5 - Dolore e sentimento della morte nella fase “notturna”

5 Dolore e sentimento della morte nella fase “notturna”

Il lato malinconico di d’Annunzio Oltre all’immagine ufficiale, spettacolarizzata in miriadi di esposizioni eroiche e autocelebrative, d’Annunzio ha manifestato nella vita e nell’opera letteraria anche una più segreta e dolorosa interiorità. Questa componente della sua personalità emerge soprattutto durante la vecchiaia e nelle prose autobiografiche che la costellano.

Un viaggio decadente nella malattia e nella morte Sono proprio gli scritti autobiografici redatti negli ultimi anni a proporre questi aspetti, tipici della cultura decadente: l’ossessione per la vecchiaia, la contemplazione della morte (che è poi, non a caso, il titolo di una raccolta di prose, del 1912), l’esplorazione dell’ignoto, l’immersione nelle tenebre dell’oscurità.

Di questo risvolto della personalità dannunziana offre una testimonianza rivelatrice soprattutto il Notturno, l’originale prosa lirica scritta durante il periodo di convalescenza dopo l’incidente aereo. Qui d’Annunzio sembra rinunciare alle pose eroiche e superomistiche di tanta sua produzione, lirica e oratoria al tempo stesso. Non emergono gli eccessi retorici, mentre la sua voce acquista un tono naturale, sfumato, con cui esprime il mistero funereo della natura e il rimpianto della giovinezza perduta.

La cecità come privilegio creativo Tuttavia, anche in questa posa così diversa dal solito, d’Annunzio rimane sempre d’Annunzio. Proprio perché privato del rapporto sensoriale con la realtà a causa della temporanea cecità, il poeta cerca di scandagliare la propria interiorità, saggiando le inedite sensazioni di chi scopre la nuova fisicità di una «creatura terrestre» insonne e sofferente, che vive – e sente – il proprio corpo costretto in una sorta di letto-bara.

Al mito egli, insomma, non rinuncia: il “Comandante” senza vista che scrive al buio le sue sensazioni possiede la vista lunga dell’oracolo che legge la realtà sotto le apparenze, la scompone e la porge in frammenti ai comuni mortali. La componente sublime dell’arte dannunziana, apparentemente consumata, si mantiene invece intatta: sotto altra veste questo straordinario illusionista della parola conserva gli attributi del poeta artefice e veggente a cui è permesso esprimere ogni esperienza, anche la più oscura.

T6

L’orbo veggente

Notturno, Prima offerta

È l’inizio dell’opera. Il poeta, impossibilitato a vedere e a muoversi, non abbandona la scrittura: coricato al buio, egli fissa su alcune strisce di carta le emozioni, le illusioni e le allucinazioni che attraversano il suo animo.

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Audiolettura

Ho gli occhi bendati.

Sto supino nel letto, col torso immobile, col capo riverso,1 un poco più basso

dei piedi.

Sollevo leggermente le ginocchia per dare inclinazione alla tavoletta che v’è posata.

5      Scrivo sopra una stretta lista2 di carta che contiene una riga. Ho tra le dita un

lapis scorrevole. Il pollice e il medio della mano destra, poggiati su gli orli della

lista, la fanno scorrere via via che la parola è scritta.

Sento con l’ultima falange del mignolo destro l’orlo di sotto e me ne servo

come d’una guida per conservare la dirittura.3

10    I gomiti sono fermi contro i miei fianchi. Cerco di dare al movimento delle

mani una estrema leggerezza in modo che il loro giuoco non oltrepassi l’articolazione

del polso, che nessun tremito si trasmetta al capo fasciato.

Sento in tutta la mia attitudine la rigidità di uno scriba egizio scolpito

nel basalte.4

15    La stanza è muta5 d’ogni luce. Scrivo nell’oscurità. Traccio i miei segni nella

notte che è solida contro l’una e l’altra coscia come un’asse inchiodata.

Imparo un’arte nuova.

Quando la dura sentenza del medico mi rovesciò nel buio, m’assegnò nel buio

lo stretto spazio che il mio corpo occuperà nel sepolcro, quando il vento dell’azione

20    si freddò sul mio volto quasi cancellandolo e i fantasmi della battaglia furono

d’un tratto esclusi dalla soglia nera,6 quando il silenzio fu fatto in me e intorno a

me, quando ebbi abbandonata la mia carne e ritrovato il mio spirito, dalla prima

ansia confusa risorse il bisogno di esprimere, di significare.7 E quasi sùbito mi misi

a cercare un modo ingegnoso di eludere il rigore della cura e d’ingannare il medico

25    severo senza trasgredire i suoi comandamenti.

M’era vietato il discorrere e in ispecie il discorrere scolpito;8 né m’era possibile

vincere l’antica ripugnanza alla dettatura e il pudore segreto dell’arte che non

vuole intermediarii o testimonii fra la materia e colui che la tratta. L’esperienza mi

dissuadeva dal tentare a occhi chiusi la pagina. La difficoltà non è nella prima riga,

30    ma nella seconda e nelle seguenti.

Allora mi venne nella memoria la maniera delle Sibille9 che scrivevano la sentenza

breve su le foglie disperse al vento del fato.

Sorrisi d’un sorriso che nessuno vide nell’ombra quando udii il suono della

carta che la Sirenetta10 tagliava in liste per me, stesa sul tappeto della stanza attigua,

35    al lume d’una lampada bassa.

