare l’io, o meglio a renderlo prismatico.

Analogamente al guardarsi in uno specchio rimanendo stonati, così è ad esempio

30    lo scoprire l’opinione di qualcuno su di noi, opinione che non avremmo mai

pensato quegli avesse e che ci sembra totalmente estranea o persino ingiusta. Difendiamo

il nostro io dagli attacchi, allora. Ma non possiamo isolarci, uscire da

noi stessi: se lo facciamo siamo morti, oppure evaporiamo in un’estasi che sembra

luminosa ma è invece notturna e tenebrosa, anch’essa potenzialmente letale.

35    Fin qui abbiamo esposto una sorta di parafrasi (non sappiamo quanto goffa)

del pensiero pirandelliano in merito alla prismatizzazione dell’io.

Ma la grande scoperta di Pirandello, a nostro avviso, è nella profonda e devastante

scoperta che l’esito della frantumazione dell’identità è l’assenza d’identità.

Da questo punto di vista Pirandello elabora, sì, acquisizioni della psicologia

40    del suo tempo (si pensi soprattutto ad Alfred Binet,1 autore delle Altérations de la

personnalité, 1892), ma anche anticipa scoperte delle moderne neuroscienze, che

evidenziano la natura illusiva2 del Self, la sostanza artificiale e multifattoriale della

coscienza.

Fra le tre parole Uno, nessuno e centomila, potremmo sintetizzare, la prima indica

45    appunto la tenace illusione del sé, che ci fa andare avanti inconsapevoli, la terza

segnala la moltiplicazione del sé, interna ed esterna, ma la seconda soltanto ci dice

la verità: non esiste il sé.


Roberto Gigliucci, Pirandello, Edizioni del Corriere della Sera, Milano 2017

COMPRENSIONE E ANALISI

La tesi iniziale dell’autore è che sia facile banalizzare l’opera pirandelliana. Che cosa accresce questo rischio?


In che modo la riflessione di Pirandello sulla condizione dell’io può riguardare ciascuno di noi?


Perché la preposizione “per” è tanto ricorrente nel linguaggio pirandelliano?


4 A un certo punto del suo discorso, Gigliucci evidenzia con il corsivo l’espressione per loro. Riflettendo sul senso della sua argomentazione, secondo te che cosa lo ha indotto a utilizzare questo espediente grafico?


5 Che cosa intende dire l’autore quando scrive che Pirandello ha messo in luce la sostanza artificiale e multifattoriale della coscienza (r. 42-43)?


6 Nella parte conclusiva del brano si afferma che una parte del titolo di una famosa opera di Pirandello coglie perfettamente la natura del nostro essere. Spiega tale punto di vista, ricapitolando in circa 5 righe il nucleo concettuale del testo proposto.

PRODUZIONE

Il brano critico si sofferma su uno dei temi più importanti della poetica di Pirandello: la frantumazione dell’io. Approfondisci l’argomento alla luce delle tue conoscenze e della lettura di testi narrativi e/o teatrali dell’autore. Quindi, sulla base della tua esperienza, rispondi ad almeno due delle seguenti domande:

  • come consideri la tua personalità? ti senti, pirandellianamente, scisso/a e ambiguo/a o pensi di essere sempre uguale e coerente con l’immagine che hai di te stesso/a?
  • ritieni che il giudizio che gli altri formulano sulla tua indole coincida sempre con il tuo? da che cosa lo capisci?
  • come appare il prossimo ai tuoi occhi? ti sembra che ciascuno dei tuoi conoscenti indossi una maschera, come pensava Pirandello?
  • definiresti la nostra epoca “pirandelliana”? perché?

Volti e luoghi della letteratura - volume 3A
Volti e luoghi della letteratura - volume 3A
Dal secondo Ottocento al primo Novecento