La vita

La vita

 L’infanzia e la giovinezza

I primi anni di un ragazzo prodigio Gabriele d’Annunzio nasce a Pescara nel 1863. Terzo di cinque figli, dovrebbe in realtà chiamarsi Gabriele Rapagnetta, ma il padre Francesco Paolo adopera il più elegante e nobiliare d’Annunzio, cognome di uno zio che lo aveva adottato. Egli scorge nel figlio un’intelligenza non comune e, dopo averlo fatto educare da precettori privati, lo manda undicenne a “toscanizzarsi” presso il prestigioso Collegio Cicognini di Prato. Qui il ragazzo si distingue presto per indisciplina e allo stesso tempo per il profitto eccellente: legge, ama la poesia e gli piace scrivere, considerandolo non un passatempo ma un’attività. A sedici anni Gabriele pubblica a spese del padre una prima raccolta poetica, dal titolo Primo vere (1879): l’ispirazione, come è costume della produzione letteraria dell’epoca, è carducciana, e subito sulle colonne dei giornali letterari si parla di un astro nascente della lirica italiana.

Il periodo romano tra scandali e successi Nel 1881, terminati gli studi ginnasiali, il giovane d’Annunzio si trasferisce a Roma, con l’intenzione di tuffarsi nel bel mondo della capitale. Si iscrive alla facoltà di Lettere ma frequenta poco le lezioni, alle quali preferisce le redazioni dei giornali e i salotti aristocratici, dove cresce la sua fama di brillante provinciale.

L’anno dopo dà alle stampe la seconda raccolta di versi, Canto novo, e un volume di prose, Terra vergine: entrambe le opere riscuotono consensi, ma soprattutto la prima conferma il talento del poeta, che ha iniziato, tra lo scandalo dei benpensanti, a rendere sensuale il proprio classicismo. Del resto, la sua stessa vita finisce al centro dell’attenzione e dei pettegolezzi mondani. Nel 1883 sposa la giovane duchessa Maria Hardouin di Gallese: si tratta di un matrimonio riparatore (i due aspettano un figlio), che consente comunque al poeta di entrare a pieno titolo nei ranghi di quell’aristocrazia che lo ha ormai ben accolto.

D’Annunzio ha già intuito i meccanismi del mondo dell’informazione e dello spettacolo e non perde occasione per far parlare di sé: i contenuti e la copertina “scandalosa” (tre ninfe nude) della nuova raccolta di racconti, pubblicata nel 1884 con il titolo Il libro delle vergini, innescano polemiche a non finire sul carattere scandaloso della sua arte.

Dopo aver scritto altre opere in versi (Intermezzo di rime, 1884; Isaotta Guttadàuro ed altre poesie, 1886) e in prosa (San Pantaleone, 1886), già padre di tre figli e protagonista della scena giornalistico-mondana della capitale, a ventisei anni d’Annunzio pubblica il suo primo e più celebre romanzo, Il piacere.

Il soggiorno napoletano I guadagni ottenuti grazie all’instancabile attività editoriale sono notevoli, ma non bastano a sostenere le costose abitudini. Lo stile di vita raffinato e dispendioso espone però d’Annunzio all’assedio dei creditori. Per sottrarvisi, dopo essersi separato dalla moglie, prima fugge nella villa di Francavilla a Mare, in Abruzzo, che gli mette a disposizione l’amico pittore Francesco Paolo Michetti, poi nel 1891 si trasferisce a Napoli, dove l’amicizia con i giornalisti e scrittori Edoardo Scarfoglio e Matilde Serao gli offre la possibilità di intessere buoni rapporti nel vivace mondo partenopeo della cultura e dell’editoria. Sono gli anni che d’Annunzio definirà di «splendida miseria».

In questo periodo, oltre a scrivere nuovi romanzi (Giovanni Episcopo e L’innocente, che escono nel 1892) e raccolte poetiche (Poema paradisiaco, 1893), egli scopre la filosofia di Friedrich Nietzsche e si appassiona alla musica di Richard Wagner. I suoi romanzi ottengono un grande successo anche oltre i confini nazionali, grazie soprattutto alle traduzioni francesi. Non per questo viene meno la sua costante irrequietezza: intrecciauna nuova relazione con la principessa siciliana Maria Gravina Cruyllas di Ramacca, da cui nasce la figlia Renata; poi lascia Napoli e torna in Abruzzo.

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 Gli amori, la politica e l’esilio francese

La relazione con Eleonora Duse Dopo un periodo inquieto, segnato da continui trasferimenti, nel 1895 d’Annunzio incontra la più famosa attrice dell’epoca, Eleonora Duse, con cui stabilisce un legame d’amore e d’interesse professionale che durerà quasi un decennio.

Ora è al teatro che si rivolge l’attenzione del poeta, il quale compone drammi con ritmo febbrile: tra questi, La città morta, che viene messo in scena a Parigi nel 1898 dall’altra grande stella del firmamento teatrale europeo, l’attrice francese Sarah Bernhardt.

