PALESTRA di SCRITTURA

  PALESTRA di scrittura

La felicità è possibile?

La coscienza di Zeno, cap. 6

Nel sesto capitolo (La moglie e l’amante) Zeno si sposa e vive un breve periodo di serenità all’interno del matrimonio.

Nella mia vita ci furono varii periodi in cui credetti di essere avviato alla salute e alla

felicità. Mai però tale fede fu tanto forte come nel tempo in cui durò il mio viaggio

di nozze eppoi qualche settimana dopo il nostro ritorno a casa. Cominciò con una

scoperta che mi stupì: io amavo Augusta com’essa amava me. Dapprima diffidente,

5      godevo intanto di una giornata e m’aspettavo che la seguente fosse tutt’altra cosa. Ma

una seguiva e somigliava all’altra, luminosa, tutta gentilezza di Augusta ed anche – ciò

ch’era la sorpresa – mia. Ogni mattina ritrovavo in lei lo stesso commosso affetto e in

me la stessa riconoscenza che, se non era amore, vi somigliava molto. Chi avrebbe potuto

prevederlo quando avevo zoppicato da Ada ad Alberta per arrivare ad Augusta1?

10    Scoprivo di essere stato non un bestione cieco diretto da altri, ma un uomo abilissimo.

E vedendomi stupito, Augusta mi diceva: «Ma perché ti sorprendi? Non sapevi

che il matrimonio è fatto così? Lo sapevo pur io che sono tanto più ignorante di te!».

Non so più se dopo o prima dell’affetto, nel mio animo si formò una speranza,

la grande speranza di poter finire col somigliare ad Augusta ch’era la salute personificata.

15    Durante il fidanzamento io non avevo neppur intravvista quella salute, perché

tutto immerso a studiare me in primo luogo eppoi Ada e Guido2. La lampada a petrolio

in quel salotto non era mai arrivata ad illuminare gli scarsi capelli di Augusta.

Altro che il suo rossore!3 Quando questo sparve4 con la semplicità con cui i colori

dell’aurora spariscono alla luce diretta del sole, Augusta batté sicura la via per cui

20    erano passate le sue sorelle5 su questa terra, quelle sorelle che possono trovare tutto

nella legge e nell’ordine o che altrimenti a tutto rinunziano. Per quanto la sapessi

mal fondata perché basata su di me, io amavo, io adoravo quella sicurezza. Di fronte

ad essa io dovevo comportarmi almeno con la modestia che usavo quando si trattava

di spiritismo. Questo poteva essere e poteva perciò esistere anche la fede nella vita.

25    Però mi sbalordiva; da ogni sua parola, da ogni suo atto risultava che in fondo

essa credeva la vita eterna. Non che la dicesse tale: si sorprese anzi che una volta

io, cui gli errori ripugnavano prima che non avessi amati i suoi, avessi sentito il

bisogno di ricordargliene la brevità. Macché! Essa sapeva che tutti dovevano morire,

ma ciò non toglieva che oramai ch’eravamo sposati, si sarebbe rimasti insieme,

30    insieme, insieme. Essa dunque ignorava che quando a questo mondo ci si univa,

ciò avveniva per un periodo tanto breve, breve, breve, che non s’intendeva come si

fosse arrivati a darsi del tu dopo di non essersi conosciuti per un tempo infinito e

pronti a non rivedersi mai più per un altro infinito tempo. Compresi finalmente

che cosa fosse la perfetta salute umana quando indovinai che il presente per lei

35    era una verità tangibile in cui si poteva segregarsi6 e starci caldi. Cercai di esservi

ammesso e tentai di soggiornarvi risoluto di non deridere me e lei, perché questo

conato non poteva essere altro che la mia malattia ed io dovevo almeno guardarmi

dall’infettare chi a me s’era confidato. Anche perciò, nello sforzo di proteggere lei,

seppi per qualche tempo movermi come un uomo sano.

