Chi è, davvero, il narratore della Coscienza di Zeno? di Gino Tellini

LETTURA critica

Chi è, davvero, il narratore della Coscienza di Zeno?

di Gino Tellini

Contrariamente a quanto accade nel modello manzoniano, la finzione narrativa del manoscritto ritrovato non accresce l’attendibilità realistica della Coscienza di Zeno. Nemmeno il genere autobiografico al quale appartiene il capolavoro di Svevo garantisce la perfetta sovrapponibilità del protagonista con l’autore. Su tali aspetti si concentrano le riflessioni di Gino Tellini (n. 1946), che individua proprio nell’alto tasso di ambiguità uno degli aspetti più originali della confessione di Zeno Cosini.

Il topos classico del manoscritto ritrovato, in simile aggiornamento novecentesco, letteralmente ribalta il suo obiettivo originario, che intende certificare (come accade nel classico modello del romanzo manzoniano) la veridicità dei fatti riferiti. Qui si risolve invece in una preliminare astuzia narrativa che garantisce, e insieme esalta, l’intenzionale ambiguità del testo. Infatti non sappiamo in quale misura il narratore sia fededegno, non sappiamo in quale misura Zeno sia attendibile nella sua autoanalisi: 1) perché destinatario diretto del «manoscritto» è il medico, che Zeno disprezza e desidera ingannare, circuire (non solo per la dinamica del transfert); 2) perché Zeno, anche indipendentemente dal suo rapporto con lo psicanalista, ammette di non brillare per sincerità («come aprivo la bocca svisavo cose o persone perché altrimenti mi sarebbe sembrato inutile di parlare»); 3) perché Zeno rincara la dose della menzogna, speculando sulla propria dialettalità triestina. L’alibi dell’insufficienza linguistica è investito produttivamente, con mossa geniale, nell’ingranaggio dell’invenzione narrativa. Il lettore non può che addentrarsi con mille cautele e circospezioni in questo ambiguo, avvolgente, seduttivo, frastornante labirinto della memoria. L’investigazione dell’io è impresa improbabile, rischiosa, enigmatica.

[…] Certo è che «il sapore e il valore del ricordo» sono assicurati dalla persuasiva e coinvolgente affabulazione dell’io narrante che riesce a risuscitare l’«atmosfera» delle proprie fantasticate «avventure» con il sigillo della più schietta e credibile quotidianità vissuta. Questo l’autentico talento del grande narratore: credere nella «realtà» della propria «immaginazione». L’autobiografia di Zeno si sviluppa a modo suo, per liberi sondaggi su momenti e aspetti particolari del passato. La confessione è riservata e privata, ma non autocontemplativa né avvolta a spirale su se stessa, bensì si spalanca anche sull’esterno, sugli altri, sulla città, la società, la storia.

Sono tuttavia flashes disarticolati che illuminano segmenti o frammenti di vita, comunque inabilitati a ricomporre un quadro unitario, a dipanare il filo di una qualsivoglia organicità: «Ricordo tutto, ma non intendo niente». La totalità, la globalità, la logica dell’insieme sono infrante e le coordinate spazio-temporali rispondono a impulsi imprevedibili. L’inchiesta s’inoltra in cunicoli tortuosi e resta aperta, inconclusa.


Gino Tellini, Svevo, Salerno editrice, Roma 2013

Comprendere il pensiero critico

1 Qual è, nella Coscienza di Zeno, la funzione del manoscritto ritrovato?


2 Perché Zeno come narratore della propria vita non è attendibile?


3 I ricordi raccontati da Zeno, per quanto slegati, possono essere ricomposti in un quadro unitario e sensato?

Volti e luoghi della letteratura - volume 3A
Volti e luoghi della letteratura - volume 3A
Dal secondo Ottocento al primo Novecento