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Dentro il TESTO

I contenuti tematici

D’Annunzio apre il Notturno con la descrizione dell’infermità e dell’immobilità dovute alla ferita all’occhio e alla lunga convalescenza cui è costretto. Tuttavia tale condizione, che annulla ogni presenza fisica della realtà esterna, non spegne la sua volontà di rivelare una energia interiore che pare rafforzarsi nel buio. Nonostante la dura sentenza del medico (r. 18), che lo condanna a stare come dentro un sepolcro, supino nel letto, col torso immobile (r. 2), il poeta coglie l’occasione per saggiare le proprie possibilità, dando vita a un’arte nuova (r. 17): l’ammalato può trasformarsi in un oracolo moderno che, al pari di una sacra Sibilla, si abbandonerà all’ascolto e alla trascrizione delle voci segrete della propria interiorità.

L’ingegno di d’Annunzio vince quindi sui limiti e sugli ostacoli che il destino vorrebbe imporgli. Anzi, paradossalmente, proprio il buio in cui è immerso permette alla sua scrittura di sprigionare le virtù magiche ed evocative che solo essa possiede. La cecità si rivela apparente, poiché la vera vista – come insegna Omero, il primo e più grande cieco veggente – è quella che permette di cogliere l’essenza profonda che si nasconde sotto la superficie delle cose. Ma tale privilegio è di pochissimi spiriti, ai quali si addice l’esplorazione nelle tenebre della notte. La descrizione di sé convalescente si rivela l’ennesimo autoritratto nobilitante del cantore sospeso tra la vita e la morte.

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Le scelte stilistiche

La novità di quest’opera – ciò che la rende straordinariamente moderna – riguarda soprattutto gli aspetti formali. La tecnica dell’esposizione, infatti, può essere assimilata a quella di una libera rappresentazione di pensieri, nella quale i periodi, solitamente brevissimi, si susseguono interrotti da pause, sospensioni e spazi bianchi.

La struttura narrativa cronologicamente ordinata è sostituita da un fluire di immagini e sensazioni, nel quale il lessico, impressionistico e allusivo, e la sintassi, scarna e strutturata quasi esclusivamente per coordinazione, sembrano trasformare l’opera in un taccui­no su cui il poeta annota, con immediatezza e senza un apparente studio (il tempo verbale è inizialmente il presente), le dolorose percezioni del proprio corpo.

La prosa sconfina nel verso vero e proprio grazie a ripetizioni, parallelismi*, metafore* e sinestesie* (La stanza è muta d’ogni luce, r. 15; Traccio i miei segni nella notte che è solida, rr. 15-16); frequenti sono inoltre le assonanze* e le allitterazioni*: tra queste ultime, particolarmente significativa è la ripetizione della s nei verbi con cui iniziano i primi capoversi (Sto, Sollevo, Scrivo, Sento) e nel periodo Scrivo sopra una stretta lista di carta (r. 5), come a riprodurre il suono sibilante della matita (lapis scorrevole, r. 6).

Verso le COMPETENZE

Comprendere

1 Ripassa la biografia del poeta e spiega le ragioni per le quali si trova nello stato descritto.


2 Oltre a quella del poeta, compaiono nel testo due figure minori: chi sono? Rispetto alla vicenda e alle esigenze del protagonista, quale funzione svolgono?

ANALIZZARE

3 Individua i termini che si riferiscono al campo metaforico della cecità e della morte.


4 Perché, dopo il tempo presente iniziale, il poeta si serve del passato remoto?

INTERPRETARE

5 In quali aspetti del testo è possibile cogliere tracce della figura del superuomo?


6 In che cosa consiste l’arte nuova (r. 17) appresa dal poeta?

COMPETENZE LINGUISTICHE

7 Scrivi almeno un sinonimo di uso comune per ciascuno dei seguenti termini presenti nel testo.


 riverso

freddarsi


ripugnanza

   soglia  

sentenza

   attigua  

 >> pagina 447 

I grandi temi di d’Annunzio

1 Il divo narcisista e il pubblico di massa

 

l’abilità nel cogliere le esigenze del mercato editoriale

la capacità di soddisfare gli umori dell’opinione pubblica e di tenere vivo l’interesse per la sua persona

un sistema di idee raffinato, edonistico, vitalistico e antidemocratico

2 L’estetismo dannunziano

l’identificazione tra arte e vita

la preziosità dello stile

la figura dell’esteta solo e sconfitto, incapace di realizzare alcun obiettivo

l’anticipazione della figura dell’inetto

3 La maschera dell’innocenza

il ritorno alla quiete e al ricordo dell’infanzia

la celebrazione del mondo rurale e della sua semplice purezza

il tono elegiaco

4 Il superomismo

il superuomo è una creatura superiore, eccezionale per sensibilità e vitalismo

l’opera dell’artista è un dono elargito alla massa

nell’uomo d’azione si esprime la volontà di potenza

5 La fase “notturna”


l’ossessione per la vecchiaia

il sentimento del disfacimento e della morte

l’immersione nell’oscurità come esperienza di vita

il viaggio nella propria interiorità

la percezione di sé come oracolo che legge la realtà oltre le apparenze

Volti e luoghi della letteratura - volume 3A
Volti e luoghi della letteratura - volume 3A
Dal secondo Ottocento al primo Novecento