Nel 1897, inoltre, d’Annunzio dà avvio a una breve carriera parlamentare: eletto deputato della Destra, nel 1900 passa con gesto clamoroso nelle file della Sinistra («Vado verso la vita!») in polemica con i provvedimenti reazionari del governo Pelloux. A chi lo accusa di essere diventato socialista risponde: «Io sono sempre lo stesso. Sono e rimango individualista ad oltranza, individualista feroce. Tutto ciò che adesso esiste è nulla; è marciume; la morte che si oppone alla vita. Bisogna dapprima tutto saccheggiare. Un giorno scenderò nella strada». Una profezia, questa, che non tarderà ad avverarsi.

Il trasferimento in Toscana Nello stesso periodo il poeta si trasferisce con Eleonora Duse in Toscana, a Settignano, nella villa La Capponcina, dove conduce una vita sfarzosa, attorniato da oggetti preziosi e arredi sontuosi. In tal modo egli dilapida il proprio patrimonio, ma non l’energia crea­tiva: è in questi anni che compone i capolavori poetici, cioè i primi tre libri delle Laudi: Maia, Elettra e Alcyone, editi nel 1903. In precedenza, era uscito il romanzo Il fuoco (1900), in cui d’Annunzio aveva descritto pubblicamente il suo rapporto con Eleonora, facilmente individuabile nella protagonista femminile, Foscarina: anche per questo motivo entra in crisi la relazione artistica e sentimentale con l’attrice.

L’esilio francese Le amanti del poeta cambiano, ma non il suo modo di vivere, che le pur generose elargizioni di editori e mecenati non riescono più a sostenere. I creditori pongono i sigilli alla Capponcina, e al poeta, nel 1910, non resta che l’umiliazione del volontario “esilio” in Francia. Qui è accolto regalmente, introdotto nei salotti della Parigi della Belle Époque dalla giovane dama russa Nathalie de Goloubeff.

I maggiori intellettuali di Francia, da André Gide a Marcel Proust, vogliono conoscerlo. In cerca di solitudine, stanco del clamore che la sua figura esercita sulla frivola e decadente aristocrazia parigina, il poeta si rifugia nell’estate del 1910 ad Arcachon, sulla costa atlantica, dove scrive l’opera Le martyre de Saint Sébastien.

Negli anni successivi, d’Annunzio continua a scrivere opere teatrali in francese, ma non rinuncia al dialogo con il pubblico italiano: Luigi Albertini, direttore del “Corriere della Sera”, gli affida uno spazio sul quotidiano dove il poeta pubblica una serie di prose, poi raccolte in volume con il titolo Le faville del maglio, e dieci canzoni composte in occasione della guerra coloniale in Libia.

il CARATTERE

  Un egocentrico «uomo di lusso»

Decine di biografie a lui dedicate, centinaia di aneddoti (veri, verosimili o leggendari) sul suo conto, testimonianze di chi lo ha conosciuto più o meno da vicino, una bibliografia sterminata che non cessa di aggiungere titoli nuovi ai vecchi: basterebbero questi dati a rendere complicata l’impresa di descrivere in poche righe il carattere di un poe­ta che volle essere un personaggio pubblico, primo divo della modernità a esibire sotto gli occhi di tutti le esperienze, i capricci, le abitudini.

Un insieme di contraddizioni

Anche in vita d’Annunzio attira su di sé sentimenti contrastanti: come giudicare quel giovane venuto da una remota provincia italiana che scrive senza remore al maestro Carducci: «Voglio combattere al suo fianco, o Poeta!»? Che impressione può fare un autore che sfida a duello chi parla male di lui, che conquista centinaia di donne, attratte dal suo fascino, per poi rivelare senza ritegno i dettagli della propria vita amorosa, che è affetto da manie di egocentrismo e manifesta poi sorprendenti timidezze e paure?

D’Annunzio è indubbiamente un uomo pieno di contraddizioni: figlio e interprete della sua epoca, al tempo stesso annunciatore e sperimentatore del nuovo, creatore di un gusto diverso, cultore dell’oggetto raro ma anche dell’aeroplano, del busto antico come dell’automobile, del lusso aristocratico da una parte e della pubblicità popolare dall’altra, della solitudine e insieme del bagno di folla.

Tra edonismo e malinconia

Come la produzione artistica, anche il suo carattere privato è polivalente e disarmonico, un oscillare continuo tra malinconia ed euforia, vec­chiaia e giovinezza, piacere e dolore: il “vate” d’Annunzio può lasciare lo spazio al tenero innamorato, l’individualista al generoso, il divo esibizionista al solitario ripiegato su sé stesso nel ricordo. A fungere da collante tra i suoi molti aspetti, costante della sua esistenza è la “febbre” della scrittura, vissuta con la spasmodica convinzione di poter salvare il mondo con la bellezza della parola e del verso.

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 Il ritorno in Italia, la guerra e la “prigione dorata” del Vittoriale

L’interventismo e la Grande guerra Nel 1915, con lo scoppio della guerra il poeta rientra in patria. Convinto interventista, prepara il terreno per il ritorno con una serie di canti di guerra, con i quali si pone a capo dell’eterogenea schiera di intellettuali favorevoli all’entrata dell’Italia nel conflitto. Il 4 maggio 1915 inaugura a Quarto (Genova) un monumento in ricordo della spedizione dei Mille, prima tappa della sua campagna di propaganda bellicista.