40    Essa sapeva tutte le cose che fanno disperare, ma in mano sua queste cose cambiavano

di natura. Se anche la terra girava non occorreva mica avere il mal di mare!

Tutt’altro! La terra girava, ma tutte le altre cose restavano al loro posto. E queste cose

immobili avevano un’importanza enorme: l’anello di matrimonio, tutte le gemme e i

vestiti, il verde, il nero, quello da passeggio che andava in armadio quando si arrivava

45    a casa e quello di sera che in nessun caso si avrebbe potuto indossare di giorno, né

quando io non m’adattavo di mettermi in marsina7. E le ore dei pasti erano tenute

rigidamente e anche quelle del sonno. Esistevano, quelle ore, e si trovavano sempre

al loro posto.

Di domenica essa andava a Messa ed io ve l’accompagnai talvolta per vedere

50    come sopportasse l’immagine del dolore e della morte. Per lei non c’era, e quella

visita le infondeva serenità per tutta la settimana. Vi andava anche in certi giorni

festivi ch’essa sapeva a mente. Niente di più, mentre se io fossi stato religioso mi

sarei garantita la beatitudine stando in chiesa tutto il giorno.

C’erano un mondo di autorità anche quaggiù che la rassicuravano. Intanto

55    quella austriaca o italiana che provvedeva alla sicurezza sulle vie e nelle case ed io

feci sempre del mio meglio per associarmi anche a quel suo rispetto. Poi v’erano

i medici, quelli che avevano fatto tutti gli studii regolari per salvarci quando –

Dio non voglia – ci avesse a toccare qualche malattia. Io ne usavo ogni giorno di

quell’autorità: lei, invece, mai. Ma perciò io sapevo il mio atroce destino quando la

60    malattia mortale m’avesse raggiunto, mentre lei credeva che anche allora, appoggiata

solidamente lassù e quaggiù, per lei vi sarebbe stata la salvezza.

Io sto analizzando la sua salute, ma non ci riesco perché m’accorgo che, analizzandola,

la converto in malattia. E, scrivendone, comincio a dubitare se quella

salute non avesse avuto bisogno di cura o d’istruzione per guarire. Ma vivendole

65    accanto per tanti anni, mai ebbi tale dubbio.

Quale importanza m’era attribuita in quel suo piccolo mondo!

COMPRENSIONE E ANALISI

1 Che cosa sorprende e rende felice Zeno quando torna dal viaggio di nozze?


2 Zeno manifesta un certo sadismo per compensare il senso di inferiorità che prova nei confronti della moglie. Quale affermazione mette in evidenza questo suo costume?


3 In un passo del testo, il narratore esprime una qualità delle brave mogli come lo è Augusta. Dove e in che cosa consiste tale caratteristica? Quale similitudine viene usata per rappresentare l’atteggiamento di Zeno nei confronti della visione della vita della moglie e che cosa essa sottintende?


4 Come si manifesta la perfetta salute umana (r. 34) che Zeno coglie in Augusta?


5 Che cosa significa che la terra girava, ma tutte le altre cose restavano al loro posto (r. 42)?


6 Conclusa la lettura del testo, ti sembra che Zeno sia riuscito a uniformarsi alla serena concretezza di Augusta? Ci ha provato davvero? Motiva la tua risposta.


7 Rintraccia nel testo la presenza di interventi ironici del narratore e individuane la funzione.

INTERPRETAZIONE

Il brano esemplifica chiaramente il nesso dialettico tra salute e malattia che costituisce uno dei nuclei fondamentali della Coscienza di Zeno. Facendo eventualmente riferimento ad altri passi del romanzo che hai letto, approfondisci questa tematica collegandola ai caratteri del soggetto delineati dal romanzo italiano ed europeo tra la fine dell’Ottocento e l’inizio del Novecento. Commenta poi la prospettiva con la quale Augusta concepisce la normalità: condividi i suoi valori e la sua mentalità? Alla luce della visione della vita della moglie di Zeno, ritieni anche tu di poter rivalutare la “malattia”?

