Una passeggiata senza meta in compagnia della donna amata, qui chiamata Ermione, lungo una pineta del litorale pisano, e la pioggia che cade sulla vegetazione e sui due amanti, i quali finiscono per sciogliersi nel paesaggio: la metamorfosi panica, la trama musicale data dal ritmo della pioggia, la segreta armonia della natura dominano questa celebre lirica, composta probabilmente nell’estate del 1902.
Metro 4 strofe di 32 versi liberi ciascuna, con presenza irregolare di rime e assonanze.
Sulle soglie di una solitaria pineta, lungo il litorale sabbioso toscano, una pioggia estiva sorprende il poeta e la donna amata, qui chiamata Ermione, durante una passeggiata. Le gocce crepitano sui rami e fanno germogliare una nuova vita nella calura estiva (vv. 4-7). Il silenzio della natura è interrotto dai suoni (che sembrano parole): il ritmo della pioggia, che scroscia più o meno intensamente, compone una lunga sinfonia insieme al frusciare delle foglie e all’eco di versi di animali. Mentre vagano nel paesaggio naturale completamente estraniati dal resto del mondo e immersi nei suoni, il poeta e la compagna si svestono dei panni umani e iniziano un processo di trasformazione verso una forma di vita vegetale che si attua in crescendo: i loro volti diventano silvani (v. 21), l’anima schiude (v. 27) pensieri come fiori, fino a che la loro comunione con la natura è completa. Ormai tutt’uno con il bosco, la loro identità non è più umana, essendosi dissolta in una metamorfosi panica che li ha investiti completamente, coinvolgendo la dimensione fisica e quella psichica, il corpo, i pensieri e i sogni.
Abbattuta definitivamente ogni barriera tra l’io e la natura, l’ultima strofa sancisce il compimento dell’identificazione: il cuore delle due creature è come pèsca / intatta (vv. 104-105), gli occhi sono come polle tra l’erbe (v. 107), i denti come mandorle acerbe (v. 109). Il poeta può finalmente attingere al mistero dell’universo, immergendosi nella profondità remota, arcana e senza tempo della natura.
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Come in altre poesie dannunziane, anche qui l’ispirazione nasce da uno spunto narrativo: l’acquazzone estivo che bagna il poeta e la sua compagna. È un esile pretesto, subito trasfigurato nella dimensione mitica della fusione panica con la natura: l’esperienza della metamorfosi è evocata da d’Annunzio come il compimento di una favola bella (vv. 29 e 125), un’avventura purificatrice che li libera dai residui della realtà e della civiltà e permette loro di ascendere a un altro piano, quello dell’estasi dei sensi e della squisita sensazione dell’annullamento nel fluido e nella linfa segreta degli alberi.
Attenzione, però: non dimentichiamo che il panismo dannunziano coincide sempre con l’affermazione di un privilegio riservato solo a creature superiori. Anche nella Pioggia nel pineto, infatti, il processo apparentemente regressivo – dall’umano al vegetale – coincide di fatto con un esercizio di potenziamento di sé, grazie al quale il soggetto, assimilandosi alla natura attraverso la percezione sensoriale, trascende i propri limiti individuali e realizza una piena comunione con il tutto. Le parole più nuove (v. 5) pronunciate da gocciole efoglie (v. 6) possono essere udite infatti solo dallo spirito eletto che è in grado di decifrarle e celebrarle.
Le scelte stilistiche
La sensibilità musicale di d’Annunzio (senza dubbio una delle componenti più autenticamente decadenti della sua poesia) si mostra in questo componimento in tutte le sue eccezionali potenzialità tecniche. Il poeta riesce con indiscutibile efficacia a definire il ritmo, il rumore, diremmo quasi il movimento della pioggia e delle altre componenti del paesaggio.
Per esprimere analogicamente il perpetuo cambiamento dei più minuti dettagli della natura, l’autore dà vita a una struttura irregolare di versi di misura ineguale, che viene però ordinata su strofe omogenee per numero di versi (32). Accanto a senari*, settenari*, ottonari* e novenari*, compaiono versi brevi, brevissimi, spesso coincidenti con un singolo vocabolo formato da tre sillabe (per esempio nella prima strofa incontriamo lontane, divini, silvani, ignude, leggieri, novella).