Quando l’Italia entra in guerra, d’Annunzio passa dalle parole ai fatti: a dispetto dell’età avanzata (ha 52 anni), si arruola volontario e nel 1916 resta ferito gravemente all’occhio destro in un incidente aereo. Obbligato a un periodo di immobilità per non perdere anche l’occhio sinistro, scrive, bendato, le proprie impressioni su striscioline di carta, confezionate dalla figlia Renata: è questa la genesi dell’opera Notturno, prosa lirica che sarà pubblicata nel 1921. Nel 1918, si rende protagonista di celebri imprese, come la «beffa di Buccari» e il volo su Vienna: nella prima occasione è l’ideatore e il protagonista di un raid con tre motoscafi antisommergibili al porto croato di Buccari, dove era ancorata la flotta austriaca; nella seconda lancia da un aeroplano centinaia di volantini contenenti un provocatorio invito alla resa rivolto al nemico.

L’impresa fiumana A guerra conclusa, insoddisfatto per l’esito delle trattative di pace e convinto che quella italiana sia una «vittoria mutilata», entra, alla testa di un manipolo di volontari, nella città di Fiume (settembre 1919), di cui proclama l’annessione al Regno d’Italia. L’occupazione dura fino al dicembre successivo, quando l’esercito italiano, con un’azione militare, costringe d’Annunzio e i suoi uomini ad abbandonare la città.
Gli ultimi anni Dopo questa impresa, stanco e sfiduciato, il “poeta soldato” si ritira a Venezia e poi a Gardone, sul lago di Garda, in una villa che trasforma nel museo delle sue memorie e che chiama Vittoriale degli Italiani. Qui, lontano dalla vita pubblica, blandito dal regime fascista, trascorre gli ultimi anni, curando, in sdegnosa solitudine, le ultime opere, tra le quali il Libro segreto (1935). D’Annunzio muore il 1° marzo 1938 per un’emorragia cerebrale, mentre è seduto al tavolo di lavoro.

CRONACHE dal PASSATO

  La falsa morte di un poeta promettente

Una geniale trovata autopromozionale


Il successo ottenuto nel 1879 dal primo volume di liriche, Primo vere, ha fatto di d’Annunzio l’esordiente più ammirato d’Italia. Ora, però, a distanza di un anno, come ammoniscono le regole dello spettacolo, viene il difficile: non deludere le attese del pubblico. Il poeta lavora alla revisione della raccolta, eliminando alcune poesie e aggiungendone altre. Il rischio, di cui è perfettamente consapevole, è quello di passare inosservato, ma la promozione di sé stesso fa già parte delle armi a disposizione del d’Annunzio diciassettenne. Da vero precursore dei meccanismi del marketing, egli escogita un’abile trovata per preparare il terreno alla sua nuova pubblicazione. Il 13 novembre del 1880 sulla “Gazzetta della Domenica” di Firenze compare un trafiletto, che commuove l’Italia: «Gabriele d’Annunzio, il giovane poeta già noto nella repubblica delle lettere, di cui si è parlato spesso nel nostro giornale, giorni addietro (5 novembre) sulla strada di Francavilla, cadendo da cavallo per improvviso mancamento di forze, restò morto sul colpo. Fra giorni doveva uscire la nuova edizione del suo Primo vere...».

La notizia rimbalza dappertutto e le maggiori testate letterarie italiane piangono «quest’ultimogenito delle Muse», «gioia dei suoi genitori, amore dei compagni, orgoglio dei maestri». Si tratta di lacrime inutili. Il poeta, infatti, firmandosi con il nome fasullo di G. Rutini, aveva fornito egli stesso con una cartolina la notizia della propria morte.

Mentre decine di struggenti necrologi compaiono sulla stampa, d’Annunzio ricompare, come se nulla fosse successo, vivo e vegeto, qualche giorno dopo l’uscita della seconda edizione di Primo vere, che naturalmente, sull’onda dell’emozione, aveva riscosso un immediato successo. Il colpo da maestro della pubblicità è riuscito perfettamente.

Le opere

 Le prime raccolte poetiche

Sensualità e raffinatezza La prima tappa della produzione dannunziana in versi è caratterizzata dalla fedeltà al modello carducciano, con elementi però ispirati alla poesia parnassiana e simbolista francese e inglese. Temi nuovi già si affacciano e suggeriscono l’originale personalità del giovane poeta, a partire da un’accentuata componente sensuale.

Primo vere

Pubblicata a sedici anni, nel 1879, la prima opera dannunziana viene considerata dalla critica del tempo come l’esordio di un ragazzo prodigio. La raccolta contiene motivi tratti dal repertorio realistico-scapigliato, ma soprattutto è evidente la matrice carducciana, sia per i temi sia per l’adozione della metrica barbara. Tuttavia nei componimenti si coglie una spiccata sensualità e una peculiare resa musicale.

