L’opera
Alcyone
La struttura dell’opera
Il diario di un’estate Alcyone è il terzo libro del ciclo poetico delle Laudi: come gli altri che lo compongono (▶ p. 421), anche questo prende il nome da una stella delle Pleiadi. Pubblicato nel dicembre del 1903 (ma datato 1904), il volume raccoglie 88 poesie, strutturate come un vero e proprio diario, un libro organico e non un insieme di componimenti lirici isolati. La struttura dell’opera è infatti ricca di simmetrie, corrispondenze e continui richiami, che collaborano allo scopo di narrare un’esperienza realmente vissuta, ma trasfigurata in poesia: un’estate trascorsa lungo il litorale toscano, tra il mare e un paesaggio di pini, boschi e monti.
L’inizio della stesura delle liriche risale al giugno del 1899, quando d’Annunzio, in compagnia di Eleonora Duse, fa ritorno, dopo un periodo di viaggi, alla quiete della villa La Capponcina, a Settignano. Qui, abbandonando per un momento gli atteggiamenti oratori, egli intende celebrare l’estate nella sua evoluzione, dalla fine della primavera all’apparire dell’autunno.
La struttura del libro, diviso in 5 sezioni, segue infatti la parabola della stagione: l’attesa dell’estate, corrispondente al mese di giugno (prima sezione); la sua esplosione, nei primi giorni di luglio (seconda sezione); il pieno rigoglio, alla fine di luglio e ai primi di agosto (terza sezione); il culmine dell’estate e i presagi autunnali, tra la metà di agosto e l’inizio di settembre (quarta sezione); infine, il suo lento declinare, soppiantata dalla malinconia autunnale (quinta sezione). Oltre a corrispondere ai diversi momenti dell’estate, le sezioni presentano ciascuna una specifica ambientazione e contengono tematiche peculiari, che si legano ai diversi stati d’animo del poeta.
La struttura di Alcyone |
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Sezione |
Numero di liriche |
Periodo |
Temi |
I |
10 |
giugno |
attesa dell’estate; lodi della natura |
II |
19 |
dal 1° all’8 luglio |
identificazione panica con la natura |
III |
16 |
fine luglio-metà agosto |
le metamorfosi nel mito classico |
IV |
26 |
fine agosto-inizio settembre |
nostalgia dell’estate declinante |
V |
17 |
settembre |
perdita del mito; dolore per la fine dell’estate |
I temi
Il panismo In questo poema dell’estate, d’Annunzio torna a sviluppare il motivo del panismo, cioè la comunione dell’io con la natura già presente nelle poesie giovanili. Tale comunione si compie qui in termini mitici, quale completa astrazione da tutto ciò che è umano. Mentre le figure femminili si trasfigurano in ninfe dei boschi, il poeta si spoglia dei residui della civiltà moderna da cui si sente contaminato e recupera un’originaria e profonda dimensione interiore che fa coincidere la sua vita con quella dell’universo. Egli cioè conosce la gioia istintiva e vitale trasmessa dall’immedesimarsi con il Tutto. Da tale metamorfosi, dal suo fondersi con il mare, i fiumi, la pioggia, gli alberi, il poeta ricava una straordinaria ebbrezza: impadronendosi attraverso i sensi della segreta e pulsante energia naturale, egli acquista una nuova forza, manifestando così la propria facoltà di oltrepassare i limiti umani nell’unione perfetta con la natura.
L’illusione estiva Questa illusione, tuttavia, non sempre può realizzarsi compiutamente e la comunione con la natura può trasformarsi in un’utopia. Il tentativo di depurare il proprio mondo interiore e di assaporare pienamente le sensazioni suscitate da ogni aspetto della natura viene infatti frustrato dall’inevitabile passaggio dall’estate all’autunno, simbolo della consunzione e del rapido trascorrere del tempo. Non a caso, il declino estivo annunciato alla fine della quarta sezione del libro è suggellato miticamente dal ricordo della tragica impresa di Icaro: nel Ditirambo IV il fallimento della sua ambizione di volare fino al Sole coincide con la disfatta del mito stesso e il conseguente abbandono da parte del poeta di ogni aspirazione agonistica e con un desiderio di inabissarsi per sempre, come l’imprudente eroe, nel profondo del mare.
Il sogno di recuperare una dimensione immortale e innocente si scontra dunque con la consapevolezza dell’impossibilità di attuarlo, quando il presagio della fine imminente dell’estate procura un senso di stanchezza, di malattia e di morte. Ciò non impedisce comunque al rito di compiersi, rinnovando il gioco illusorio e sottile (la «favola bella» a cui d’Annunzio fa allusivamente cenno nella Pioggia nel pineto, ▶ T8, p. 457) che promette, fra la stagione del grano e quella dell’uva, di godere del paesaggio estivo come se fosse una sorta di paradiso terrestre.
Volti e luoghi della letteratura - volume 3A
Dal secondo Ottocento al primo Novecento