La vita

La vita

 La giovinezza di uno scapestrato

La famiglia e gli studi Giosuè Carducci nasce a Valdicastello, in Versilia, nel 1835, e vive un’adolescenza spensierata tra Castagneto e Bolgheri, nella Maremma toscana, dove il padre Michele, un liberale dai trascorsi carbonari, è medico condotto. Quando quest’ultimo perde il lavoro a causa delle sue idee politiche, Giosuè si trasferisce con la famiglia a Firenze, dove studia alle scuole dei Padri Scolopi, quindi a Pisa, dove nel 1856 si laurea in Filosofia e Filologia alla Scuola Normale.

Tra aule, biblioteche e osterie Il giovane Carducci si è intanto fatto largo nell’ambiente universitario: i compagni lo amano per le sue intemperanze, ispirate dalla letteratura e alimentate da lunghe bevute cameratesche. Al tempo stesso, partecipa con fervore alle polemiche che dividono il panorama letterario tra manzoniani e antimanzoniani. Con alcuni di questi ultimi fonda il sodalizio degli Amici pedanti, impegnato, in nome del classicismo, a difendere la tradizione italiana dalle mode straniere e dagli influssi, giudicati negativi, di un Romanticismo di maniera, pieno di lacrime e facili sentimenti.

 Il poeta professore e la passione politica

Gioie e dolori di un ribelle Nel 1856 Carducci trova lavoro come insegnante nel ginnasio di San Miniato (cittadina tra Firenze e Pisa), ma l’esperienza è dura: come scrive all’amico Felice Tribolati (4 dicembre 1856), il paese è piccolo e senza opportunità, la sua residenza è «un sepolcro», «una prigione», la società gli appare come un insieme di leggi e divieti, fatti apposta per attentare alla sua libertà. Nel 1857 pubblica il primo libro di versi, Rime, e inizia a collaborare con l’editore fiorentino Barbèra curando edizioni critiche di classici italiani (Poliziano, Tassoni, Alfieri). I primi successi letterari di Carducci sono però funestati da una serie di eventi dolorosi: il più grave è il suicidio del fratello Dante, nel 1857, provocato – sembra – da un alterco con il padre, che morirà a sua volta l’anno successivo.

La fama di rivoluzionario che il poeta si è fatto durante il primo periodo di insegnamento porta alla sua sospensione per «condotta immorale e irreligiosa» ma, caduto il governo granducale che regge la Toscana, egli viene riammesso alla docenza presso il liceo Forteguerri di Pistoia, dove insegna prima latino e greco, poi italiano. Dopo essersi sposato nel 1859 con Elvira Menicucci, da cui avrà cinque figli, nel 1860 è nominato docente di Letteratura italiana all’Università di Bologna, cattedra che terrà fino al 1904.

Le delusioni politiche Lo spirito ribelle del poeta non si acquieta: egli frequenta i mazziniani romagnoli, professa sentimenti repubblicani e per questo è sottoposto dal ministero dell’Istruzione a frequenti provvedimenti disciplinari, come la sospensione dello stipendio. Nel marzo 1868 viene interdetto per due mesi e mezzo dall’insegnamento per aver celebrato il ventennale della Repubblica romana, l’esperimento di governo democratico messo in atto da Mazzini nel 1849: tale celebrazione è recepita come un atto di sfida nei confronti del governo italiano, accusato di non rivendicare Roma con sufficiente convinzione.
La perdita del figlio e la consolazione amorosa Ai dispiaceri politici si aggiungono, inoltre, nuovamente i dolori privati: nel 1870 muoio­no la madre e il figlioletto Dante, di soli tre anni, a cui dedica nell’anno successivo il sonetto Funere mersit acerbo e l’ode Pianto antico ( T2, p. 55). La crisi depressiva in cui il poeta sprofonda, e di cui sono traccia le poesie scritte in questo periodo, è mitigata dall’incontro con Carolina Cristofori, moglie del garibaldino Domenico Piva e ispiratrice di molte poesie sotto il nome oraziano di Lidia.

il CARATTERE

  Un temperamento vibrante e malinconico

Per molti anni, in coerenza con la sua immagine pubblica di poeta violentemente polemico, l’indole di Carducci è stata dipinta come facile all’ira e al rancore, fissata nel mito dell’intellettuale sdegnoso e arrabbiato.

L’immagine del poeta ribelle

Lo stereotipo viene alimentato dal poeta stesso, sempre incline a fornire di sé il classico autoritratto dell’eroe ribelle in lotta con il proprio tempo: «Tutto il mondo è congiurato contro la mia libertà», scrive in una lettera del 1860 a una poetessa inglese, «e anzi tutto gli amici miei: ed io, schiavo sempre di tutto e di tutti, vo sempre gridando libertà, libertà, e la veggo e la cerco, e non la trovo mai. Odiavo gl’impieghi, e sono impiegato regio: non ero atto a governar famiglie, ed eccomi a ventitré [anni] una famiglia da guidare; amo le selve e i boschi e i monti, dove vivrei volentieri a modo di fiera; e convienemi vivere su le lastre e fra le mura stupide di queste prigioni che chiamano città».

L’incapacità di fingere

In realtà, proprio come la sua arte, sempre in bilico tra scatto impetuoso e nostalgia lirica, la sua umanità è molto più complessa. Non mancano in lui le espressioni di risentimento, di istintiva immediatezza, di vitalismo aggressivo.

Questi aspetti, tuttavia, fanno parte di una personalità schietta, sincera e appassionata, talvolta anche pensosa e malinconica.

 La maturità e la vecchiaia

Da oppositore a sostenitore della monarchia Con il passare degli anni, Carducci matura un progressivo cambiamento di giudizio sul ruolo storico della monarchia. Senza abbandonare la concezione laica della politica, comincia a ritenere chiusa la stagione della ribellione e dell’utopia garibaldina. Nel 1878 un incontro – che fa molto discutere – con la regina Margherita, dalla cui figura è affascinato, sigilla, tra reciproci attestati di stima, la “conversione” a un atteggiamento politico più moderato, reso esplicito con la stesura dell’ode Alla Regina d’Italia. La notizia naturalmente provoca numerose polemiche.

Gli ultimi anni A poco a poco il clamore si attenua, anche se i settori democratici dell’opinione pubblica italiana non perdono occasione per trattare Carducci come un traditore. Il poeta, d’altra parte, sente l’incombere della vecchiaia, ravvivata solo dai riconoscimenti pubblici (nel 1890 il presidente del Consiglio, Francesco Crispi, lo nomina senatore del Regno) e da qualche passione tardiva, come quella per la giovane poetessa Annie Vivanti.

Colpito nel 1899 da una paralisi che gli impedisce l’uso del braccio destro, Carducci si congeda nel 1904 dall’insegnamento: sulla cattedra bolognese di Letteratura italiana gli subentra, l’anno successivo, uno dei suoi allievi, Giovanni Pascoli.

Nel 1906 gli viene conferito il premio Nobel per la letteratura, tenuto conto – così recita la motivazione ufficiale – sia dell’«erudizione feconda» dello studioso, sia della sua attività poetica, «come un omaggio all’energia plastica, a la freschezza di stile ed all’impeto lirico che si trovano ne’ suoi capolavori». Due mesi dopo, nel febbraio 1907, Carducci si spegne a Bologna. Proclamato il lutto nazionale, viene sepolto nel cimitero della Certosa con un solenne funerale civile.

Volti e luoghi della letteratura - volume 3A
Volti e luoghi della letteratura - volume 3A
Dal secondo Ottocento al primo Novecento