Canto novo  T1

La seconda prova dannunziana, risalente al 1882, segna un primo distacco dall’influenza carducciana e l’acquisizione di una voce poetica più personale. La raccolta, ambientata tra i boschi d’Abruzzo e il mare, è il diario lirico di una vacanza estiva (un motivo che ricorrerà anche in Alcyone), vissuta con gioia vitalistica e con una forte carica erotica. Accanto alla sperimentazione di nuove soluzioni metriche – vi compare la strofa lunga, che troveremo nelle opere successive – si fa strada una languida ricerca di sensazioni in un’esuberante relazione con la natura.

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Intermezzo di rime, Isaotta Guttadàuro ed altre poesie, L’Isottèo e La Chimera, Elegie romane

Si tratta di quattro raccolte – uscite rispettivamente nel 1884, 1886, 1890 e 1892 – scritte durante gli anni romani e che non a caso esprimono gli ideali aristocratici e raffinati tipici della capitale umbertina, esplicitati in prosa nel contemporaneo Il piacere. Sono testi in cui d’Annunzio sviluppa un gusto prezioso ed estetizzante che molti critici hanno assimilato alla poe­tica ▶ preraffaellita (di cui d’Annunzio amava particolarmente il massimo esponente, il pittore inglese Dante Gabriel Rossetti). In tutte queste raccolte è inoltre rilevante la componente sensuale, che attira sul poeta l’accusa di immoralità.

 Le prime prove narrative

Storie d’Abruzzo Per quanto riguarda la prosa, prima dell’esordio nel romanzo d’Annunzio scrive una serie di raccolte di novelle, apparentemente di ispirazione verista.

Terra vergine, Il libro delle vergini, San Pantaleone

I 3 volumi di novelle – usciti rispettivamente nel 1882, 1884 e 1886 e poi ristampati, nel 1902, con qualche modifica, nella raccolta Le novelle della Pescara – presentano soprattutto storie paesane, personaggi, costumi e tradizioni popolari d’Abruzzo. L’ambientazione e la natura rozza dei protagonisti sottolineano l’influenza verista, ma l’autore si allontana dall’impersonalità verghiana. D’Annunzio infatti esalta la vitalità di quel mondo primitivo, rappresentando con evidente compiacimento un’umanità violenta e primordiale, malata di passioni animalesche e di sentimenti aggressivi, ma non ancora “corrotta” dal progresso e dalla civiltà.

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Un manifesto del Decadentismo Pubblicato nel 1889 (lo stesso anno di Mastro-don Gesualdo di Verga), il primo romanzo dannunziano può essere considerato uno dei manifesti del Decadentismo europeo, in cui confluisce soprattutto la lezione narrativa, tematica e ideologica dell’Estetismo, diffuso in Francia dal romanzo À rebours (Controcorrente, 1884) di Joris-Karl Huysmans ( p. 293).

Il piacere  T2

Diviso in 4 libri, Il piacere presenta una trama piuttosto semplice e povera di fatti, ma costruita sapientemente in modo non lineare, con una tecnica fatta di ellissi e flash back.

Il protagonista, Andrea Sperelli, alter ego dell’autore, ama due donne, la bellissima Elena Muti, che lo ha abbandonato per sposare un ricco lord inglese, e Maria Ferres, moglie di un ambasciatore, creatura dolce e spirituale, che finisce per cedere al suo corteggiamento. Diviso tra il piacere dei sensi e una vaga aspirazione alla purezza, Andrea non dimentica però l’antico amore e, durante il primo (e ultimo) amplesso con Maria, invoca il nome di Elena. Maria, disgustata dall’«orribile sacrilegio», fugge via, lasciando l’uomo al proprio destino di solitudine.

Un esteta imperfetto Nelle intenzioni di d’Annunzio, il romanzo doveva illustrare, secondo un’istanza ancora legata al Naturalismo, «la miseria del piacere», cioè il caso psicologico e umano di un uomo immorale e corrotto, un dandy ossessionato dalla ricerca della bellezza, ma incapace di tradurre in realtà il suo progetto. Lo scrittore si immerge in questa amoralità, che contrappone al perbenismo e alla mediocrità della società borghese: in tal modo egli simpatizza per la brama di lusso e di lussuria di Sperelli.

Nel protagonista, d’Annunzio delinea la figura di un tipico esteta decadente, dotato di gusti raffinati, cultore del superfluo, desideroso di vivere ogni esperienza dei sensi, amante dell’arte, filtro attraverso il quale intende nobilitare la propria esistenza. Sperelli finisce dunque per essere l’incarnazione dell’artista, che contrasta la massificazione tipica della civiltà industriale rendendo morbosa ed esclusiva ogni sua passione: la musica, la pittura, lo sport, la seduzione femminile, soprattutto la poesia.

Al tempo stesso, tuttavia, Andrea non riesce a vincere il proprio ozio e la sottile inettitudine che lo avvincono frenando ogni sua intenzione. La sua esistenza di esteta fallito (nell’amore come in ogni altra aspirazione) ne mette a nudo il vuoto, il senso di nullità e l’incostanza che pervadono il suo carattere e la sua stessa vita.

Roma: regno del lusso e dell’artificio A fare da sfondo alla vicenda è una Roma frivola e monumentale, cornice ideale di una mondanità aristocratica vuota e pretenziosa, come lo è anche la psiche del protagonista. Non si tratta della Roma classica né di quella rinascimentale, ma della Roma barocca dei palazzi nobiliari e dei salotti altolocati, che lo scrittore, nelle vesti del giornalista di costume, conosceva profondamente, nei gusti e nelle manie.