 >> pagina 627 

Svevo e l’irresistibile “vizio” di scrivere

Lo studioso Matteo Palumbo (n. 1946) analizza un elemento caratterizzante della vita di Italo Svevo, ma anche dei personaggi dei suoi romanzi.

Tutti i personaggi di Svevo, in un modo o in un altro, per ragioni e con obiettivi

diversi, scrivono qualcosa. Dal protagonista del primo romanzo, Una vita, alle

pagine di appunti che l’ultima incarnazione di Zeno accumula senza tregua, si può

verificare la regolarità di un’abitudine, che finisce progressivamente per diventare

5      una vera necessità. La scrittura costituisce, infatti, nei destini che coinvolgono gli

antieroi di Svevo, un predicato costante. Non solo rappresenta una risorsa di cui si

servono, ma, piuttosto, definisce un’attività che fa parte integrante della loro natura:

un riflesso di cui non possono fare a meno e da cui nessun lettore può prescindere.

La vocazione per la letteratura occupa, infatti, il primo posto tra le qualità (o

10    le dannazioni) dell’“uomo inetto”, costituendo un contrassegno della sua anima

incompleta, alla ricerca permanente di equilibri mancanti nell’ordine della vita: la

propria come quella degli altri. In un passo del 1902 Svevo non può, infatti, che

attestare «l’abitudine» sua e «di tutti gli impotenti di non saper pensare che con la

penna alla mano». La volontà di un’intonazione, da riscoprire dentro la musica

15    stonata degli avvenimenti e di fronte alla loro selvaggia aggressione, spingerà di

nuovo uno Zeno, ancora torvo e inquieto, a completare il ciclo dei predecessori e

a ritornare, dopo il congedo apocalittico della Coscienza, davanti alle sue pagine

bianche, rinnovando un patto con se stesso praticamente, ormai, senza scadenze

o limiti: «Io voglio scrivere ancora. In queste carte metterò tutto me stesso la mia

20    vicenda. In casa mi danno del brontolone. Li sorprenderò. Non aprirò più la bocca

e brontolerò su questa carta».

Il proclama di fedeltà annunciato non mostra che l’atto conclusivo di una lunga

rappresentazione. Lo scrivere, che diventa nelle confessioni estreme «una misura

d’igiene», cui il vecchione1 attenderà «ogni sera poco prima di prendere il purgante», 

25    è una tentazione di cui sono prigionieri tutti, dal primo all’ultimo «inetto». In

ciascuno di essi la vita vissuta si raddoppia e si intensifica nel mondo dei segni,

depositati, uno dopo l’altro, sui fogli distesi davanti agli occhi. Ogni personaggio,

sforzandosi di trovare parole «usualmente» non dette, può cercare il senso supplementare

da assegnare alla «vita orrida vera», che scorre «sepolta non appena nata,

30    con quei giorni che vanno via e s’accumulano uno eguale all’altro a formare gli

anni, i decenni»). La lotta che ognuno di essi ingaggia sarà, dunque, anche una lotta

contro il disordine del tempo: da correggere e da interpretare proprio attraverso

le pagine di un unico infinito racconto.


Se dal mondo fittizio dei romanzi passiamo a riscontri documentari che riguardano

35    direttamente le idee di Ettore Schmitz alias Italo Svevo, le indicazioni

diventano non meno rigorose, e anzi contribuiscono decisamente a illuminare le

opzioni stesse dei personaggi e le radici della loro costanza. La riflessione sul senso

dello scrivere e sulle modalità con cui questo esercizio deve compiersi ha convalide

esemplari nelle testimonianze autobiografiche di Svevo e coincide con la direzione

40    stessa delle sue costruzioni narrative. Nei fogli del proprio diario, dopo aver incluso,

il 30 settembre 1899, una paginetta di meditazioni sulle donne e il matrimonio

sotto la voce metaletteraria di Scribacchiature, Svevo annota:


Io credo, sinceramente credo, che non c’è miglior via per arrivare a scrivere sul
serio che di scribacchiare giornalmente. Si deve tentar di portare a galla dall’imo2

45    del proprio essere, ogni giorno un suono, un accento un residuo fossile o vegetale
di qualche cosa che sia o non sia il puro pensiero, che sia o non sia sentimento,
ma bizzarria, rimpianto, un dolore, qualche cosa di sincero, anatomizzato, e tutto
e non di più. Altrimenti, facilmente si cade, – il giorno in cui si crede d’esser autorizzati
di prender la penna – in luoghi comuni o si travia quel luogo proprio che   

50    non fu a sufficienza disaminato. Insomma fuori della penna non c’è salvezza. Chi
crede di poter fare il romanzo facendone la mezza pagina al giorno e null’altro,
s’inganna a partito.


Si tratta di un passo notissimo: un’istruzione consegnata a ciascun artista sulla

tecnica di esprimere e di comporre, secondo l’etimo strutturale che il termine

55    possiede, la vita più sfuggente e inafferrabile della soggettività. Può anche accadere

che ciò che si ha davanti non siano pensieri chiari e distinti, ma stati indecifrabili,

sensazioni che non hanno nome e classificazione, e che possono appartenere a

una zona ambigua, sotto specie di «bizzarria, rimpianto, un dolore, qualche cosa

di sincero, anatomizzato, e tutto e non di più». Quello che conta, in questo elenco

60    tortuoso, composto di elementi pronti a elidersi e a mutarsi nel loro opposto

(«qualche cosa [...] che sia o non sia sentimento») è soprattutto «portare a galla

dall’imo del proprio essere» il «residuo» di un’esperienza, la traccia duratura dei

giorni e dei processi che essi avviano volta per volta nel mondo sotterraneo della

coscienza. Questa pratica tenace di analisi e di rivelazione acquista un nome preciso

65    nel vocabolario di Svevo. Essa corrisponde all’esercizio ostinato e quotidiano

catalogato come “scribacchiare”: un lavoro avventuroso e insicuro, privo di direzioni,

ma tappa necessaria, sforzo preliminare a quell’altro esercizio etichettato da

Svevo con la sigla di “scrivere sul serio”.


Matteo Palumbo, Il romanzo italiano da Foscolo a Svevo, Carocci, Roma 2018

COMPRENSIONE E INTERPRETAZIONE

1 Quale caratteristica accomuna tutti i personaggi di Svevo?


2 Spiega il significato della prima citazione sveviana riportata dall’autore.


3 Quale compito viene affidato da Zeno alla scrittura?


4 Di quali elementi si serve l’autore per dimostrare il carattere autobiografico dei pensieri dei personaggi sveviani?


5 Portare a galla dall’imo del proprio essere, ogni giorno un suono, un accento un residuo fossile o vegetale di qualche cosa che sia o non sia il puro pensiero… (rr. 44-46): spiega con parole tue il significato di questo pensiero che Svevo appunta in una pagina di diario.


6 Perché, secondo l’autore, il verbo scribacchiare (r. 44) rende perfettamente l’idea dell’attività quotidiana di Svevo?

PRODUZIONE

Il brano critico analizza il rapporto che Svevo ha avuto con la letteratura. Dopo esserti soffermato sull’anomala figura di letterato che egli ha incarnato (anche in confronto con quella degli scrittori a lui contemporanei), esponi la tua tesi sulle funzioni e sulle modalità della scrittura oggi. Nell’esprimerla, puoi utilizzare alcuni dei seguenti spunti, da affermare o da confutare:

  • la scrittura nasce dall’urgenza di comunicare qualcosa che non si può tacere;
  • scrivere significa esprimere sé stessi in modo immediato;
  • quando scriviamo, dobbiamo fare attenzione alla forma;
  • oggi, per comunicare efficacemente bastano la voce e le immagini.

Volti e luoghi della letteratura - volume 3A
Volti e luoghi della letteratura - volume 3A
Dal secondo Ottocento al primo Novecento