Anche le proposizioni sono in massima parte brevi; quando si snodano in più versi, vengono frammentate grazie alla brevità delle battute e alla frequente ripetizione dello stesso termine. Notiamo, per esempio, nella strofa di apertura, l’anafora* del verbo piove, ripetuto per ben sei volte e sempre con valore introduttivo; l’insistenza sulla preposizione su (che compare in undici dei trentadue versi della prima strofa) e la ripresa della congiunzione e, che rende paratattico* il discorso nella seconda e terza strofa; e ancora il ritorno di si spegne (vv. 76, 78, 79), che troviamo in clausola* nella terza strofa.
L’assoluta libertà metrica che d’Annunzio si concede gli permette di ottenere una musicalità spezzata, tesa a imitare la cadenza variabile delle gocce di pioggia e degli altri suoni naturali. Al mutare del ritmo, garantito dalle spezzature degli enjambement* che scandiscono e dilatano il verso, corrispondono le diverse rime, baciate o interne (e varia nell’aria, v. 37; più rade, men rade, v. 39; al pianto il canto, v. 41), spesso alternate dall’altrettanto ricco spettro di assonanze*-consonanze* e dal recupero delle stesse frasi in punti diversi del componimento: è il caso del chi sa dove, chi sa dove! dei vv. 94 e 115 (il primo è riferito al gracidare della rana, il secondo allude al viaggio misterioso del poeta e della donna), delle anadiplosi* dei vv. 95-97 [piove su le tue ciglia (…) / Piove su le tue ciglia nere] e soprattutto del poliptoto* t’illuse… m’illude e m’illuse… t’illude che chiude, in inversione, la prima e l’ultima strofa. >> pagina 462La musicalità della parola poetica è accentuata inoltre dagli effetti fonici prodotti dall’uso di figure di suono come allitterazioni* (per esempio, piove su ipini, v. 12; verdevigorrude, v. 112; al pianto il canto / delle cicale / che il pianto australe, vv. 41-43 ecc.), fonosimboli* (crepitìo, v. 36, crosciare, v. 82, croscio, v. 85) e da un lessico, semplice nei significati ma costellato di termini ricercati (tamerici, v. 10; mirti, v. 14) e aggettivi letterari (fulgenti, v. 16; aulenti, v. 19; virente, v. 100), usati dal poeta più per la loro energia musicale che per il loro valore semantico.
Verso le COMPETENZE
Comprendere
1 Riassumi il contenuto della poesia, dando un titolo a ciascuna delle quattro strofe.
2 Individua la parola chiave della poesia: qual è la sua importanza, sia sul piano musicale sia su quello contenutistico?
3 Quali sono le parole più nuove di cui il poeta parla al v. 5?
ANALIZZARE
4 Completa la tabella individuando i diversi elementi su cui cade la pioggia.
Elementi naturali
Elementi umani
Elementi emotivi
5 Ai vv. 76 e 79 troviamo le seguenti espressioni: s’allenta, si spegne e risorge, trema, si spegne. Quale figura retorica viene qui utilizzata da d’Annunzio?
aClimax.
b Accumulazione.
cAnticlimax (o climax discendente).
d Enumerazione.
6 La fronda del v. 81 sta per “albero”. Di quale figura retorica si tratta?
a Similitudine.
b Sineddoche.
c Sinestesia.
d Personificazione.
7 Quali caratteristiche presenta la sintassi? Vi è maggiore presenza di periodi lunghi o brevi? Prevale la subordinazione o la coordinazione? E, infine, c’è coincidenza tra frase e verso, tra periodo e strofa?
INTERPRETARE
8 Quali elementi rendono questa poesia un esempio di poetica simbolista?
Produrre
9Scrivere per rielaborare.Leggi nella scheda nella pagina successiva le parodie della poesia dannunziana composte da Luciano Fòlgore ed Eugenio Montale, e prova poi a fare come loro. Prendi il componimento più noto di un poeta che proprio non ti va a genio (magari lo stesso d’Annunzio o chi altro vuoi), riproducine il metro e il contenuto, ma esaspera nei temi fino a trasformarlo in una caricatura, proprio come fanno gli imitatori di oggi quando deridono personaggi pubblici che si prendono troppo sul serio.