L’elegante capitale non si limita a essere un fondale con una funzione decorativa, ma è il luogo privilegiato delle manie di Sperelli, che coglie dagli ambienti, dalla luce, dai marmi, dalle ville e dalle bellezze della città lo spunto per vivificare le proprie pulsioni estetizzanti e riveste ogni oggetto, ogni piazza, ogni palazzo di un valore letterario o artistico.

Lo stile come la vita Questa estatica contemplazione si riflette nello stile del romanzo, che presenta più descrizioni che fatti, mediante una prosa “sublime” e virtuosistica, carica di vibrazioni liriche, di riferimenti eruditi e di modulazioni preziose che sostituiscono la realtà oggettiva con una trama fatta di immagini e sensazioni.

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 Le opere del periodo della «bontà»

Una svolta Abbandonate le atmosfere sensuali del periodo romano, d’Annunzio si misura con motivi più intimistici, nel tentativo di recuperare l’innocenza e la sobrietà (la «bontà») perdute durante le avventure galanti e mondane nella capitale. In questa fase (1892-1893) lo scrittore soggiorna a Napoli dove scrive due romanzi e una raccolta poetica.

Giovanni Episcopo e L’innocente

Pubblicati nel 1892, entrambi i romanzi sono incentrati sul motivo della colpa e del castigo, che d’Annunzio rielabora a partire dalla lettura dei capolavori russi di Lev Tolstoj e Fëdor Dostoevskij.

Il superamento dell’Estetismo La svolta rispetto alle atmosfere estetizzanti del Piacere è introdotta dall’autore nella dedica del Giovanni Episcopo alla scrittrice e giornalista Matilde Serao, in cui sottolinea l’esigenza di una maggiore aderenza alla realtà: «Bisogna studiare gli uomini e le cose direttamente, senza trasposizione alcuna». Il protagonista, il modesto impiegato che dà il titolo al romanzo, è succube di Giulio Wanzer, un collega che gli infligge le peggiori crudeltà, arrivando anche a sedurre sua moglie. Quando però l’uomo si spinge fino a picchiare il figlio di Giovanni, questi, come colto da un raptus che lo libera dall’apatia, lo pugnala a morte.
Dal realismo all’intimismo Anche L’innocente è la storia di un delitto, che il protagonista, Tullio Hermil, confessa un anno dopo il suo compimento. L’uomo è un intellettuale dissoluto, sposato con Giuliana, che costringe a umiliazioni continue. Quando la moglie però sta per dare alla luce un bambino, frutto dell’unico tradimento di cui si è macchiata, Tullio si riavvicina a lei, come per un bisogno di autopunizione e purificazione. Dopo il parto, egli concepisce e mette in pratica un terribile disegno: uccidere il bambino, esponendolo al gelo nella notte di Natale. Solo in tal modo egli è convinto di poter ripristinare il rapporto con la moglie. L’infanticidio avviene infatti con la complicità di Giuliana, che accetta silenziosamente la morte del piccolo “innocente”, intruso suo malgrado all’interno di un amore malato.
Poema paradisiaco  T3-T4

La ricerca della semplicità La raccolta, edita nel 1893, è divisa in 3 sezioni: Hortus conclusus (Giardino chiuso), Hortus larvarum (Giardino delle larve) e Hortulus animae (Piccolo giardino dell’anima). Il tema del giardino (richiamato già dal titolo: paràdeisos in greco significa appunto “giardino”) allude al ritorno alla natura e alla purezza degli affetti semplici, ricercati in questa fase dal poeta.

Tale aspirazione alla semplicità si risolve in toni estenuati, che lasciano pur sempre intravedere un certo compiacimento estetizzante. Tuttavia, l’atmosfera di raccoglimento e nostalgia che si respira nella raccolta e le scelte stilistiche adottate – una sintassi espressiva quasi cantilenante e un lessico languido, reso malinconicamente musicale dalle ripetizioni e dalle assonanze – piacerà ai poeti crepuscolari del primo Novecento, che ne riprodurranno tematiche e suggestioni.

 I romanzi del superuomo

Dopo Il piacere Individui eccezionali, volontà di potenza, amori torbidi, fallimenti esistenziali: questi i temi che accomunano i romanzi dannunziani scritti dopo Il piacere. Le trame si assottigliano sempre di più, lasciando maggiore spazio a descrizioni, riflessioni introspettive, ossessioni psicologiche di protagonisti che incarnano l’ideologia superomistica dell’autore, convinti di appartenere a una specie superiore capace di dominare la realtà, ma che si rivelano poi incapaci di tradurre in azione gli ideali e le fantasie di cui sono portatori.

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Trionfo della morte

La storia di un suicida Protagonista di questo romanzo, uscito nel 1894, è Giorgio Aurispa, un esteta abruzzese trapiantato a Roma, le cui velleità e ambizioni sono messe a dura prova dall’amore prepotente per una donna sposata, Ippolita Sanzio. Debole, malato e inconcludente, Aurispa sente a poco a poco che la schiavitù dei sensi, da cui è dolorosamente avvinto, si sta trasformando in una cupa volontà di morte. La conclusione della vicenda non può che essere tragica: come in una sorta di delirio passionale, Aurispa si uccide insieme alla donna gettandosi dall’alto di una scogliera mentre la tiene tra le braccia.

La debolezza di un eroe fallito Considerato dal critico Carlo Salinari «il manifesto sessuale» del superuomo dannunziano, il Trionfo della morte presenta alcuni degli stereotipi della volontà di potenza celebrata dall’autore: il desiderio di autoaffermazione, l’estraneità alla morale comune, l’insofferenza per ogni norma costituita, lo stesso rituale dell’omicidio-suicidio come espressione di un estremo atto di vitalismo. Tuttavia, il temperamento e il fallimento del protagonista anticipano anche il tema dell’inettitudine, che sarà ripreso, con maggiore consapevolezza critica, da autori quali Franz Kafka e Italo Svevo.
Le vergini delle rocce  T5

Il riscatto della stirpe In quest’opera, uscita nel 1895, d’Annunzio narra la vicenda di un nobile abruzzese, Claudio Cantelmo, che cerca una donna con cui concepire un figlio che riscatti la decadenza della stirpe italica. Il protagonista rimane a lungo incerto fra tre sorelle – ultime discendenti di una famiglia siciliana della vecchia nobiltà borbonica –, ciascuna delle quali presenta alcune delle caratteristiche che egli cerca. Cantelmo però non sa decidersi e il romanzo rimane incompiuto, come a sottolineare implicitamente il fallimento del superuomo.

Il fuoco

Un romanzo autobiografico Stelio Effrena, il protagonista di questo romanzo pubblicato nel 1900, è un poeta e musicista che, suggestionato da Richard Wagner, sogna di creare un’opera d’arte totale. Sullo sfondo di una Venezia autunnale e decadente, Stelio intravede in una splendida ma non più giovane attrice, la Foscarina, la musa per realizzare le proprie ambizioni. Tra i due amanti (sotto i cui nomi si celano le figure di d’Annunzio e di Eleonora Duse) l’intesa è destinata presto a sfiorire, insidiata da una giovane cantante, nuova fonte di ispirazione per Stelio. La Foscarina allora si sacrifica rinunciando a lui e lasciandolo libero di sperimentare altri sentieri artistici. Ma i progetti ambiziosi di Stelio non si realizzano: i funerali di Wagner segnano anche simbolicamente la fine delle sue velleità.

Forse che sì forse che no

Il mito del progresso In questo romanzo del 1910, legato ai nuovi miti del progresso tecnologico (la velocità, l’automobile, l’aeroplano) celebrati dal nascente Futurismo, il superuomo prende le fattezze di un aviatore, Paolo Tarsis, che, dopo aver saputo che la donna amata, Isabella, è impazzita, forse in seguito a una relazione incestuosa con il fratello, tenta quale sfida estrema l’audace impresa di raggiungere in volo dal Lazio le coste della Sardegna. Nella rischiosa trasvolata, Paolo è convinto di perdere la vita, ma non sarà così: vinta la sfida eroica, saprà riconquistare la voglia di vivere.

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Opere in prosa

Temi e motivi

Le prime prove

Terra vergine (1882),

Il libro delle vergini (1884),

San Pantaleone (1886)

novelle

storie popolari ambientate in terra abruzzese

vitalità del mondo primitivo e arcaico

passioni violente ma incontaminate

Il piacere (1889)

romanzo

uno dei manifesti del Decadentismo europeo

l’ossessione della ricerca della bellezza

la brama del lusso

la lussuria

la vacuità del protagonista

Le opere

del periodo della «bontà»

Giovanni Episcopo (1892)

romanzo

narrazione più aderente alla realtà

motivo della colpa e del castigo

L’innocente (1892)

romanzo

delitto come purificazione

tema dell’amore malato

I romanzi

del superuomo

Trionfo della morte (1894)

romanzo

volontà di potenza

senso della morte

inettitudine del protagonista

Le vergini delle rocce (1895)

romanzo

tentativo di riscatto della stirpe pura

fallimento del superuomo

Il fuoco (1900)

romanzo

motivo autobiografico

tema dell’opera d’arte totale

mancata realizzazione dei desideri

Forse che sì, forse che no (1910)

romanzo

mito del progresso tecnologico

sfida eroica

Le ultime opere

La Leda senza cigno (1916)

romanzo

riflessioni e divagazioni più intime

Le faville del maglio (1924-1928)

prosa autobiografica

annotazioni e ricordi

tono riflessivo e sottilmente angosciato

Notturno (1916)

prosa lirica

percezioni sensoriali dal buio

testi frammentati e ritmo lirico

 Le Laudi  T7-T10

Autocompiacimento e retorica Con il titolo Laudi del cielo, del mare, della terra e degli eroi d’Annunzio concepisce un ciclo di 7 libri poetici intitolati agli astri della costellazione delle Pleiadi. In realtà ne compone solo 5: al terzo, Alcyone, considerato dalla critica il suo capolavoro, è dedicato un approfondimento specifico nella seconda parte di questa Unità ( p. 449).

Maia

Il primo libro delle Laudi è ispirato a un viaggio compiuto da d’Annunzio nel 1895: una crociera lungo le coste della Grecia, che nel 1903 il poeta rievoca e trasfigura su un piano mitico e ideale, lontano da ogni riferimento alla realtà (nel frattempo sono stati composti Elettra e Alcyone, che però vengono posposti a Maia nell’ordinamento della raccolta).

La gioia di vivere eroicamente Il libro è occupato interamente da Laus vitae (Inno alla vita), un poema autobiografico di 8400 versi in cui d’Annunzio riprende il mito di Ulisse, incarnazione del superuomo che si slancia oltre i limiti umani alla ricerca della pienezza dell’essere e della felicità.

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Elettra

L’esaltazione del passato Nel secondo libro delle Laudi, pubblicato nel 1903, a conquistare la scena poetica al posto del mito sono l’oratoria e la propaganda politica. Da aspirante vate della nazione, d’Annunzio celebra il passato popolato da eroi da emulare (da Dante a Garibaldi), al quale contrappone la miseria del tempo presente. Una sezione rilevante del libro è dedicata alle cosiddette «Città del silenzio» (Ferrara, Pisa, Ravenna, Urbino...), luoghi dove l’eco non ancora spenta del glorioso passato è presagio di un futuro nuovamente illuminato dalla forza e dalla bellezza.

Merope e Asterope

Gli ultimi due libri delle Laudi, pubblicati rispettivamente nel 1912 e nel 1933, testimoniano l’inaridirsi della vena poetica di d’Annunzio, ridotta a celebrazione della retorica nazionalista: Merope raccoglie i versi scritti in terzine dantesche in occasione dell’impresa coloniale in Libia, editi per la prima volta sul “Corriere della Sera” con il titolo Le canzoni della gesta d’oltremare; Asterope raduna invece le poesie composte durante la Prima guerra mondiale (intitolate in origine Canti della guerra latina).

 Le ultime opere

Verso la «turpe vecchiezza» Una nuova forma di prosa, più asciutta e meno celebrativa, caratterizza l’ultima stagione della produzione dannunziana. Si tratta di opere in cui si ricercano effetti di musicalità e si percepisce l’ansia per l’avvicinarsi della morte. Concepito come una sorta di testamento spirituale, l’insieme di questi componimenti documenta le pulsioni più autentiche dell’interiorità del poeta, diventata più istintiva e immediata. Tuttavia, la prosa dannunziana degli ultimi anni non vuole rinunciare affatto alla preziosità, alla tensione sublime e ai consueti scatti superomistici. Non a caso l’autore, nel momento in cui sta per pubblicare all’interno dell’Edizione Nazionale delle sue opere questi testi, che sono memorie, introspezioni e meditazioni, dà loro il titolo, non certo dimesso, di Prose di ricerca, di lotta, di comando, di conquista, di tormento, d’indovinamento, di rinnovamento, di celebrazione, di rivendicazione, di liberazione, di favole, di giochi, di baleni.

La Leda senza cigno

Si tratta di un racconto lungo (o romanzo breve), edito nel 1916, su una figura femminile bella e misteriosa – che ricorda al narratore una statua della donna trasformata in cigno da Zeus (di qui il titolo) – la quale vive una torbida e tragica esistenza, dalla rovina economica del padre a un fatale incontro con un uomo che la ricatta fino a costringerla al suicidio. La scarna struttura dell’intreccio costituisce il pretesto per riflessioni e divagazioni, condotte con un linguaggio non sempre ricercato.

Le faville del maglio

Con questo titolo vengono raccolte in due volumi distinti, Il venturiero senza ventura (1924) e Il compagno dagli occhi senza cigli (1928), le prose pubblicate dal poeta sul “Corriere della Sera” tra il 1911 e il 1914. Il titolo allude alle scintille provocate dai colpi del martello sul metallo incandescente, metafora della creazione nell’“officina” poetica. I brani hanno una chiara impronta autobiografica: rapide annotazioni, ricordi e confessioni, concentrate sull’autoanalisi psicologica. Il tono è più riflessivo e contiene una sottile vena di angoscia.

Notturno  T6

Come accennato, un incidente aereo, subìto nel gennaio 1916 al termine di uno dei suoi voli di guerra, costringe per tre mesi d’Annunzio a stare immobile e con gli occhi bendati per salvare l’occhio sinistro. In questa situazione il poeta scrive una serie di pensieri, ricordi, descrizioni e visioni su migliaia di strisce di carta (i cosiddetti «cartigli»). L’opera, composta a Venezia dal febbraio al maggio del 1916, viene pubblicata nel 1921 e pubblicizzata come il «commentario della tenebra».

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Un angoscioso canto di tenebra In effetti, dal punto di vista tematico, le impressioni che si accumulano nel testo sono legate alla descrizione sofferente di ferite, incidenti, traumi e morti, senza più traccia di proclami universali e retorici slogan. L’angoscia che vi domina viene resa attraverso il prevalere di percezioni sensoriali e notazioni talvolta perfino macabre sul disfacimento dei corpi e della carne. La sensualità è sempre presente in sottofondo ma ora spesso diventa allusione morbosa e sofferta, incupita dall’incombere della «turpe vecchiezza» che priva il poeta di energia e vitalità.
Il frammentismo dannunziano Anche lo stile contribuisce ad accrescere l’atmosfera mortuaria di queste pagine: frammentario, paratattico, ridotto a un’essenzialità quasi espressionistica, articolato in frasi concise, spezzate dalla frequenza sistematica dei segni di interpunzione. Il carattere meditativo e intimo si esplicita nell’allusività del lessico e in una sintassi scarna che riproduce la scrittura istantanea dei taccuini. Come in un diario a cui affidare illuminazioni fugaci, la pagina dannunziana si abbandona qui al flusso delle esperienze, in una successione quasi irreale di attimi fuori del tempo. L’asciutta prosa del Notturno è però, al tempo stesso, soffusa di ritmo lirico.

 Il teatro

La volontà di raggiungere più direttamente il pubblico e il sodalizio con Eleonora Duse, che gli garantisce la collaborazione di una diva d’eccezione, spingono d’Annunzio sin dagli ultimi anni dell’Ottocento a dedicarsi anche a una produzione destinata al teatro.

Drammi di sangue e violenza Con il proposito di realizzare un teatro in versi (un «teatro di poesia»), lontano dal dramma borghese realistico che in quegli anni metteva in scena vicende della normale vita quotidiana, lo scrittore aspira, secondo la teoria wagneriana dell’opera d’arte totale, a fondere recitazione, musica e danza, rinnovando la tradizione della tragedia greca.

Amore, morte, pulsioni superomistiche e passioni logoranti vengono rappresentati in ambientazioni diverse: nell’Argolide presso le rovine di Micene (La città morta, 1898), nel mondo medievale (Francesca da Rimini, 1901; La nave, 1908) o in quello del selvaggio Abruzzo pastorale (La figlia di Iorio, 1904, probabilmente l’opera teatrale meglio riuscita).

La figlia di Iorio Nella Figlia di Iorio si torna al contesto delle novelle giovanili: entro un universo umano agreste e primitivo, attraversato da credenze e superstizioni, l’autore mette in scena la tragica vicenda di Mila di Codra, destinata a morire sul rogo poiché si autoaccusa di essere una strega e di aver istigato l’amato Aligi a uccidere il padre Lazaro che aveva cercato di violentarla. La tematica e l’ambientazione conferiscono all’opera tratti veristi, ma lo stile del testo è lontano dal linguaggio comune, del tutto immune da ogni volontà di regressione popolaresca: il registro è sempre alto e il lessico enfatico e retorico.
Le martyre de Saint Sébastien La scrittura per il teatro occupa d’Annunzio anche dopo la fine della sua relazione con Eleonora Duse. Significativa è soprattutto una tragedia composta durante l’“esilio” francese, nell’antica lingua d’oïl: Le martyre de Saint Sébastien, pubblicata nel 1911, sarà musicata da Claude Debussy e interpretata dalla grande danzatrice russa Ida Rubinstein.

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La vita

 

Le opere

• Nasce a Pescara

1863

 

• Studia nel Collegio Cicognini di Prato

1874

 
  1879 Primo vere

• Si trasferisce a Roma

1881

 
  1882 Canto novo
Terra vergine

• Sposa la duchessa Maria Hardouin di Gallese

1883

 
  1884 Intermezzo di rime 
Il libro delle vergini 
  1886 Isaotta Guttadàuro ed altre poesie 
San Pantaleone

Inizia la relazione con Elvira Leoni1889

1889

Il piacere

  1890 L’Isottèo e La Chimera

Si trasferisce a Napoli

1891

 

Legge Nietzsche e si appassiona alla musica di Richard Wagner

1892

Elegie romane
Giovanni Episcopo
L’innocente

• Intreccia una relazione con Maria Gravina Cruyllas di Ramacca

1893

Poema paradisiaco
  1894 Trionfo della morte

• Viene eletto deputato della Destra

• Si trasferisce con Eleonora Duse a Settignano nella villa La Capponcina

1897

 
  1898 La città morta
  1900 Il fuoco
  1901 Francesca da Rimini
  1903 Maia
  1903 Alcyone
  1903 Elettra
  1904 La figlia di Iorio
  1908 La nave

• Vengono posti i sigilli, a causa dei debiti, alla Capponcina

• Si trasferisce a Parigi

1910

Forse che sì forse che no

  1911 Le martyre de Saint Sébastien
  1912 Merope

• Incidente di volo in guerra

1916

La Leda senza cigno

• Beffa di Buccari

• Volo su Vienna

1918

 

• Occupazione di Fiume

1919

 

• Si trasferisce a Gardone, al Vittoriale

1921

Notturno

  1924 Le faville del maglio. Il venturiero senza ventura
  1928 Le faville del maglio. Il compagno dagli occhi senza cigli
  1933 Asterope
  1935 Libro segreto

• Muore il 1° marzo

1938  

Volti e luoghi della letteratura - volume 3A
Volti e luoghi della letteratura - volume 3A
Dal secondo Ottocento al primo Novecento